2020-09-08
Bojo avvisa l’Ue: ancora 38 giorni per l’intesa
Ultimatum del premier inglese: accordo sul libero scambio entro il 15 ottobre o no deal. Oggi l'ottavo round dei colloqui, ma su pesca e aiuti di Stato le distanze restano. E Londra potrebbe annullare lo status ad hoc dell'Ulster. In crisi l'asse tra Francia e Germania.Boris Johnson è tornato alla carica. Il premier britannico ha lanciato un ultimatum all'Unione europea: nel caso non fosse possibile raggiungere un accordo di libero scambio entro il 15 ottobre, entrambe le parti, ha fatto sapere, dovrebbero «accettare la situazione e andare avanti». L'ipotesi di un no deal si fa quindi sempre più concreta. Il divorzio tra il Regno Unito e l'Unione europea è avvenuto lo scorso 31 gennaio, avviando un periodo di transizione che dovrebbe concludersi, almeno teoricamente, il prossimo dicembre: un limbo durante il quale Johnson ha sempre detto di voler raggiungere un'intesa commerciale con Bruxelles, evitando ogni possibile ipotesi di prolungamento. Il punto è che, allo stato attuale, i negoziati di strada ne hanno fatta ben poca. Nella giornata di oggi avrà inizio nella Capitale britannica una nuova tornata di colloqui (l'ottava) tra i negoziatori Michel Barnier (per l'Ue) e David Frost (per il Regno Unito), ma le speranze di concreti passi in avanti risultano oggettivamente esigue. In particolare, sono principalmente due i punti di attrito tra le parti: la pesca e gli aiuti di Stato. Bruxelles accusa nei fatti Londra di concorrenza sleale, mentre il Regno Unito replica sostenendo di voler tutelare la propria sovranità. In tal senso, la tensione è palpabile su entrambi i fronti. Il capo negoziatore europeo, il francese Michel Barnier, ha dichiarato: «Gli inglesi vorrebbero il meglio di entrambi i mondi: esportare i loro prodotti sul mercato europeo alle loro condizioni». Una durezza condivisa dal ministro degli Esteri francese, Jean Yves le Drian, che ha attribuito la responsabilità dello stallo nelle trattative al Regno Unito. Tutto questo, mentre il negoziatore britannico per la Brexit, David Frost, ha detto che Londra non teme un'uscita senza accordo. Del resto, come sottolineato dal sito della Bbc, Downing Street punterebbe a un'intesa commerciale simile a quella che Bruxelles intrattiene con il Canada, in alternativa Johnson ha dichiarato di essere aperto anche a uno scenario di no deal. Quello su cui il primo ministro è stato chiaro è la volontà di «non scendere a compromessi». In tutto questo, il governo britannico vorrebbe presentare mercoledì l'Internal market bill, che ha l'obiettivo di modificare alcune parti dell'intesa per il divorzio dall'Unione europea, stipulata l'anno scorso. Una mossa che, secondo quanto riportato ieri dal Financial Times, mirerebbe a mutare l'impegno britannico sullo status ad hoc dell'Ulster. Scenario, rispetto a cui ieri la presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha espresso preoccupazione. Questa ingarbugliata situazione nasce anche da dinamiche interne alle rispettive parti in gioco. In primis, non è da escludere che Johnson abbia rispolverato la linea dura anche per rilanciare la sua immagine politica, non poco appannata negli ultimi tempi a causa della crisi pandemica. Il mese scorso era tra l'altro circolata l'indiscrezione - poi subito smentita - di sue dimissioni per motivi di salute. Tutto questo, senza trascurare le fibrillazioni in seno allo stesso partito conservatore, diviso sulla Brexit, tra falchi e colombe. In secondo luogo, sul fronte europeo si stanno pian piano ripresentando le vecchie crepe. Se, come abbiamo visto, la Francia fa la voce grossa in chiave antibritannica, la Germania dal canto suo tende a essere lievemente più accomodante. Appena ieri, un portavoce del governo tedesco ha detto che, nonostante il poco tempo a disposizione, sia ancora possibile un accordo tra Bruxelles e Londra. La stessa Commissione europea si ritrova d'altronde con un grattacapo non di poco conto: le recenti dimissioni del commissario al Commercio, l'irlandese Phil Hogan, a causa del cosiddetto scandalo Golfgate, dimissioni che hanno portato Valdis Dombrovskis ad assumere ad interim il suo delicato incarico. È chiaro che la Commissione deve fare in fretta per effettuare la sostituzione definitiva, perché una tale situazione di incertezza non può che danneggiare Bruxelles nelle trattative con Londra. Qualora Dombrovskis dovesse invece essere confermato nel ruolo di commissario al Commercio, non sarebbero escludibili (nuove) scintille con il Regno Unito: non dimentichiamo che, nel dicembre del 2019, il lettone espresse profonda preoccupazione per l'ipotesi di una Brexit fondata sul no deal. Alla luce di tutto questo, è abbastanza chiaro che il premier britannico punti a dividere il fronte europeo e, al contempo, a strizzare l'occhio a Washington. Era questa del resto la strategia che lo scorso gennaio aveva intenzione di mettere in campo. Tuttavia, se può effettivamente far leva sulle tensioni sotterranee tra Parigi e Berlino, Johnson non può permettersi al momento di fare eccessivamente sponda con gli Stati Uniti. Nonostante Donald Trump sia fortemente favorevole a un accordo commerciale con Londra, le imminenti elezioni presidenziali americane del 3 novembre gettano non poche incognite sui rapporti tra Downing Street e la Casa Bianca. Un'eventuale vittoria del democratico Joe Biden potrebbe infatti raffreddare le relazioni tra Washington e Londra: non dimentichiamo d'altronde che Barack Obama, di cui l'attuale candidato dem era vice, si schierò a favore del Remain nel 2016. Va quindi da sé come questo clima di incertezza elettorale transatlantica diminuisca, almeno al momento, i margini di manovra che Johnson ha nelle trattative con Bruxelles. E come di fatto il futuro della Brexit non possa non passare (anche) dalle prossime presidenziali americane.
Il ministro della Giustizia carlo Nordio (Imagoeconomica)