2019-11-25
«Bisogna rileggere Leopardi contro il naufragio dell’Italia»
Davide Rondoni, il poeta intervenuto a Bologna con Matteo Salvini: «Dobbiamo recuperare la nostra identità. Il popolo è arrabbiato perché gli avevano promesso il paradiso in terra e ora è disilluso».Un anno fa Davide Rondoni invitò Matteo Salvini al Piccolo festival dell'essenziale a Milano, conversò in pubblico e al termine lo abbracciò: fu coperto di insulti. Dieci giorni fa Rondoni ha aperto la manifestazione leghista al Paladozza di Bologna e si è preso il resto dagli «odiatori» del Web e pure da altri intellettuali. Forlivese trapiantato a Bologna, poeta, scrittore, ciellino, «cristiano anarchico di rito romagnolo» come ama definirsi, a Rondoni piace guardare le cose da una prospettiva ampia: «Intellettuale viene da “intus legere", guardare dentro, non limitarsi alla superficie». In questi giorni esce il suo ultimo libro, Noi il ritmo (La nave di Teseo), dedicato al legame tra la poesia e la danza.Com'è nato il rapporto con Salvini?«Prima delle elezioni dell'anno scorso fui invitato da un'associazione cattolica a Roma per parlare di temi legati alla demografia. Eravamo io e Gian Carlo Blangiardo».Poi diventato presidente dell'Istat.«A me chiesero un intervento di taglio culturale, a lui un approfondimento sui dati e un confronto con altre realtà europee. La presi apparentemente un po' alla lontana, partii da Leopardi e dal tema dell'identità lanciato con il grido del pastore alla luna: “E io, che sono?". La grande domanda della modernità rimasta sospesa».Sono state date tante risposte.«Tutte parziali. È il nucleo del problema: se non sai chi sei, ti paralizzi e non generi. Parlai della famiglia in modo non scontato e senza retorica. Tra tutti i politici presenti, e ce n'erano parecchi, alla fine Salvini fu l'unico che si avvicinò: mi disse che non aveva mai sentito parlare di quei temi in questo modo e volle restare in contatto».Vi vedete spesso?«La volta successiva fu a settembre a Milano, al Piccolo festival dell'essenziale, che ogni anno mette a tema quattro parole. L'anno scorso erano nascita, forza, sorpresa, sempre».Il famoso abbraccio che scatenò una canea.«Era stata una bella discussione, credo sia ancora visibile su Internet, una chiacchierata franca e con un tratto di una certa sincerità umana. Davanti alla parola “sempre" anch'io faccio fatica».Vi scambiate messaggini?«Come tra amici, per esempio quando giocano Milan e Bologna. Ci siamo visti un'altra volta a Milano Marittima».Al Papeete?«Lì vicino: il Papeete sorge per metà su un bagno che era di mio zio Mario. Grande bagnino. Prendemmo un caffè».E arriviamo al Paladozza 10 giorni fa.«Salvini mi ha cercato chiedendomi se mi andasse di fare un intervento culturale in apertura. Ho accettato a patto di poter dire quello che voglio».Sui giornali e tg non è uscito molto del suo intervento.«Fondamentalmente ho fatto un ritratto dell'Emilia Romagna prendendo spunto dai poeti che sono nati o hanno vissuto in questa terra, Guinizzelli, Carducci, Pascoli, Pasolini che è nato a Bologna. Ho rimesso al centro ancora il tema dell'identità e poi ho insistito sul fatto che la società ha bisogno di essere continuamente rianimata dal desiderio delle persone. Quello che anche don Giussani disse ad Assago alla Democrazia cristiana».Era il 1986.«Dopo più di 30 anni interventi di questo tipo scandalizzano ancora. Don Giussani fu invitato una volta a dire quello che voleva, penso di poterlo fare anch'io. Senza troppi conti in tasca all'interlocutore».Don Giussani alla Dc, lei alla Lega.«Io non faccio politica e non voglio farla, non è il mio mestiere».Andrebbe ovunque venisse chiamato?«Non “andrei", io vado dappertutto. È una cosa che ho imparato dal mio maestro Mario Luzi».Che c'entrano i desideri delle persone con la politica?«La politica non deve mortificare il desiderio della gente. Uno dei modi con cui si mortifica può essere la presunzione di organizzare tutto. Come diceva Leopardi, dove nessuno pensa ci sono molte regole».Allude al «modello emiliano» della sinistra?«Un'organizzazione perfetta è il sogno che in Emilia Romagna è sempre stato inseguito e sbandierato, al di là della realtà: servizi perfetti ma qualche anno fa un bambino è morto di freddo in piazza Maggiore». Che cosa dovrebbe fare la politica?«Creare condizioni per cui il desiderio migliore delle persone possa esprimersi. Lasciare libertà di costruire, senza pastoie o burocrazie. Fare bene il proprio lavoro, fare una famiglia, impiantare un'impresa non sono atti di egoismo o privatistici, ma gesti di generosità. Di generatività. La gente vuole generare. Il politico non deve organizzare tutta la vita alle persone, ma metterle nelle condizioni di poter generare. E siccome il desiderio non sta su da solo, ho invitato quelli del Paladozza a cercarsi la compagnia giusta perché il desiderio sia sempre rianimato».Ha una scaletta di priorità da indicare?«Mettere mano in maniera forte al campo educativo e semplificare la burocrazia».Quanto è d'accordo su ciò che dice Salvini?«Al Paladozza prima dell'intervento in pubblico l'ho invitato a fare più attenzione ai temi sociali, a come si usano le parole e alla realtà della cooperazione. C'è un mondo che la Lega può leggere meglio».E lui?«Ha accolto la provocazione. I poeti sono liberi e matti, e gli intellettuali in genere dovrebbero fare questo rispetto alla politica: non dare giudizi morali, che è facile e anche un po' banale, ma pensare e fare vedere il proprio pensiero di fronte alla complessità dei problemi davanti ai quali nessuno ha la verità in tasca. Lo facevano Pierpaolo Pasolini alle conferenze del Pci, Umberto Saba dialogando con il suo amico Palmiro Togliatti, Luzi prendendo posizione contro Berlusconi e diventando senatore con le firme che raccolsi io». È questo il suo compito oggi?«Sì. Leggere, pensare, scrivere, parlare, metterci la faccia e anche il fisico: non sono uno che si nasconde dietro la tastiera. E prendersi gli insulti, pure da personaggi che non sono né Croce né il cardinal Martini».Pentito?«Lo rifarei domani mattina. In Italia c'è il vizio che per gli intellettuali i posti deputati sono solo alcuni. Ma io non ci sto a “pre-giudicare" gli inviti che mi fanno».Dieci anni fa lei non fece una dichiarazione di appoggio a Vasco Errani, allora governatore Pd?«La politica è un giudizio storico rispetto alle circostanze, non un giudizio di fede: un uomo di cultura deve anche richiamare a questo».Non è nemmeno un giudizio ideologico?«Io sto con Pasolini: l'unica mia ideologia è la realtà. Non leggo la realtà attraverso le lenti dell'ideologia, ma all'opposto guardo il reale e cerco di vedere quali ideologie e quali campi politici oggi sono meglio o peggio. In Italia c'è bisogno di più libertà e più discussione, di non pensare che il nemico sia un cretino o un cane».Lei quindi rivendica il diritto di cambiare idea.«Errani, che considero un buon diavolo, mi sembrava in quel momento il miglior amministratore per l'Emilia Romagna. Sono tendenzialmente di sinistra, per quanto le categorie di destra e sinistra abbiano ancora un senso».Nemmeno in Emilia Romagna?«Se nelle periferie di Bologna il 17% degli elettori sono passati dal Pd alla Lega, non è che improvvisamente sono diventati tutti fascisti e razzisti».Appunto: che cos'è successo?«Il problema viene da lontano. Lo aveva già visto Tocqueville in America nel 1830: la promessa della democrazia liberale, la quale rimane il sistema migliore che abbiamo, rischia di produrre una grande delusione. La democrazia liberale di stampo americano promette all'individuo di essere più felice, più autonomo e più libero. Ma questa sorta di paradiso in terra è irrealizzabile, e prima o poi l'uomo sarà deluso».Scendendo da Tocqueville a noi?«Oggi la gente è delusa dalle troppe promesse e manda a quel paese le élite che gli hanno garantito il paradiso in terra senza realizzarlo. E come già diceva Manzoni, il sugo della storia il popolo lo capisce bene. Questa grande illusione, di cui la globalizzazione è stata l'ultimo mantra, ha lasciato un sacco di gente scontenta, delusa dopo essere stata illusa. L'errore che fanno molti, anche all'interno della Chiesa, è scambiare la causa con l'effetto».Che cosa intende?«Una certa situazione non si è creata per colpa di Trump o Salvini, semmai loro la interpretano e cercano di dare una risposta. Sono un esito, la causa sta molto più indietro».Oggi si vive nella paura.«La paura non è un sentimento primario: prima viene l'amore. Se ami i tuoi figli e fatichi ad arrivare a fine mese, ti incazzi. Ma perché ami i tuoi figli, non perché sei impaurito o depresso. Leggere la società in modo banale fomenta le cose peggiori».Perché critica chi parla di populismo?«È una semplificazione: questa crisi viene da lontano. Quello che viene chiamato populismo è il disagio delle persone davanti alla crisi».Che cosa pensa delle «sardine» che hanno manifestato contro il Paladozza?«Per me sia le sardine sia il Paladozza sono due belle piazze, se rimangono nel rispetto al di là delle coloriture e dei linguaggi. Il fatto che ci siano piazze contrapposte è un segno di democrazia».
Il laboratorio della storica Moleria Locchi. Nel riquadro, Niccolò Ricci, ceo di Stefano Ricci
Il regista Stefano Sollima (Ansa)
Robert F.Kennedy Jr. durante l'udienza del 4 settembre al Senato degli Stati Uniti (Ansa)