2023-04-18
Biocarburanti, siamo leader grazie alla ricerca. Ecco perché vogliono colpirci
L’Italia guida il settore promosso dal G7, che ha sconfessato il bando Ue. Eni e Bf collaborano in Kenya. Enea vuole usare i campi incolti per produrre combustibile.La Commissione di Ursula von der Leyen è nuda. Anzi, è a piedi e muta; nessuna reazione per ora al pronunciamento del G7 che la sconfessa sui biocarburanti e di fronte alla richiesta, più che legittima, dell’Italia di riaprire subito il confronto sui motori endotermici. Se non avverrà apparirà chiaro che la Commissione - tace sui biofuel, ma preme sulle concessioni balneari - è ostaggio delle pretese di Cina e Germania. I «sette grandi» nel documento firmato a Sapporo - anche grazie all’impegno del nostro ministro per l’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin spalleggiato da altri due ministri di peso, Adolfo Urso (Made in Italy) e Matteo Salvini (Infrastrutture e trasporti) - riconosce che per arrivare alla decarbonizzazione vanno promossi anche «combustibili sostenibili a emissioni zero, compresi i combustibili biologici e sintetici sostenibili». Venti giorni fa la baronessa Ursula aveva sbattuto la porta in faccia al presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L’Italia aveva tessuto con la Germania una iniziativa diplomatica per evitare la morte dei motori endotermici - per noi l’automotive vale 90 miliardi, il 5,6% del Pil, 300.000 occupati in oltre 5.000 aziende - e la Commissione aveva detto sì: i motori termici possono continuare oltre il 2035, ma niente biocombustibili, spazio solo agli efuel di cui la Germania è di fatto unico produttore. Berlino incassato il via libera ha abbandonato, come nella migliore tradizione di solidarietà europea, l’Italia. Gli efuel - sono quasi tutti a base di idrogeno liquido - costano un occhio (almeno tre volte tanto la benzina), consumano tantissima energia e acqua per essere prodotti e hanno problemi di distribuzione. I biocarburanti di cui l’Italia è leader invece sono solo estrazione di etanolo dalle piante. Il no della Commissione perciò è apparso immotivato se non con la determinazione di rendere l’Europa dipendente dalla tecnologia cinese e tedesca. L’ad della Renault Luca de Meo, con parole che saranno piaciute a Emmanuel Macron in cerca di nuova centralità europea, si è lanciato dopo quella pronuncia in una previsione: «Il motore endotermico è morto». Un altro «francese», Carlos Tavares, «capo» di Stellantis (comprende anche l’ex Fiat) al contrario ha ribadito: «Gli efuel devono ancora dimostrare la loro neutralità carbonica, sono una tecnologia da sviluppare, ma noi vogliamo offrire una mobilità sicura, pulita e accessibile. L’auto elettrica costa ancora troppo e non è l’unica soluzione». Sulla neutralità tecnologica ha molto insistito l’Italia per difendere i biocarburanti. Pichetto Fratin ha detto: «Ora si riapre il dibattito in Europa». Vedremo: è una partita molto politica oltreché economica. Se la von der Leyen punta alla poltrona di segretario della Nato non può non tener conto della raccomandazione dei Paesi più industrializzati (il G7) e del famoso piano Mattei per l’Africa. Giorgia Meloni vuole dispiegarlo per frenare l’ondata migratoria e ridare protagonismo economico all’Europa contrastando l’espansionismo cinese e passa anche dai biocarburanti. L’Eni - ha una tecnologia molto avanzata sviluppata nelle due raffinerie di Venezia e Gela dove si sta sostituendo la lavorazione delle materie prime fossili - ha aperto in Kenya in collaborazione con Bf (la maggiore holding agroalimentare italiana che comprende anche Bonifiche Ferraresi) nella contea Makueni il primo agrihub. Lì si coltiva ricino e dai semi si estrae olio che una volta raffinato sostituisce il gasolio. Nell’agrihub si producono anche - come lavorazione di risulta - mangimi bio per il bestiame per sviluppare zootecnia sostenibile in Africa. Negli studi che Eni ha condotto nel laboratorio Agrienergy a Marrubiu in Sardegna sempre in collaborazione con Bf sono state messe a punto specie vegetali resistenti alla siccità che consentono un’ottima produzione di biocarburanti. Enea e l’università Cattolica di Piacenza hanno evidenziato che dalle fasce tampone - sono previste in Italia dal 2011 e le raccomanda anche l’Ue, sono zone non coltivate dove cresce vegetazione spontanea che serve a proteggere i terreni messi a coltura e hanno un forte assorbimento di CO2 - si possono ottenere ottimi biocarburanti sfruttando i salici e il miscanto che è un’erba selvatica. Secondo questo studio: «Le emissioni di gas serra delle auto che funzionano con bioetanolo prodotto con miscanto e salice sono vicine allo zero, variando da 17 a 13,5 g CO2 a chilometro, mentre le auto a batteria vanno da 100,2 se alimentate a rinnovabili, a 200,4 grammi a chilometro se alimentate dal mix elettrico nazionale». Dunque l’Europa ha chiuso la porta al futuro e il G7 l’ha riaperta. Nota Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia che chiede l’apertura immediata di un confronto a Bruxelles: «La filiera agroalimentare italiana, forte sostenitrice dei biocarburanti, ha denunciato da subito l’assurda esclusione in sede Ue dei biocarburanti che potrebbero invece rappresentare uno strumento importante nella strada verso l’obiettivo zero emissioni senza distruggere l’industria italiana, come avverrebbe invece con i soli motori elettrici. Non ha senso aver voluto puntare solo sui carburanti sintetici che non sono ancora un prodotto industriale sostenibile, a seguito dell’accordo con la Germania, penalizzando invece i biocarburanti che non sono in competizione (come i detrattori di tali prodotti sostengono) con la filiera agroalimentare, ma piuttosto uno strumento di valorizzazione e ottimizzazione della stessa visto che le piante da cui estrarli si coltivano in aree marginali».
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