2023-10-27
«L’unica etica di Big Pharma è il profitto»
Il libro di un ex dirigente del settore rivela come le grandi industrie dei medicinali monopolizzino e manipolino il mercato. Con il trucco dell’allarme sui «fattori di rischio» le multinazionali puntano a un nuovo business: quello delle persone sane.Dei 7,7 trilioni di dollari di ricavi accumulati tra il 1999 e il 2018 dalle 15 principali multinazionali del farmaco (comprese Pfizer e Merck), solo 1,4 trilioni di dollari sono stati investiti in ricerca e sviluppo. La fetta più consistente, 2,2 trilioni di dollari, venne destinata alle spese generali comprese quelle di marketing. «Pensare che giustificarono l’elevato prezzo di vendita dei loro prodotti con gli ingenti costi della ricerca», commenta Franco Stocco. Autore di un piccolo ma dettagliato saggio (di prossima pubblicazione) che offre una lucida analisi della «deriva» etica dell’industria farmaceutica, è un ex addetto ai lavori. Laureato in farmacia, 66 anni, 35 dei quali trascorsi come dirigente nel settore oncologico e poi nelle aree dell’immunologia di colossi quali Farmitalia Carlo Erba, Aventis Pharma, Sanofi, Msd, Pierre Fabre, Stocco nove anni fa se ne andò in pensione anticipatamente (ma ha iniziato a percepirla solo da questo ottobre), perché non condivideva l’obiettivo ormai dominante nelle aziende. «Non più la salute, bensì il marketing», dichiara. Da quando il Bayh Dole act, provvedimento approvato dal Congresso americano nel dicembre del 1980, permise agli istituti di ricerca universitari di vendere le proprie invenzioni all’industria in cambio di royalties, «le farmaceutiche multinazionali si sono concentrate soprattutto nell’acquisto di brevetti dai laboratori pubblici, riducendo l’attività di ricerca dei propri», spiega l’esperto. È cambiata la mission di Big pharma che, anziché concentrarsi sullo studio di nuovi medicinali, ha puntato in gran parte sulla ricerca di brevetti di nuove tecnologie, o di nuovi prodotti «esplorandone la redditività», attraverso la acquisizione di piccole realtà come start up e spin off. Tra le conseguenze, segnala Stocco, c’è stata la perdita del know how che caratterizzava ciascuna azienda farmaceutica, e la perdita del senso di appartenenza e di identità dei suoi manager che, «attratti da compensi elevati, hanno acconsentito a un notevole turnover», cioè il passaggio da un’industria all’altra. Il tutto, in uno scadimento dell’interesse per la salute pubblica, che viene dichiarato solo se per strategie commerciali risulta utile alle vendite: «L’etica, che nel passato, se non voluta, era perlomeno tollerata, oggi viene utilizzata quando appare funzionale al raggiungimento degli obiettivi economici, del profitto», si legge nel saggio. Molto duro è il ritratto delle strategie aziendali, che impongono a manager e dirigenti l’allineamento imposto dall’alto «operando attraverso una capillare attività di lobbying». Inoltre, medici, ricercatori e personale sanitario finiscono spesso per essere considerati meri «clienti e testimonial, utili al raggiungimento degli obiettivi economici aziendali, anziché partner per lo sviluppo e l’utilizzo di soluzioni», sul campo. Sono considerati «affidabili» solo gli scienziati graditi alle istituzioni, come ha dichiarato il virologo tedesco Christian Drosten al World health summit, forum internazionale per la salute globale, che si è da poco concluso a Berlino. Al panel «Lezioni dal Covid-19 e prevenzione per future pandemie» ha invitato a stilare appositi elenchi. «Una volta che il processo decisionale politico sarà distorto dalla propaganda e dalla disinformazione, saremo condannati. (…) Non dovremmo permettere a qualcuno con un titolo accademico di parlare del nocciolo del problema nel mezzo di una pandemia. Bisogna rivolgersi alle istituzioni scientifiche per fare una selezione».L’aspetto più devastante, messo in luce dal dottor Stocco, è il nuovo business rappresentato dalla popolazione sana. «L’industria della salute vende anche “fattori di rischio”, cioè produce e promuove tecnologie per poter dire a una persona “tu sei sano ma porti con te alcune potenziali malattie”, quindi oltre a individuarle attraverso una diagnostica mirata ti offriamo soluzioni per evitare che in futuro tu possa svilupparle».In questa strategia, i vaccini ricoprono un ruolo chiave. Sfruttando il concetto che prevenire è meglio che curare, sono state proposte o imposte «nuove tecnologie chiamando con il termine “vaccino” prodotti concettualmente diversi tra loro e con differenti profili farmacologici come ad esempio i prodotti contro SarsCov2 che non sono antigeni ma approcci genici», rileva Stocco. Tra le tante considerazioni, il problema della manipolazione genetica sempre più spinta nelle aziende ma sottoposta a vecchie regole da parte delle agenzie regolatorie. Con simili ritrovati, si chiede l’ex dirigente Big pharma, «la valutazione della loro efficacia e tollerabilità sarà rispettosa del principio di precauzione, oppure la “proof of principle” (prova di concetto, prototipo per valutare le potenzialità di sviluppo di un’idea, ndr), fondata su “surrogati” della risposta farmacologica, prevarrà sulla prova clinica?».Ben poco aiuto può arrivare dalle pubblicazioni scientifiche. Gli studi sponsorizzati dalle farmaceutiche «sono quattro volte più numerosi di quelli della cosiddetta ricerca indipendente», osserva Stocco, e anche questa riceve fondi «sotto forma di elargizioni liberali o donazioni apparentemente non vincolanti, ma condizionanti». Le metanalisi, revisioni sistematiche della letteratura, amplificherebbero i messaggi fuorvianti provenienti da lavori che contengono errori sistematici (bias) che non vengono rimediati, perché «spesso i dati originari che sottendono gli articoli scientifici non vengono resi accessibili». Inoltre, eliminando i risultati di studi che non soddisfano chi li ha commissionati, «le stesse metanalisi risultano non solo inattendibili, ma amplificano i giudizi di parte». Pensare che dalla letteratura scientifica discendono gli orientamenti alla base della formazione dei sanitari e le linee guida che indirizzano le loro decisioni diagnostiche e terapeutiche. «Oltre l’80% dei presidenti e il 50% dei componenti le commissioni deputate a stilare le linee guida negli Stati Uniti e in Canada hanno conflitti di interesse», conclude l’esperto.