
Lo staff del presidente tarocca il resoconto stenografico. Ma il miliardario Mark Cuban, sostenitore di Kamala Harris, fa un altro autogol: «Mai presenze femminili intelligenti col tycoon». Coro di proteste e nuovi imbarazzi.Si arricchisce di nuovi risvolti la crisi politica, innescata dagli insulti di Joe Biden che, martedì, aveva definito «spazzatura» i sostenitori di Donald Trump. Come noto, la Casa Bianca era intervenuta poco dopo, affermando che il presidente era stato equivocato. Nonostante questo tentativo di smentita, il video del discorso di Biden lasciava poco spazio ai fraintendimenti. La stessa Kamala Harris aveva preso le distanze dalle parole del presidente, mentre il malumore non era tardato a esplodere dentro il Partito democratico. Eppure, anziché placarsi, la crisi si sta aggravando. Sulla base di un’email di cui è entrata in possesso, l’Associated Press ha rivelato l’esistenza di uno scontro, all’interno della Casa Bianca, tra l’ufficio stampa e l’ufficio degli stenografi. Il motivo? È presto detto. Gli stenografi avevano preparato una trascrizione del discorso del presidente, in cui quest’ultimo bollava esplicitamente come «spazzatura» i sostenitori di Trump. L’ufficio stampa, in un secondo momento, ha cambiato la trascrizione, per far credere che Biden, anziché ai supporter del tycoon, si stesse riferendo semplicemente al comico che aveva fatto una battutaccia sui portoricani durante un suo comizio domenica scorsa. Accortisi del cambiamento, gli stenografi hanno accusato l’ufficio stampa di «una violazione del protocollo e di una violazione dell’integrità della trascrizione». «Se c’è una differenza nell’interpretazione, l’ufficio stampa può scegliere di trattenere la trascrizione ma non può modificarla in modo indipendente», ha aggiunto l’ufficio degli stenografi.Per la Harris si tratta di un problema rilevante. Nonostante abbia preso le distanze dalle parole di Biden, quanto fatto dall’ufficio stampa della Casa Bianca rischia di danneggiarla: non dimentichiamo infatti che la candidata dem è vicepresidente in carica degli Stati Uniti. Una tale opacità da parte dei funzionari della sua stessa amministrazione potrebbe crearle non pochi grattacapi negli ultimi giorni di campagna elettorale. Anche perché, a gennaio 2021, l’allora portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, aveva promesso che l’amministrazione Biden-Harris avrebbe «portato nuovamente la trasparenza e la verità nel governo».Ma non è l’unico guaio, questo, per la candidata dem. Giovedì, il miliardario Mark Cuban ha usato parole offensive nei confronti delle donne che sostengono Trump. «Non vedrete mai Donald Trump attorniato da donne forti e intelligenti», ha detto, intervenendo su Abc. Ricordiamo che Cuban sta facendo da settimane campagna per la Harris e che, a inizio ottobre, è stato tra i promotori del gruppo Business Leaders for Harris. Neanche a dirlo, molte donne conservatrici hanno criticato le dichiarazioni di Cuban. Di «vergogna sessista» ha parlato la deputata repubblicana Elise Stefanik, mentre la nipote di Martin Luther King, Alveda, ha accusato il miliardario pro Harris di aver usato «parole tristi e misogine». «Questo è estremamente offensivo per le migliaia di donne che lavorano per il presidente Trump e per le decine di milioni di donne che lo stanno votando», ha dichiarato la portavoce della campagna di Trump, Karoline Leavitt, mentre Cuban alla fine si è arreso. «Mi scuso con chiunque si sia sentito offeso o turbato dalla mia risposta», ha scritto ieri su X.Per la candidata dem si tratta dell’ennesimo imbarazzo, che potrebbe minare i suoi sforzi volti ad attrarre il voto dell’elettorato femminile presente nei grandi hinterland benestanti di Georgia, North Carolina, Virginia e Pennsylvania: vecchie roccaforti di repubblicani centristi che, nel 2020, avevano voltato le spalle a Trump. Non è escludibile che le parole di Cuban possano adesso spingere alcune elettrici moderate di queste aree a evitare di votare per la Harris. Tra l’altro, quanto asserito dal miliardario rischia anche di danneggiare l’immagine di paladina femminista che la vicepresidente ha cercato di costruirsi per tutto questo tempo.Per tentare di distogliere l’attenzione da tale crisi, la campagna della Harris ha tacciato il tycoon di aver auspicato che l’ex deputata repubblicana anti-trumpista, Liz Cheney, finisca «davanti al plotone d’esecuzione». In realtà, le cose non stanno esattamente così. L’accusa nasce infatti da una frase totalmente decontestualizzata. Trump, parlando in Arizona, stava criticando la politica estera interventista di cui la Cheney è storicamente fautrice. «Lei è un falco radicale. Mettiamola lì con un fucile, mentre nove canne le sparano contro, ok? Vediamo cosa ne pensa. Sai, quando le puntano le armi in faccia», ha detto, per poi aggiungere: «Si capisce che sono tutti falchi quando sono seduti a Washington in un bell’edificio e dicono: oh cavolo, bene, mandiamo 10.000 soldati dritti nella bocca del nemico». Trump non ha quindi invocato la fucilazione della Cheney. Il succo del suo discorso era semmai diretto contro la logica dell’«armiamoci e partite».A livello sondaggistico, la situazione resta in bilico. La media di Real Clear Politics dà un sostanziale testa a testa sia a livello nazionale sia negli Stati chiave. Eppure attenzione: nelle scorse ore, Nate Silver ha detto di sospettare che i sondaggisti stiano mantenendo apposta il quadro di una corsa elettorale serrata. Se avesse ragione, ciò vorrebbe dire che, forse, l’esito delle elezioni potrebbe non rivelarsi quello di un testa a testa. Dobbiamo quindi attenderci qualche sorpresa eclatante?
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.





