2021-07-26
Biden e il gasdotto della discordia
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Dopo anni di controversie, lo scorso 21 luglio Stati Uniti e Germania hanno alla fine trovato un compromesso sul gasdotto Nord Stream 2. Nonostante si fosse fermamente opposto al completamento dell'opera durante i primi mesi di presidenza, Joe Biden ha dato il via libera al progetto, venendo così incontro ai desiderata di Berlino e Mosca. Una mossa, quella della Casa Bianca, carica di implicazioni dal punto di vista politico e geopolitico. Innanzitutto, la scelta di Biden può essere inserita nel più ampio contesto di quel tentativo di disgelo con la Russia, iniziato il mese scorso in occasione del suo incontro a Ginevra con Vladimir Putin. In secondo luogo, è anche plausibile ritenere che la Casa Bianca voglia tendere una mano a Berlino, per disinnescare alcuni dei (numerosi) dossier divisivi attualmente sul tavolo (a partire dai sempre più stretti legami dei tedeschi con la Cina). In terzo luogo, questo improvviso cambio di rotta dell'amministrazione americana ha già prodotto forti malumori nell'Est Europa: in particolare, Polonia e Ucraina hanno diffuso un comunicato congiunto piuttosto duro. «Ucraina e Polonia», vi si legge, «lavoreranno insieme ai loro alleati e partner per opporsi a NS2 fino a quando non saranno sviluppate soluzioni per affrontare la crisi della sicurezza creata da NS2, per fornire supporto ai Paesi che aspirano a diventare membri delle istituzioni democratiche occidentali e per ridurre le minacce alla pace e alla sicurezza energetica». Il comunicato contiene, in tal senso, anche una critica alla posizione statunitense, accusata di aver determinato «una minaccia politica, militare ed energetica per l'Ucraina e l'Europa centrale». È pur vero che, nell'accordo tra Washington e Berlino, vengano prese in considerazione misure a sostegno dei Paesi recalcitranti (in particolare Stati Uniti e Germania si impegnano a investire in energia verde in Ucraina e a comminare sanzioni contro la Russia, se quest'ultima dovesse usare il gasdotto come leva geopolitica): ma si tratta, a ben vedere, di meri palliativi. È anche alla luce di questi elementi che, lo stesso 21 luglio, la Casa Bianca ha annunciato una visita ufficiale a Washington del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: una visita che dovrebbe avvenire il prossimo 30 agosto e che servirà prevedibilmente a Biden per cercare di rassicurare Kiev. Ciò detto, anche in politica interna, la situazione per il presidente americano non è particolarmente rosea. I repubblicani sono sul piede di guerra, con il senatore del Texas Ted Cruz che è andato all'attacco. «Se i rapporti e i dettagli di un accordo sono accurati, questa sarà una vittoria geopolitica generazionale per Putin e una catastrofe per gli Stati Uniti e i nostri alleati. Il presidente Biden sta sfidando la legge degli Stati Uniti e si è completamente arreso a Putin», ha tuonato in una nota. Effettivamente è un bel paradosso che sia stato proprio Biden a dare l'assenso al gasdotto: quel Biden che, in campagna elettorale, aveva accusato Donald Trump di eccessiva accondiscendenza nei confronti di Vladimir Putin. Un Trump che, ricordiamolo, nel dicembre 2019 aveva invece imposto sanzioni contro le aziende coinvolte nella realizzazione del Nord Stream 2. Il punto è che, per l'attuale inquilino della Casa Bianca, i grattacapi rischiano di arrivare anche dal suo stesso partito. Svariati suoi esponenti non hanno infatti preso troppo bene l'ok al gasdotto. È per esempio il caso dei senatori dem Bob Menendez e Jeanne Shaheen. «Non sono ancora convinta che questo accordo - o qualsiasi accordo bilaterale - possa fornire sufficientemente garanzie ai nostri alleati europei e ridurre al minimo il notevole impatto economico e le implicazioni sulla sicurezza del completamento di questo gasdotto», ha affermato la Shaheen in una nota. Biden rischia insomma di ritrovarsi per l'ennesima volta con un partito spaccato in due. Ma, cosa forse per lui ancor peggiore, di dover affrontare i malumori degli Stati produttori di gas naturale (come Pennsylvania e Texas): un bel grattacapo con le elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo anno.