2024-04-18
Biden alza i dazi alla Cina. Rischiamo di finire stritolati nella guerra commerciale
Il presidente inasprirà le barriere su acciaio e alluminio: mossa elettorale anti Trump. La scelta italiana di puntare su società del Dragone può diventare un boomerang.Il presidente americano Joe Biden infiamma la battaglia commerciale con la Cina e annuncia di voler triplicare i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio cinesi. La campagna per le elezioni entra nel vivo e il presidente uscente cerca voti per la riconferma, battendo gli Stati più a rischio di oscillazione nei consensi. Il proclama arriva infatti da Pittsburgh, in Pennsylvania, la capitale americana dell’acciaio, dove persino la locale squadra di football si chiama Steelers. La Pennsylvania è uno degli stati cosiddetti swing, dove le elezioni si vincono o si perdono per una manciata di voti e che non hanno un orientamento politico consolidato. A caccia dei voti degli operai, Biden ha parlato dalla sede del sindacato United steel workers (Usw), spiegando di voler aumentare gli attuali dazi (decisi da Donald Trump durante il suo mandato) dal 7,5% al 22,5%. Un tentativo di mostrare l’intenzione di proteggere i posti di lavoro dall’assalto delle merci cinesi. «Le politiche cinesi e i sussidi per le industrie nazionali dell’acciaio e dell’alluminio fanno sì che i prodotti statunitensi di alta qualità siano indeboliti da alternative cinesi artificialmente a basso prezzo prodotte con emissioni più elevate», ha affermato la Casa Bianca in una nota. La stessa nota spiega che l’amministrazione Biden ha già imposto oltre 30 dazi anti dumping e compensativi sui prodotti legati all’acciaio contro diversi Paesi. Biden ha inviato anche emissari in Messico per colloqui con il governo locale, onde prevenire il possibile aggiramento dei dazi.Inoltre, sempre ieri, il rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti ha annunciato l’avvio di una indagine sulle pratiche commerciali cinesi in merito ai settori marittimo, logistico e della costruzione navale. L’indagine parte dall’esposto di cinque sindacati, tra cui la stessa Usw.A ben guardare, però, la Cina non è affatto il principale esportatore di acciaio verso gli Stati Uniti. Se parliamo del solo prodotto acciaio, la Cina è addirittura il settimo fornitore con meno di 600.000 tonnellate nell’intero 2023, secondo l’Ocse. Il primo fornitore americano è in realtà il Canada, che esporta negli Usa 6,5 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, seguito dal Messico con 4,78 milioni di tonnellate. Il che fa pensare a una delocalizzazione delle aziende statunitensi, soprattutto nel caso del Messico, più che a una invasione cinese. Ma il calcolo di Biden è che accusare la Cina della crisi dell’acciaio americano porti i voti degli operai.La giravolta democratica, questa volta, è evidente e difficilmente potrà essere nascosta sotto titoli eufemistici come Inflation reduction act (l’ondata di sussidi diretti esclusivamente alle aziende americane lanciata quasi due anni fa da Biden). Anzi, vi è tutta la convenienza, in termini elettorali, a comunicare che si tratta proprio di proteggere l’economia americana. La nuova ondata protezionista di Biden scimmiotta quella di Trump, tanto che dalla Casa Bianca filtrano i distinguo, secondo cui, a differenza dei dazi imposti a suo tempo da Trump, la mossa di Biden sarà «strategica e bilanciata».In attesa di capire cosa questo significhi esattamente, Biden in Pennsylvania ha visitato la casa in cui ha vissuto da bambino fino all’età di 10 anni in un quartiere popolare di Scranton. Mentre Donald Trump è in tribunale a New York per un processo penale. Nell’ultimo sondaggio pubblicato dal Wall Street Journal due settimane fa, in Pennsylvania Trump era in vantaggio di tre punti (47 contro 44). Ma i sondaggi sono solo orientamenti di massima, il voto nelle urne è tutto un altro affare. Sarà da capire nelle prossime settimane l’effetto dell’annuncio di Biden e, soprattutto, quale sarà la reazione della Cina. «Non vogliamo una guerra commerciale con la Cina», ha detto Biden ai cronisti.L’Europa, come un personaggio in cerca d’autore, arranca tra indagini sui sussidi cinesi ai pannelli solari e il Cbam, cioè il dazio sulla CO2 che partirà nel 2026. Il discorso di Mario Draghi di due giorni fa in Belgio preannuncia un orientamento per la prossima Commissione europea improntato a un mercantilismo con forti accenti protezionistici, mentre ancora una volta lega lo sviluppo economico dell’Unione alla transizione green. Difficile però uscire dalla dipendenza dalla Cina restando su questo terreno. In Italia intanto si affaccia il costruttore cinese di automobili Dongfeng motor group, che avrebbe iniziato trattative con il governo per aprire propri stabilimenti e lanciare la produzione di veicoli elettrici e ibridi nel nostro Paese. L’idea sarebbe di produrre fino a 100.000 veicoli all’anno in Italia e nasce dall’intenzione del governo italiano di trovare un’alternativa a Stellantis. L’ex gruppo Fiat, infatti, è sempre meno presente in Italia e quasi tutti gli stabilimenti sono in crisi di produzione.Vi è da chiedersi però se la mossa del governo di Giorgia Meloni sia azzeccata, considerato che dall’America spirano venti protezionistici, anche in assenza di Trump. Né va sottovalutato il fatto che la tanto celebrata transizione ecologica dal punto di vista industriale si è sin qui rivelata fallimentare.