
Il distributore cinematografico Jacopo Capanna: «Avevo bisogno di prevendere i diritti tv, ma il Cavaliere era tutto preso dall'entrata in politica».In questa situazione di isolamento forzato, un libro, specie se divertente, può allietare la giornata. Jacopo Capanna, distributore e produttore cinematografico (tra i tanti film, Fratelli d'Italia, Faccione, Il conte Max, La riffa, esordio di Monica Bellucci), con verve tipicamente livornese, racconta in Gentiluomini di fortuna (edito da Ensemble) la sua avventurosa vita nel mondo del cinema che lo ha portato dalla spiaggia di Castiglioncello fino a Hollywood. Sfilano nei suoi ricordi piccoli e grandi personaggi e frammenti di storia d'Italia, vissuta da una prospettiva privilegiata, con il sospetto, spesso, di essersi trovato al posto giusto nel momento sbagliato. «A un passo dal successo», come conclude ironicamente. Ma noi ripartiamo dall'inizio, guidati dall'esergo di Robert Louis Stevenson: «La vita non dipende dall'avere in mano buone carte, ma dal giocare bene una cattiva mano»...Ha cominciato vendendo film alle nascenti televisioni private nella seconda metà degli anni Settanta. Chi ha avuto l'intuizione che i film avrebbero avuto un nuovo canale di sfruttamento?«Questa è la domanda delle domande. Mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto. L'intuizione la ebbe un produttore cinematografico con casa a Castiglioncello, dove io passavo tutte le mie estati, il quale però, come spesso succedeva ai produttori dell'epoca, non aveva una lira, quindi chiese a mio padre di finanziare l'acquisto di un pacchetto di film... una schifezza di film! Insieme a papà decisero di fondare una società, la Video distributori associati, il cui oggetto sociale era un mistero per lo stesso notaio perché non esistevano società di questo tipo. Le quote furono date a me e al figlio di questo produttore e così è nato questo lavoro. Era il 1977». Il primo pacchetto di film da dove proveniva?«Da un fallimento o da qualche situazione del genere, spaghetti-western e filmacci di serie Z! Capimmo immediatamente che bisognava comprare i film direttamente dai produttori. Uno dei primissimi fu Lucisano. Andai da Fulvio, che era un uomo curioso nei confronti dei giovani. Gli dissi: “Mi vende i diritti televisivi del suo pacchetto di film?". E lui: “Scusa, cosa sono i diritti televisivi?". “Non si preoccupi. Ci penso io a venderli". Mi dette un pacchetto di venti-trenta film e io glieli pagai firmando le cambiali come fece Fantozzi quando comprava la Bianchina! Mi resi conto che un film che avevo pagato un milione e mezzo di lire a Lucisano il giorno dopo lo vendevo a dieci televisioni a quindici milioni! Prendevo la macchina e andavo a cercare le televisioni che spuntavano come funghi su tutto il territorio nazionale. Abbiamo fatto una specie di rete di vendita estremamente capillare e vendevamo i film a queste televisioni private. Compravamo i film dai maggiori produttori dell'epoca».Ricorda qualche titolo?«C'erano tantissime commedie. Un produttore da cui compravo volentieri film era Luciano Martino, che aveva prodotto tanti film con Edwige Fenech e Alvaro Vitali».Uno dei motivi del grande successo delle nascenti tv privati furono proprio i film della commedia «scollacciata», che non si erano mai visti in televisione.«Erotici per modo di dire».Per l'epoca...«Andavano di gran moda».Ricorda qualche proprietario di queste fantomatiche televisioni private?«I personaggi erano sempre gli stessi: proprietari di qualche negozio di elettrodomestici, che avevano montato due antenne, in molti casi passando i cavi sui tetti dei paesi in cui volevano aprire la tv e facevano dei programmi assurdi. Erano scimmiottamenti della Rai in modo ridicolo». È stato il primo a fare quest'attività?«Penso di sì. Io, assieme a Vittorio Balini».L'uomo che ha venduto il telefilm Dallas a Berlusconi.«Era molto famoso, ignorante nel senso che ignora, come direbbero Aldo, Giovanni e Giacomo, scarpe grosse e cervello fine, molto furbo e intelligente».Lei ricorda quando Berlusconi calò a Roma e comprò direttamente i film dai produttori?«Certo. Fece un accordo con Goffredo Lombardo e si assicurò i diritti della library Titanus: se i diritti di un film si vendevano, per dire, a cinque milioni di lire l'uno, lui arrivò e disse: “Cinquanta˃ e comprò spendendo una montagna di soldi (nel 1979 Berlusconi acquistò dalla Titanus un pacchetto di 325 film alla cifra astronomica di due miliardi di lire, ndr). All'epoca i palinsesti televisivi erano pieni di film, dalla mattina alla sera. Un filmificio! Poi Berlusconi fece un accordo con la Cineriz e comprò i film della Rizzoli. Quelli di Mario Cecchi Gori provai io ad acquistarli. Berlusconi aveva una persona che si occupava di tutto che si chiamava Sandro Parenzo, il quale era molto bravo e conosceva il cinema. Era anche uno sceneggiatore (successivamente produttore, distributore e proprietario di Telelombardia, ndr). Me li soffiò, poi diventammo amici e soci nell'Artisti associati».L'intuizione l'avete avuto prima voi?«È il solito discorso: non ce la fai a giocare a un tavolo di poker con uno ha cento volte più soldi di te. Puoi essere il più bravo del mondo, ma alla fine perdi sempre! Quando, nel 1984, comprai il pacchetto di film della Gaumont, che comprendeva anche Il tempo delle mele, Carlo Bernasconi, che era il numero uno delle acquisizioni Mediaset, una persona veramente di categoria, mi disse: “Questo pacchetto lo devi vendere a noi". “Carlo, se avessi stretto la mano a te, ti dispiacerebbe se facessi un voltafaccia e lo vendessi a qualcun altro. Io credo nell'etica professionale". Lui mi disse: “Guarda che al dottore questa storia non va giù˃. Prima che diventasse presidente del Consiglio, Berlusconi lo chiamavano tutti “dottore". Dopo un paio di giorni, io stavo in ufficio, venne la segretaria e mi disse: «Di là c'è Parenzo con Silvio Berlusconi». Pensai a uno scherzo, ma lei rimase seria. Andai in sala riunione e lì c'erano ad aspettarmi Parenzo e Berlusconi, il quale mi disse: “Rispetto la sua gentilhommerie, ma tanto prima della fine dell'estate avrò comprato la Mondadori e quindi il problema non si pone". A quel punto me la feci sotto perché pensai di aver fatto una sciocchezza. Corsi a Segrate. Mario Formenton, un grande gentiluomo, proprietario della Mondadori, stava già male, per cui andai a parlare con Leonardo Mondadori. Gli dissi di Berlusconi: “Ma lei è matto! Si figuri se quel palazzinaro...". Dopo qualche tempo a chi vendette le sue azioni? A Berlusconi». In quegli anni è entrato in contatto anche con Maurizio Costanzo, che veniva dall'esperienza dell'emittente televisiva Pin (Prima rete indipendente) della Rizzoli.«Abbiamo cominciato a produrre un programma televisivo che si chiamava Passa parola, che abbiamo distribuito in giro per tutta Italia attraverso le cassette. Facevamo una specie di finta diretta, mandavamo le cassette con la pubblicità già pronta e allo stesso orario serale il programma veniva mandato in onda da varie televisioni private su tutto il territorio nazionale. Con Costanzo siamo andati avanti per quindici anni, condividendo l'esperienza del Maurizio Costanzo Show». Agli inizi degli anni Ottanta ha portato in Italia la telenovela Anche i ricchi piangono, un cult delle tv private...«Abbiamo fatto un contratto con una syndication che faceva capo a un gruppo di pubblicitari milanesi, tra i quali la famiglia Pessina. Comprendeva 25-30 televisioni locali ben distribuite in Italia e abbiamo vinto il Telegatto nel 1985, che nessuna syndication aveva mai vinto. Compravo, doppiavo e rivendevo, il tutto nel giro di pochi mesi. Era una specie di Bengodi perché non c'erano problemi di soldi. Era una meraviglia».C'erano pochissimi rivali.«Sì, poi però le major americane cominciarono a vendere l'intera produzione annuale direttamente a Rai o Mediaset. Era finita l'età dell'oro».In campo cinematografico il suo grande rimpianto è stato Titanic...«Io avevo coprodotto con la 20th Century fox True Lies di James Cameron nel 1994 e con Cameron feci un output deal di distribuzione, cosa che nessuno aveva mai fatto prima. Questo accordo comprendeva i film successivi che avrebbero diretto lui e la sua ex moglie Kathryn Bigelow. Il problema è che sono arrivato al posto giusto nel momento sbagliato! Per procedere economicamente avevo bisogno di prevendere i diritti televisivi, per cui andai da Bernasconi spiegandogli la situazione. Lui mi disse: “Ti avrei detto di sì perché ovviamente ci interessa moltissimo, ma in questo momento il dottore è in tutt'altra faccenda affacendata". Berlusconi aveva deciso di entrare in politica e si chiudevano baracca e burattini! Allora feci un accordo con 20th Century fox e loro presero i diritti di distribuzione. Il film successivo a True Lies che avrebbe girato James Cameron era proprio Titanic».Si è rifatto acquistando i diritti di un altro successo planetario, Twilight.«Dopo l'esperienza ad Artisti associati, sono passato alla Eagle Pictures, la società di Tarak Ben Ammar, un genio della finanza, che avevo conosciuto da ragazzo a Castinglioncello insieme al suo amico Mark Lombardo, anche lui futuro produttore. Per Twilight è stata brava la mia foreign acquisition, Maria Grazia Vairo, la quale mi disse che le ragazzine di tutto il mondo stavano impazzendo per il romanzo. Lessi dieci pagine, mi fecero schifo e non avevo nessuna voglia di proseguire nella lettura. Lei però mi disse: “Hanno venduto un milione di copie in Italia". “Però!". Senza averlo visto decidemmo di comprarlo». Il suo lavoro è spesso una questione di intuito. Ricorda un film per il quale non ebbe fiuto?«Il pranzo di Babette del regista danese Gabriel Axel, che nessuno voleva. Di solito i film si comprano sulla sceneggiatura. In quel caso, proprio perché nessuno lo aveva acquistato, andai a vederlo. Parenzo mi disse: “Compriamo questo film" e io gli risposi: “E cosa ci facciamo?!". Non l'abbiamo comprato e il film ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero! Capita...».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.