Per il quarto anno la Germania non seguirà i paletti sui conti imposti dalla Costituzione. Senza poter ricorrere ai fondi pubblici il governo Scholz è in grande affanno. Intesa promuove i nostri porti con le aziende del Nord.Ieri ha fatto il giro dei social e di alcuni media tedeschi la reazione avuta mercoledì scorso da Olaf Scholz, in conferenza stampa a Berlino. Il cancelliere ha alzato gli occhi al cielo dopo che una giornalista tedesca ha chiesto a Giorgia Meloni se, vista la crisi sul bilancio di Berlino, la Germania sia «ancora un partner affidabile» per l’Italia. Meloni ha poi risposto di considerare affidabili sia Scholz sia la Germania sottolineando di non essere tra quelli «a cui piace l’ingerenza esterna sulle questioni interne dei Paesi membri, e quindi non intendo farlo neanche in questa occasione». Ma al netto delle risposte diplomatiche, la domanda della giornalista tedesca non era assolutamente peregrina. Perché il governo di Berlino deve fronteggiare una forte crisi, è alle prese con la decisione della Corte federale che ha stabilito che la decisione del governo di riallocare 60 miliardi di debito inutilizzato dell’era della pandemia al suo fondo per il clima è «incostituzionale». Ieri il ministero delle Finanze ha dunque annunciato che per il quarto anno consecutivo intende sospendere per il 2023 la norma costituzionale che limita fortemente il ricorso al deficit pubblico. Il governo «presenterà un bilancio collettivo» per «garantire» la spesa prevista per quest’anno e per farlo invocherà «una situazione di urgenza», condizione necessaria per sospendere ancora una volta la norma costituzionale nota come «freno al debito», che limita il deficit pubblico allo 0,35% del Pil. Il bilancio bis includerà una spesa per introdurre un «freno ai prezzi dell’elettricità e del gas» per le famiglie e le imprese, «su una base costituzionalmente sicura», ha dichiarato il ministro Christian Lindner. Spesa che appunto è stata congelata per il momento a seguito del richiamo all’ordine da parte della Corte suprema. Il ministro ha poi aggiunto di voler «chiarire le cose» per l’anno in corso, in modo da poter avviare le discussioni sul bilancio 2024, già rinviate a tempo indeterminato dal governo. Proprio oggi avrebbe dovuto presentare la manovra ma la seduta è stata annullata e rinviata all’ultima sessione parlamentare prima di Natale. Il rischio è quello di entrare nel nuovo anno con «l’esercizio provvisorio». Chi di austerità ferisce, di austerità perisce, direbbero i maligni. Resta il fatto che in Germania sono congelati miliardi di spesa pubblica, dai tagli sono stati salvati per ora solo l’ufficio del presidente federale, i due rami del Parlamento e la Corte costituzionale. E a Bruxelles è stato già notificato che Berlino non è più in grado di contribuire al fondo da 100 miliardi (metà di questi sono destinati all’Ucraina). Ieri sono usciti i dati del Pmi manifatturiero tedesco che è aumentato a 42,3 a novembre 2023, il più alto in sei mesi, da 40,8 di ottobre e leggermente migliore delle previsioni di mercato (41,2). Questo emerge dalle stime preliminari. Tuttavia, i dati continuano a indicare una profonda contrazione nel settore, sotto i 50 punti, anche se il tasso di declino si è attenuato. Il Pmi servizi a novembre si è invece attestato a 48,7 da 48,2 di ottobre e batte le stime (48,5) così come quello composito è salito a 47,1 punti da 45,9 di ottobre anch’esso sopra le stime. Basterà per attenuare la recessione dell’economia tedesca? Vedremo. Il problema è che la crisi non va considerata solo in termini tecnici: Scholz ha difficoltà a governare un sistema economico tenuto fin qui grazie anche agli aiuti di Stato che hanno sostenuto le aziende tedesche. E che valgono quasi la metà di tutti quelli autorizzati da Bruxelles. E questo diventa indirettamente anche un problema per noi, considerando che la Germania è primo partner commerciale dell’Italia. Ne è consapevole anche la banca di sistema del nostro Paese, Intesa Sanpaolo, che non a caso ha svolto in questi giorni a Francoforte una missione dedicata alla promozione dello sviluppo dei porti italiani, attraverso la Zona Economica Speciale Unica del Mezzogiorno e le Zone Logistiche Semplificate del Centro Nord. L’obiettivo del gruppo guidato da Carlo Messina è proprio quello di attrarre investimenti esteri puntando sul settore della logistica e dello shipping. Insomma, portare le aziende tedesche in Italia e rafforzando il ruolo di banca di riferimento del settore portuale e dell’economia marittima. Sul campo dei porti tedeschi bisogna comunque stare attenti al ruolo di Pechino. Ad Amburgo, infatti, la cinese Cosco ha preso in gestione al 25% un piccolo terminal minacciando di spostare le sue navi cargo a Rotterdam e Anversa dov'è già presente. A limitare l’espansione del Dragone, che punterebbe a replicare lo stesso schema adottato nel porto greco del Pireo dove ha conquistato il controllo quasi totale delle operazioni, ci ha però pensato la Msc di Gianluigi Aponte che a settembre ha lanciato un’Opa sulla Hhla (la società che controlla i terminal di cui Amburgo detiene la maggioranza) rafforzando così anche la propria presenza a Trieste dove già gestisce il Molo Settimo. In Germania, l’accordo preliminare prevede che la città di Amburgo detenga almeno il 50,1% del capitale di Hhla mentre Msc potrà arrivare sino al 49,9%. Il gruppo di Aponte e l’amministrazione cittadina di Amburgo non hanno ancora raggiunto l’obiettivo di ottenere il 90% delle azioni ma hanno tempo fino al 7 dicembre.
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