L'indice di fiducia degli investitori tedeschi crolla ai valori del 2011. In parallelo la bilancia commerciale scende del 18% in un solo mese e la produzione del 5% in un anno. Le opposizioni al governo chiedono di spendere in tlc: in molte aree non c'è nemmeno il 4G.Ogni giorno che passa sul cielo sopra Berlino si addensano nubi sempre più scure. L'ultima tegola sul versante economico risale a ieri, a seguito della pubblicazione dell'indice Zew, l'indicatore del sentiment degli investitori tedeschi. Ebbene, il dato diffuso dal Leibniz-Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (Zew) di Mannheim relativo al mese di agosto è pari a -44,1 punti, in calo di ben 19,6 punti rispetto al mese di luglio e di 23 punti rispetto a giugno. L'indicatore ha fatto così segnare un nuovo minimo da dicembre 2011, avvicinandosi pericolosamente a quota -50 punti, un limite che è stato infranto solo 11 volte dal 1991 a oggi. Per capire la portata del dato, basti pensare che l'indice si basa sull'opinione di 350 esperti: se la risultante ha il segno positivo, complessivamente gli intervistati hanno un feeling positivo circa l'andamento dell'economia, viceversa se il numero è negativo significa che prevale l'atteggiamento pessimista. Viene confermata dunque, casomai ce ne fosse bisogno, la cappa di negatività e incertezza che aleggia già da mesi sul futuro della locomotiva tedesca. Quello di ieri infatti rappresenta il quarto calo consecutivo. Solo qualche mese fa, ad aprile, dopo una lenta ma costante risalita l'indicatore era ritornato in terreno positivo, facendo così credere nella possibilità di una timida ripresa. Speranze che negli ultimi mesi si sono progressivamente trasformate in pie illusioni.«L'indice Zew suggerisce un significativo deterioramento delle prospettive dell'economia tedesca», ha commentato il presidente dello Zew Achim Wambach. «La recente e progressiva escalation nella disputa commerciale tra Stati Uniti e Cina, il rischio di svalutazioni competitive, e le maggiori probabilità di una “no deal Brexit" stanno aggiungendo pressioni sulla già di per sé debole crescita economica», ha aggiunto Wambach, «e ciò metterà a dura prova lo sviluppo delle esportazioni tedesche e della produzione industriale». Non poteva esserci considerazione più azzeccata: le ultime rilevazioni dicono infatti che entrambi gli indicatori sono in caduta libera. Venerdì l'Ufficio federale di statistica ha reso noto che nel mese di giugno le esportazioni tedesche sono calate dello 0,1% rispetto a maggio, e dell'8% in confronto allo stesso mese dell'anno precedente. La contrazione si è fatta sentire sia verso i Paesi europei (-6,2%) che verso quelli extra Ue (-10,7%). Negativo anche il trend della bilancia commerciale, il cui saldo è sceso a 16,8 miliardi a giugno (-18,4% rispetto a maggio) e 109,9 miliardi nel primo semestre (-10,2% se paragonato al primo semestre del 2018). Male anche la produzione industriale. Il dato provvisorio di giugno pubblicato mercoledì scorso lascia poco spazio all'immaginazione: -1,5% rispetto al mese precedente e -5,2% paragonato allo stesso mese del 2018. Anche in questo caso imputati principali sono l'imminente Brexit e la guerra dei dazi tra Washington e Pechino. Certo, fa sensazione pensare che la prima economia dell'eurozona sia così fortemente suscettibile a fattori geopolitici, i quali per quanto importanti da soli non bastano a giustificare un tracollo così drastico. D'altronde, a livello europeo la produzione industriale ha dato qualche segnale incoraggiante, con un timido ma seppur positivo +0,8% congiunturale e un +0,4% tendenziale. Permangono grosse differenze tra i vari Paesi (vanno forte Danimarca, Ungheria e Slovacchia) ma la costante è che ormai da molti mesi la Germania buca il risultato. Con effetti disastrosi per l'intera Ue, considerate le proporzioni dell'economia tedesca.Una situazione che, a dispetto dell'elezione dell'ex ministro della Difesa Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, tradisce il forte ridimensionamento a livello globale del peso di Berlino e del ruolo di Angela Merkel. L'ultimo schiaffo in ordine di tempo è arrivato venerdì scorso ed è stato assestato da Richard Grenell, ambasciatore americano in Germania. «È offensivo», ha dichiarato Grenell, «che i contribuenti statunitensi paghino di tasca propria per la permanenza di 50.000 soldati americani in Germania, quando i tedeschi possono spendere il loro surplus di bilancio in programmi nazionali». Non per niente Donald Trump l'aveva promesso già a giugno: visto che Berlino si rifiuta di versare il dovuto alla Nato (2% del Pil), Washington è pronta a spostare migliaia di soldati in Polonia.E il governo di Angela Merkel dimostra di essere indietro anche in un'altra partita decisiva, quella relativa alle infrastrutture di rete e in particolare al 5G. Se da un lato il ministro Andreas Scheuer promette un piano per lo sviluppo nelle aree rurali, d'altro canto le opposizioni non fanno a meno di sottolineare il forte ritardo dell'esecutivo nel garantire la copertura, denunciando così il rischio che su questo aspetto il Paese possa rimanere al palo rispetto agli altri partner.
Angelo Morbelli, la Stazione Centrale di Milano (1887)
Dalle prime strade ferrate alle sfide future: al Vittoriano e a Palazzo Venezia Gruppo Fs e VIVE hanno presentato la mostra «Le ferrovie d’Italia (1861-2025). dall’Unità nazionale alle sfide del futuro». Dal 7 novembre 2025 all'11 gennaio 2026.
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Un viaggio lungo oltre un secolo, tra binari e trasformazioni sociali, innovazioni tecnologiche e grandi sfide del Paese: è questo il racconto al centro della mostra Le ferrovie d’Italia (1861-2025). Dall’unità nazionale alle sfide del futuro, promossa e organizzata da VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia e dal Gruppo FS Italiane, nella Sala Zanardelli del Vittoriano e nel Giardino grande di Palazzo Venezia.
La mostra, aperta da domani, venerdì 7 novembre, al prossimo 11 gennaio, è stata presentata oggi dalla sua curatrice Edith Gabrielli, Direttrice Generale del VIVE, e da Tommaso Tanzilli, Presidente del Gruppo FS.
“Ma più di ogni altra riforma amministrativa, la realizzazione delle ferrovie contribuirà a consolidare la conquista dell’indipendenza nazionale”: con queste parole Camillo Benso, conte di Cavour, già negli anni Quaranta dell’Ottocento individuò il ruolo delle ferrovie nel percorso del Risorgimento e nella costruzione dell’Italia moderna, una nazione giovane, unita e libera.
La storia dell’unità nazionale e la storia delle ferrovie risultano pressoché inseparabili: i binari hanno reso concreta la geografia politica italiana, collegando territori divisi da secoli, favorito scambi economici e culturali, ridotto distanze, creato opportunità di lavoro e di mobilità sociale. I treni e le stazioni hanno anche contribuito a plasmare una nuova identità collettiva, fatta di viaggi, incontri, pendolarismi, emigrazioni, ritorni. In questo processo ormai ultrasecolare, le ferrovie sono state fonte d’ispirazione per letterati e artisti, diventando metafora potente della modernità, della velocità e del progresso, talvolta anche delle loro innegabili contraddizioni.
Il Vittoriano, concepito nel 1878, all’indomani della scomparsa di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e cuore simbolico della Nazione, costituisce il luogo ideale per accogliere la visione di Cavour e tradurla in un racconto espositivo. Gestito dal VIVE - Vittoriano e Palazzo Venezia, istituto autonomo del Ministero della Cultura, il Vittoriano è luogo di arte, di memoria e insieme uno spazio vivo, dove riflettere sul processo risorgimentale e sui valori fondativi della nazione: libertà della patria e unità dei cittadini, ora in un contesto democratico ed europeo.
L’iniziativa si inserisce nelle celebrazioni per i 120 anni dalla fondazione delle Ferrovie dello Stato, avvenuta nel 1905. Da allora, le FS hanno accompagnato ogni fase cruciale della storia italiana, dalla ricostruzione postbellica al boom economico, fino all’Alta Velocità e alla transizione digitale di oggi.
Il Gruppo FS è una realtà industriale che oggi conta oltre 96.000 dipendenti, opera nei settori del trasporto ferroviario, stradale, della logistica, delle infrastrutture, della rigenerazione urbana e dei servizi tecnologici. Porta avanti una fase di profonda trasformazione con un investimento previsto superiore a 100 miliardi di euro in cinque anni, finalizzato a rafforzare la resilienza delle infrastrutture ferroviarie e stradali, migliorare la qualità del servizio, completare opere strategiche e promuovere una mobilità sempre più sostenibile e intermodale.
La storia delle ferrovie italiane si articola in quattro sezioni cronologiche, una sezione immersiva e infine una sezione didattico-dimostrativa. La prima sezione, dal 1861 al 1904, racconta la difficile trasformazione delle prime reti regionali in un sistema effettivamente nazionale. La seconda sezione, dal 1905 al 1944, affronta l’età della gestione statale, con la fondazione di FS, delle innovazioni tecniche, dell’uso politico e militare della ferrovia, fino al regime fascista e alla Seconda guerra mondiale. La terza sezione, dal 1945 al 1984, vede al centro la ricostruzione postbellica, il boom economico e il ruolo dei treni nelle grandi migrazioni interne e nel pendolarismo quotidiano. La quarta sezione, dal 1985 a oggi, verte sull’Alta Velocità, la digitalizzazione e le sfide della sostenibilità, aprendo uno sguardo al futuro. La sezione immersiva, posta sempre nella Sala Zanardelli, consente attraverso la più avanzata tecnologia digitale di fruire del racconto anche in termini emotivi e multisensoriali. La sezione didattico-dimostrativa si trova nel Giardino grande di Palazzo Venezia: due monumentali riproduzioni in scala permettono di apprezzare le qualità estetiche del Settebello e dell’Arlecchino, icone del design italiano del dopoguerra.
La mostra, che parte da un impianto storico rigoroso, affronta il tema con un accentuato carattere interdisciplinare. Quattro in ogni sezione gli assi principali di lettura, che si concretizzano in altrettanti pannelli informativi. Questi assi mettono in luce l’impatto delle ferrovie e, insieme, la loro capacità di trasformazione. Oltre che mezzo di trasporto, il treno era ed è un dispositivo capace di mutare la percezione del tempo, ridefinire il concetto di distanza e ispirare nuove visioni del lavoro, dell’identità e della comunità.
Il primo asse di lettura verte sulla storia delle ferrovie in Italia, dello sviluppo della rete e dei mezzi, delle competenze tecniche e ingegneristiche, delle scelte organizzative e gestionali. Lo sguardo si muove dalla prima rete nazionale all’introduzione dell’Alta Velocità fino ai cantieri attuali finanziati con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il secondo asse di lettura ha a che fare con l’identità, le istituzioni, la politica e l’economia, indagando le motivazioni, le strategie e gli effetti delle scelte attuate in relazione alle ferrovie in questi ambiti. L’infrastruttura ne emerge come strumento di unificazione, di modernizzazione e di governo del territorio, oltre che come fattore decisivo nello sviluppo produttivo ma anche misura delle contraddizioni del Paese, a cominciare dalla divaricazione tra campagna e città e tra Nord e Sud.
Il terzo asse di lettura affronta il tema in rapporto alla sfera sociale e antropologica, restituendo l’impatto delle ferrovie sulla vita quotidiana, sul lavoro e sul costume, la nascita di nuove professioni e la trasformazione dei ritmi e delle percezioni collettive: dall’apparizione di una nuova figura come quella del ferroviere fino al recente mutamento del concetto di distanza e all’avvento del pendolarismo di lungo raggio con l’introduzione dell’Alta Velocità.
Il quarto e ultimo asse della mostra indaga l’interpretazione delle ferrovie nelle arti, nella pittura, nella fotografia, nel cinema, nella poesia e nella letteratura. Gli artisti, prima e meglio di altri, hanno saputo cogliere la complessità del fenomeno, restituendone tanto la forza innovatrice quanto le ombre, le alienazioni e le contraddizioni: nelle loro opere il treno diventa simbolo della modernità e specchio delle sue ambivalenze, immagine di progresso e di perdita, di velocità e di lontananza, talvolta luogo di sperimentazione creativa o addirittura metafora esistenziale.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, con approfondimento e un completo apparato illustrativo di tutte le opere in mostra, e con testi a cura di Edith Gabrielli (Direttrice VIVE e curatrice della Mostra) e del Comitato scientifico formato dal prof. Francesco Benigno (Scuola Normale Superiore, Pisa), dal prof. Lorenzo Canova (Università degli Studi del Molise), dal prof. Andrea Giuntini (già Università degli Studi di Modena e Reggio) e dal prof. Stefano Maggi (Università degli Studi di Siena).
Per tutta la durata dell’esposizione il team didattico del VIVE propone un ricco programma di attività rivolte a bambini, famiglie, utenti con esigenze specifiche, scuole di ogni ordine e grado.
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Valeriy Zaluzhny (Ansa)
Gli investigatori tedeschi: dietro il raid su Nord Stream c’è Zaluzhny, già capo dell’esercito, ora ambasciatore in Uk. Il presunto sabotatore detenuto in Italia proclama lo sciopero della fame: «Violati i miei dritti umani».
Era il segreto di Pulcinella. Adesso lo ha svelato il Wall Street Journal, citando fonti della polizia e della Procura tedesche: a guidare l’attacco ai gasdotti Nord Stream nel Baltico, il 26 settembre 2022, sarebbe stato l’allora capo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhny, oggi ambasciatore nel Regno Unito. Gli investigatori hanno indagato sulle società di noleggio delle barche coinvolte nel blitz, su telefoni e targhe, arrivando a emettere mandati d’arresto per tre soldati di un’unità speciale di Kiev e per quattro sommozzatori veterani.
Cristiano d'Arena (foto da Facebook)
È Cristiano D’Arena l’ultimo nome finito nell’inchiesta di Brescia: avrebbe venduto a Venditti e Mazza vetture a prezzi bassi in cambio di accordi per favorire un’altra sua società monopolista nel settore delle intercettazioni.
Il supporto tecnico per le intercettazioni, le auto in leasing per la Procura e il ristorante che era diventato il punto di ritrovo della «Squadretta» di investigatori che lavoravano a stretto contatto con l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, e con il sostituto Paolo Pietro Mazza (ora in servizio a Milano). Nell’inchiesta bresciana sulla presunta corruzione dei due magistrati ricorrono i nomi delle società del gruppo imprenditoriale riconducibile a Cristiano D’Arena, titolare della Esitel, monopolista, per molti anni, delle intercettazioni per la Procura di Pavia (comprese quelle del fascicolo del 2017 su Andrea Sempio per il delitto di Garlasco), alla guida della Cr Service che aveva fornito le vetture per le indagini e ospitale gestore del ristorante.
Luca Palamara (Ansa)
La nostra intervista ad Amara mette sotto i riflettori le azioni dei pm. Che così si mobilitavano per pilotare i giornali.
L’intervista rilasciata a questo giornale da Piero Amara ha fatto rumore. Le parole dell’ex legale sulla conduzione delle indagini nell’inchiesta per corruzione (che corruzione non era) nei confronti di Luca Palamara hanno innescato un comunicato dei legali dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Gli avvocati, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, dopo avere letto La Verità, hanno annunciato un esposto «per accertare la correttezza dell’operato del pubblico ministero sulla vicenda Palamara».













