2024-11-30
Bepi Mazzotti, l’aedo della cucina trevigiana
Bepi Mazzotti (Fondazione Mazzotti)
Fu amante della montagna e un grande innovatore in campo turistico. Nel 1959 diede vita a un festival per valorizzare le tradizioni della sua terra, grazie al quale ci sono arrivate (attraverso pubblicazioni e descrizioni di piatti) le esperienze gustative del passato.Giuseppe «Bepi» Mazzotti è stato una delle figure più straordinarie del secondo Novecento veneto in quell’ideale Olimpo della piccola Atene, qual’era al tempo definita Treviso, assieme a nomi quali lo scrittore Giovanni Comisso, il pittore Gino Rossi, lo scultore Arturo Martini.Nato nel 1907 da madre trevigiana e padre romagnolo, fu, in un certo senso, la miglior sintesi di entrambi. Iniziò dedicandosi al primo amore, la montagna: Grandi imprese sul Cervino, uscito nel 1934, è uno dei testi classici di settore. Non di meno l’attenzione per quel prezioso patrimonio architettonico rappresentato dalla civiltà della villa. Fu merito suo la legge che portò alla creazione dell’Ente per le ville venete. Fu direttore dell’Ente provinciale del turismo dal 1937 al 1974. Un riferimento a livello nazionale, tanto che gli proposero la direzione generale del Touring Club, ma preferì dedicarsi alla sua amata terra. Fu tra i primi a cogliere la globalità culturale dell’offerta turistica. Molto di lui è custodito all’interno dello straordinario patrimonio del Museo etnografico di Cesiomaggiore, nel Bellunese. Un settore in cui Mazzotti ha lasciato un’impronta decisiva è stato quello legato alla civiltà della tavola. Fondatore, nel 1954, e responsabile per 25 anni, della delegazione di Treviso dell’Accademia italiana della cucina, è stato ambasciatore e testimonial di una gastronomia, quella veneta, di lunga tradizione ma spesso basata su ingredienti poveri, tuttavia legata a una estrema biodiversità.Inizia nel 1949 promuovendo un originale concorso di poesia dialettale teso a elogiare le bellezze della cucina trevigiana. Non fu un esordio facile. Alcuni poeti di solida tradizione vernacolare si sentirono quasi sviliti a dover parlare di radicchio e soppressa anche se vi fu chi ricordò loro che, in fondo, l’alloro era una decorazione classica non solo degli emuli di Dante Alighieri ma anche degli altrettanto nobili arrosti. Una felice intuizione, tanto che furono proprio i versi golosi a tirare quella prima volata che riuscì, poi, a valorizzare la cucina trevigiana e a farla uscire dall’ombra con le sue virtuose trattorie del territorio. Si sviluppa una «dialettica collaborazione» con un’altra figura storica della valorizzazione del patrimonio gastronomico locale, Bepo Maffioli. Personaggio eclettico che debuttò nella vita adulta come insegnante elementare, compagno di palcoscenico di Cesco Baseggio. Consulente gastronomico di Marco Ferreri ne La grande abbuffata.Dall’intuizione di Mazzotti e Maffioli nacque, nel 1959, il Festival della cucina trevigiana, il primo a livello nazionale teso a valorizzare i prodotti di un territorio, ma anche utile nel contribuire a stimolare il costruttivo confronto tra gli stessi ristoratori locali. Un modo molto pratico per stimolare il turismo gastronomico, quello oltre l’abituale osteria di quartiere. Poter consultare le pubblicazioni allegate, con i diversi ristoratori e i piatti della tradizione a comporre i relativi menù, è un tuffo in un amarcord di emozioni e sapori, per chi li ha vissuti, che riporta alla luce esperienze che ne hanno formato l’imprinting gustativo, a conferma di quanto sottolineato da un altro attento testimone del territorio, Ulderico Bernardi, anni dopo curatore della pubblicazione dei suoi Scritti sulla cucina: «È solo nella prospettiva storica che si può comprendere l’identità di una comunità, che passa anche attraverso i gesti più semplici e quotidiani, quali preparare il cibo, espressione dell’antica sapienza popolare dell’arte di vivere».Ecco allora i fasioi co le tirache, tradotto fagioli con le tagliatelle, essendo queste simili alle bretelle, così da mischiarsi con i fagioli. E che dire della panadea, una oramai scomparsa zuppa di pane, alimento ecumenico che univa a tavola nonni e giovani nipoti posto che entrambi, per motivi diversi, non avevano più (o ancora) una dentatura capace di affrontare sforzi particolari di masticazione. Poi ci sono i risi co le ciche, ovvero una minestra di riso con i pezzettini di carne di manzo tagliata a dadini. Un capitolo a parte la sopa coada, un grande classico a rischio di estinzione negli anni del boom economico. «Una morbida e brodosa torta a strati di pane e di piccione disossato» di cui era maestra la leggendaria Nina delle sciatiche, poco fuori Treviso. Stessa filosofia per la pasta e fagioli che «non è così semplice come si crede, è meglio lasciarla fare a gente del mestiere e andarla a mangiare in quelle trattorie dove la regola è rigorosamente rispettata». E che dire della fongadina, oramai rintracciabile solo in qualche incorruttibile trattoria di resistenza umana. Frattaglie di vitello, considerate da alcuni oramai impresentabili, ma oro puro al gusto per chi le conosce: trachea, milza, esofago, polmone oltre al classico cuore cui non si comanda. Oramai introvabile la pastisada al clinton (un vino censurato dalla modernità): polpa di manzo messa a macerare per due giorni in un bagno di questo vino arcaico e verdure fdarcita, poi ,con lardo e pancetta affumicata. Il tutto posto a pipare a fuoco basso nella casseruola immerso per alcune ore nella sua marinatura.Ma il bello viene con i dolci. Il tiramisù era ancora nelle anticamere di luoghi in cui leggenda vuole sia nato. Ci si accontentava di torta de porcel (maiale) con cacao o, ancora più conturbante, la torta di sangue e cioccolata. I giovani, in attesa di diventare adulti, venivano introdotti lungo le vie di Bacco con i sugoli, un mosto dolce, preferibilmente di uva fragola, che, abbinato alla farina, dava una cremina scura, dolcificata con zucchero e poi fatta bollire e infine messo a raffreddare in scodelline dedicate. Una sorta di intrigante budino finale, da piluccare cucchiaino dopo cucchiaino.Un esempio con due tra i più apprezzati gioielli della campagna, il radicchio di Treviso e quello di Castelfranco Veneto. «Sono l’estremo dono della terra quando l’autunno si assopisce nell’inverno. Si gonfiano di linfe trionfali che danno loro un colore ed una consistenza impareggiabili». Ma lasciamo ancora la penna a Mazzotti, ogni tentativo di riassumerla sarebbe svilirne le storie. Troviamo così il radicchio di Treviso «dalla linea gotica slanciata delle sue foglie, che punta verso l’alto ma si nutre dei succhi più profondi e completi» che, non a caso, provengono dalle falde sotterranee che alimentano il Sile, fratellino minore del Piave. Di lirica conseguente la descrizione del cugino meno conosciuto, detto anche il «fiore che si mangia», ovvero il variegato di Castelfranco Veneto, anche perché meno resistente ai viaggi lungo i canali della distribuzione: «Dalle morbide volute rococò, ha un’origine un tantino incerta, come la nascita segreta di un nobile e bellissimo bastardo di sangue reale. In seguito a una delicatissima tecnica di lavorazione, le foglie acquistano una loro particolarissima luminosità e dei meravigliosi riflessi quali gli artisti del vetro della non lontana Murano sanno realizzare aggiungendo oro e metalli preziosi ai loro impasti incandescenti». Poesia pura. I ricettari dai dosaggi puntigliosi negli ingredienti li lascia ad altri. Altro tocco di pittura narrativa con il baccalà mantecato, alla veneziana. «Spumoso, bianco quasi come la panna montata, con pallide iridescenze azzurre e verdoline che ricordano il mare lontano, vera pappa reale specialmente adatta ai vecchi in tempi in cui non era facile trovare denti di ricambio».Si vola alto, ma con i piedi per terra. Questo e molto altro è stato Bepi Mazzotti tanto che, per ricordarlo, ci vorrebbe un’antologia dedicata. Coerente nell’abbinare cucina e cantina, da una sua intuizione è la Strada del vino bianco, da Conegliano a Valdobbiadene, prima che i vigneti venissero omologati in chiave prosecca.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.