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2023-10-19
Rap, sesso e Corano. Vita da canaglia di «Coco» Benzema
Karim Benzema (Ansa)
Pacchi di soldi, fucili, passamontagna, montagnole di crack. Il video di Walabok, brano del rapper Booba pubblicato nel 2016, mostra uno spaccato ansiogeno della vita in banlieue. Le parole spargono i soliti toni sbruffoni, mentre sullo schermo scorrono volti incattiviti, tutti arabi o neri. A un certo punto, dopo questa rassegna di facce da galera, compare un ragazzo con un cappellino che guarda a terra. Poi alza lo sguardo: è Karim Benzema, usato come emblema dell’orgoglio racaille. Ovvero «feccia», «canaglia», come vengono chiamati i teppisti delle banlieue.
Oggi Benzema ha fatto il salto di qualità: a circondarlo non sono più banditi di periferia, ma cinici sultani e, a sentire il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, anche gli islamisti dei Fratelli musulmani. Il rigorismo religioso salafita, in teoria, mal si concilierebbe con lo stile di vita dei video come quello di Booba, ma l’obiezione è astratta: come ha rilevato più volte lo scrittore Renaud Camus, infatti, nelle periferie nordeuropee non c’è soluzione di continuità tra i pusher di quartiere ed estremisti religiosi. Sono forme e gradi diversi assunti dallo stesso rifiuto della civiltà europea. In questo senso, Benzema è il vero simbolo del mondo sommerso che ribolle sotto la superficie delle città europee.
Karim Benzema nasce il 19 dicembre 1987, a Lione. È immigrato di terza generazione: suo nonno, Da Lakehal Benzema, lasciò il villaggio di Tighzert, nella Cabilia algerina, nel 1958. Con sé portò i suoi figli, tra cui il piccolo Hafid, di 7 anni. I Benzema si stabilirono a Lione, dove Hafid conobbe Malika Haddou, algerina dell’Oran, ma nata in Francia. Karim è il settimo e ultimo figlio nato dalla coppia, a cui vanno aggiunti due fratelli maggiori avuti da Malika in un precedente matrimonio. Quando nasce, i Benzema sono in Francia già da 30 anni. Coco, così era soprannominato da ragazzino, è un giovane timido e riservato. Il carattere schivo, la severità di papà Hafid e il sogno calcistico lo tengono comunque lontano dalle cattive abitudini che inghiottono uno a uno i suoi amici. A scuola va malino, ma tutti sanno già che la matematica non sarà mai il suo mestiere. Con il pallone tra i piedi, infatti, incanta. Inizia nel Bron-Teraillon, la squadra del sobborgo lionese in cui Karim vive, ma già a nove anni si accorge di lui l’Olympique lyonnais. Con i bianchi, rossi e blu batterà ogni record, imponendosi giovanissimo in prima squadra e qui mostrando le sue doti alla Francia e al mondo. Nel 2009 passa al Real Madrid, dove forma con Cristiano Ronaldo una delle coppie d’attacco più devastanti della storia del calcio. Il resto è storia, fino al Pallone d’oro 2022 e al trasferimento a peso d’oro ai sauditi dell’Al Ittihad.
Il timido Coco cresce protetto da un clan familiare e amicale impenetrabile. Come scrivono Gilles Verdez e Jacques Hennen, autori del libro Le systeme Benzema (Mazarine 2016), «questo è il sistema Benzema: cerchi concentrici di parenti, amici d’infanzia, agenti, che “blindano” la comunicazione. Fin dall’inizio viene affissa la legge Benzema: tutto è e resterà accuratamente chiuso a chiave». Ma l’isolamento non favorisce certo la responsabilizzazione. E infatti iniziano i guai. Nel 2010, si scopre che Benzema e altri tre giocatori della nazionale francese erano tra i clienti di Zahia Dehar, una prostituta all’epoca minorenne. L’attaccante ne uscirà pulito, ma con grande scandalo. Nel 2015, ancora un caso hot: Benzema viene accusato di aver ricattato il suo compagno di squadra, Mathieu Valbuena, a causa di un video porno di quest’ultimo. Stavolta viene condannato a un anno di carcere, con sospensione della pena, e a una multa di 75.000 euro, oltre a 80.000 euro da dare a Valbuena. Nel 2018, poi, membri del suo entourage saranno coinvolti in un tentativo di rapimento. Divenuto, pur tra queste disavventure, una colonna della nazionale transalpina, il centravanti non fa tuttavia nulla per nascondere il suo disprezzo per la Francia. Nel 2006 dichiara: «L’Algeria è il mio Paese, i miei genitori vengono da lì. La Francia è più un a cosa legata allo sport». Si rifiuta anche di cantare la Marsigliese: «Invita a fare la guerra, non fa per me». Il 21 novembre 2015, quando prima del Clasico tra Real Madrid e Barcellona viene suonato l’inno francese in onore delle vittime del Bataclan, Benzema è inquadrato mentre sputa platealmente per terra. Giurerà di non averlo fatto apposta. Quando viene fatto fuori dalla nazionale per i suoi guai, grida al razzismo.
Nel frattempo, diventa un idolo per tutti i ragazzini delle banlieue. Non solo in Francia: Karim Benzema è per esempio il titolo di un brano trap di Zefe, al secolo Kazir Siffedine, «artista» italomarocchino visto qualche tempo fa in giro per Novara con un machete.
Con il passare del tempo, Benzema comincia inoltre a mostrare una spiccata attenzione per gli ambienti dell’islam radicale. Nel 2022 il giocatore denuncia Damien Rieu, militante del partito Reconquête, che su Twitter aveva evidenziato foto e like «imbarazzanti» da parte di Karim. Come lo scatto con un imam radicale o il like a un lottatore di Mma che scriveva: «Che Allah faccia discendere il suo castigo su colui che offende l’onore del Profeta». Rieu verrà assolto.
Darmanin in tackle per lanciare un messaggio a Riad
In Francia è scoppiato il caso del calciatore ex Real Madrid Karim Benzema, attaccato dal ministro degli Interni Gérald Darmanin. Ospite del programma di Pascal Praud L’heure des pros di CNews, Darmanin è «entrato a piedi pari» sull’ex Pallone d’oro, che ora milita nell’Al Ittihad, un club della Saudi League. L’Arabia Saudita, è bene ricordarlo, è uno dei sette Paesi che riconoscono i Fratelli musulmani come organizzazione terroristica insieme a Russia, Siria, Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Austria.
A una domanda sulla lotta al terrorismo portata avanti dal governo francese, il ministro degli Interni ha citato i Fratelli musulmani, l’organizzazione islamista che utilizza come braccio armato Hamas e altre cellule terroristiche: «Da diverse settimane mi interessa particolarmente il signor Benzema, lui ha un legame noto con i Fratelli musulmani. Stiamo attaccando un’idra che sono i Fratelli musulmani perché creano un’atmosfera jihadista, come ha detto Gilles Kepel». A Benzema viene contestato non solo il rifiuto di cantare la Marsigliese durante le partite della nazionale, ma anche il suo proselitismo sui social network sul culto musulmano, come il digiuno, la preghiera, il pellegrinaggio alla Mecca», oltre alla famosa foto con l’imam di Meaux, noto estremista. Alla richiesta di chiarimenti, dallo staff di Darmanin hanno rincarato la dose: «Da diversi anni notiamo una lenta deriva delle posizioni di Karim Benzema verso un islam duro e rigoroso, caratteristico dell’ideologia della Fratellanza, che consiste nella diffusione delle norme islamiche in diversi ambiti della società, in particolare nello sport», si legge su Le Figaro.
Le parole di Darmanin arrivano dopo che domenica scorsa l’ex nazionale francese (97 presenze, 37 gol) ha scritto su X: «Tutte le nostre preghiere per gli abitanti di Gaza, che sono ancora una volta vittime di questi ingiusti bombardamenti che non risparmiano né donne né bambini». Non una sola parola sulle vittime israeliane, né tanto meno sui bambini trucidati nelle loro culle. Ma d’altronde da Benzema, fervente sostenitore della causa palestinese, non c’era nient’altro da aspettarsi. Il suo post ha scatenato una serie di polemiche e David Aouate, un giocatore della nazionale israeliana di calcio, lo ha definito sempre su X «un figlio di puttana».
Ma perché Gérald Darmanin ha attaccato proprio adesso Karim Benzema? Il ministro degli Interni è tra i pochi politici francesi ed europei ad aver colto da tempo la pericolosità della Fratellanza, e per questo ha ordinato la chiusura di numerose moschee e associazioni islamiche controllate dai Fratelli. Darmanin vuole quindi riportare al centro del dibattito il tema della messa al bando della Fratellanza non solo in Francia, ma anche a livello europeo. È un messaggio anche ai sauditi, nemici giurati dei Fratelli musulmani, che verseranno a Benzema per i prossimi due anni di contratto 400 milioni di euro.
Le parole di Darmanin hanno convinto Valérie Boyer, senatrice dei Repubblicani, a chiedere che a Benzema, che ha anche passaporto algerino, venga tolta la nazionalità francese: «Se, come afferma il ministro degli Interni, Karim Benzema è legato ai Fratelli musulmani, chiedo sanzioni, in particolare la privazione della nazionalità. È urgente agire contro coloro che minacciano costantemente il nostro Paese». Non appena ha pubblicato il suo atto parlamentare su X, sono arrivate decine di insulti e pesanti minacce, e di certo da oggi è un soggetto ad alto rischio in un Paese dove la minaccia terroristica è altissima. Tanto che, ieri mattina, sei aeroporti in tutta la Francia sono stati evacuati per «minacce di attentato».
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Riduci
Dai video in stile gangster ai sexy scandali, fino alla vicinanza con gli estremisti: il centravanti ha sempre fatto discutere.Il ministro francese Gérald Darmanin attacca il calciatore: «Legato ai Fratelli musulmani». Nel mirino le frizioni tra l’organizzazione e i sauditi.Lo speciale contiene due articoli.Pacchi di soldi, fucili, passamontagna, montagnole di crack. Il video di Walabok, brano del rapper Booba pubblicato nel 2016, mostra uno spaccato ansiogeno della vita in banlieue. Le parole spargono i soliti toni sbruffoni, mentre sullo schermo scorrono volti incattiviti, tutti arabi o neri. A un certo punto, dopo questa rassegna di facce da galera, compare un ragazzo con un cappellino che guarda a terra. Poi alza lo sguardo: è Karim Benzema, usato come emblema dell’orgoglio racaille. Ovvero «feccia», «canaglia», come vengono chiamati i teppisti delle banlieue. Oggi Benzema ha fatto il salto di qualità: a circondarlo non sono più banditi di periferia, ma cinici sultani e, a sentire il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, anche gli islamisti dei Fratelli musulmani. Il rigorismo religioso salafita, in teoria, mal si concilierebbe con lo stile di vita dei video come quello di Booba, ma l’obiezione è astratta: come ha rilevato più volte lo scrittore Renaud Camus, infatti, nelle periferie nordeuropee non c’è soluzione di continuità tra i pusher di quartiere ed estremisti religiosi. Sono forme e gradi diversi assunti dallo stesso rifiuto della civiltà europea. In questo senso, Benzema è il vero simbolo del mondo sommerso che ribolle sotto la superficie delle città europee.Karim Benzema nasce il 19 dicembre 1987, a Lione. È immigrato di terza generazione: suo nonno, Da Lakehal Benzema, lasciò il villaggio di Tighzert, nella Cabilia algerina, nel 1958. Con sé portò i suoi figli, tra cui il piccolo Hafid, di 7 anni. I Benzema si stabilirono a Lione, dove Hafid conobbe Malika Haddou, algerina dell’Oran, ma nata in Francia. Karim è il settimo e ultimo figlio nato dalla coppia, a cui vanno aggiunti due fratelli maggiori avuti da Malika in un precedente matrimonio. Quando nasce, i Benzema sono in Francia già da 30 anni. Coco, così era soprannominato da ragazzino, è un giovane timido e riservato. Il carattere schivo, la severità di papà Hafid e il sogno calcistico lo tengono comunque lontano dalle cattive abitudini che inghiottono uno a uno i suoi amici. A scuola va malino, ma tutti sanno già che la matematica non sarà mai il suo mestiere. Con il pallone tra i piedi, infatti, incanta. Inizia nel Bron-Teraillon, la squadra del sobborgo lionese in cui Karim vive, ma già a nove anni si accorge di lui l’Olympique lyonnais. Con i bianchi, rossi e blu batterà ogni record, imponendosi giovanissimo in prima squadra e qui mostrando le sue doti alla Francia e al mondo. Nel 2009 passa al Real Madrid, dove forma con Cristiano Ronaldo una delle coppie d’attacco più devastanti della storia del calcio. Il resto è storia, fino al Pallone d’oro 2022 e al trasferimento a peso d’oro ai sauditi dell’Al Ittihad.Il timido Coco cresce protetto da un clan familiare e amicale impenetrabile. Come scrivono Gilles Verdez e Jacques Hennen, autori del libro Le systeme Benzema (Mazarine 2016), «questo è il sistema Benzema: cerchi concentrici di parenti, amici d’infanzia, agenti, che “blindano” la comunicazione. Fin dall’inizio viene affissa la legge Benzema: tutto è e resterà accuratamente chiuso a chiave». Ma l’isolamento non favorisce certo la responsabilizzazione. E infatti iniziano i guai. Nel 2010, si scopre che Benzema e altri tre giocatori della nazionale francese erano tra i clienti di Zahia Dehar, una prostituta all’epoca minorenne. L’attaccante ne uscirà pulito, ma con grande scandalo. Nel 2015, ancora un caso hot: Benzema viene accusato di aver ricattato il suo compagno di squadra, Mathieu Valbuena, a causa di un video porno di quest’ultimo. Stavolta viene condannato a un anno di carcere, con sospensione della pena, e a una multa di 75.000 euro, oltre a 80.000 euro da dare a Valbuena. Nel 2018, poi, membri del suo entourage saranno coinvolti in un tentativo di rapimento. Divenuto, pur tra queste disavventure, una colonna della nazionale transalpina, il centravanti non fa tuttavia nulla per nascondere il suo disprezzo per la Francia. Nel 2006 dichiara: «L’Algeria è il mio Paese, i miei genitori vengono da lì. La Francia è più un a cosa legata allo sport». Si rifiuta anche di cantare la Marsigliese: «Invita a fare la guerra, non fa per me». Il 21 novembre 2015, quando prima del Clasico tra Real Madrid e Barcellona viene suonato l’inno francese in onore delle vittime del Bataclan, Benzema è inquadrato mentre sputa platealmente per terra. Giurerà di non averlo fatto apposta. Quando viene fatto fuori dalla nazionale per i suoi guai, grida al razzismo.Nel frattempo, diventa un idolo per tutti i ragazzini delle banlieue. Non solo in Francia: Karim Benzema è per esempio il titolo di un brano trap di Zefe, al secolo Kazir Siffedine, «artista» italomarocchino visto qualche tempo fa in giro per Novara con un machete.Con il passare del tempo, Benzema comincia inoltre a mostrare una spiccata attenzione per gli ambienti dell’islam radicale. Nel 2022 il giocatore denuncia Damien Rieu, militante del partito Reconquête, che su Twitter aveva evidenziato foto e like «imbarazzanti» da parte di Karim. Come lo scatto con un imam radicale o il like a un lottatore di Mma che scriveva: «Che Allah faccia discendere il suo castigo su colui che offende l’onore del Profeta». Rieu verrà assolto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/benzema-islam-2666020205.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="darmanin-in-tackle-per-lanciare-un-messaggio-a-riad" data-post-id="2666020205" data-published-at="1697711847" data-use-pagination="False"> Darmanin in tackle per lanciare un messaggio a Riad In Francia è scoppiato il caso del calciatore ex Real Madrid Karim Benzema, attaccato dal ministro degli Interni Gérald Darmanin. Ospite del programma di Pascal Praud L’heure des pros di CNews, Darmanin è «entrato a piedi pari» sull’ex Pallone d’oro, che ora milita nell’Al Ittihad, un club della Saudi League. L’Arabia Saudita, è bene ricordarlo, è uno dei sette Paesi che riconoscono i Fratelli musulmani come organizzazione terroristica insieme a Russia, Siria, Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Austria. A una domanda sulla lotta al terrorismo portata avanti dal governo francese, il ministro degli Interni ha citato i Fratelli musulmani, l’organizzazione islamista che utilizza come braccio armato Hamas e altre cellule terroristiche: «Da diverse settimane mi interessa particolarmente il signor Benzema, lui ha un legame noto con i Fratelli musulmani. Stiamo attaccando un’idra che sono i Fratelli musulmani perché creano un’atmosfera jihadista, come ha detto Gilles Kepel». A Benzema viene contestato non solo il rifiuto di cantare la Marsigliese durante le partite della nazionale, ma anche il suo proselitismo sui social network sul culto musulmano, come il digiuno, la preghiera, il pellegrinaggio alla Mecca», oltre alla famosa foto con l’imam di Meaux, noto estremista. Alla richiesta di chiarimenti, dallo staff di Darmanin hanno rincarato la dose: «Da diversi anni notiamo una lenta deriva delle posizioni di Karim Benzema verso un islam duro e rigoroso, caratteristico dell’ideologia della Fratellanza, che consiste nella diffusione delle norme islamiche in diversi ambiti della società, in particolare nello sport», si legge su Le Figaro. Le parole di Darmanin arrivano dopo che domenica scorsa l’ex nazionale francese (97 presenze, 37 gol) ha scritto su X: «Tutte le nostre preghiere per gli abitanti di Gaza, che sono ancora una volta vittime di questi ingiusti bombardamenti che non risparmiano né donne né bambini». Non una sola parola sulle vittime israeliane, né tanto meno sui bambini trucidati nelle loro culle. Ma d’altronde da Benzema, fervente sostenitore della causa palestinese, non c’era nient’altro da aspettarsi. Il suo post ha scatenato una serie di polemiche e David Aouate, un giocatore della nazionale israeliana di calcio, lo ha definito sempre su X «un figlio di puttana». Ma perché Gérald Darmanin ha attaccato proprio adesso Karim Benzema? Il ministro degli Interni è tra i pochi politici francesi ed europei ad aver colto da tempo la pericolosità della Fratellanza, e per questo ha ordinato la chiusura di numerose moschee e associazioni islamiche controllate dai Fratelli. Darmanin vuole quindi riportare al centro del dibattito il tema della messa al bando della Fratellanza non solo in Francia, ma anche a livello europeo. È un messaggio anche ai sauditi, nemici giurati dei Fratelli musulmani, che verseranno a Benzema per i prossimi due anni di contratto 400 milioni di euro. Le parole di Darmanin hanno convinto Valérie Boyer, senatrice dei Repubblicani, a chiedere che a Benzema, che ha anche passaporto algerino, venga tolta la nazionalità francese: «Se, come afferma il ministro degli Interni, Karim Benzema è legato ai Fratelli musulmani, chiedo sanzioni, in particolare la privazione della nazionalità. È urgente agire contro coloro che minacciano costantemente il nostro Paese». Non appena ha pubblicato il suo atto parlamentare su X, sono arrivate decine di insulti e pesanti minacce, e di certo da oggi è un soggetto ad alto rischio in un Paese dove la minaccia terroristica è altissima. Tanto che, ieri mattina, sei aeroporti in tutta la Francia sono stati evacuati per «minacce di attentato».
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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