2023-07-10
Bennato: «Uso i dubbi e la follia per mettermi al riparo da moralisti e faziosi»
Edoardo Bennato (Imagoeconomica)
L’artista che sta girando l’Italia in concerto: «Medici e sapienti fanno prediche a loro uso e consumo. Vedo in giro tanti burattini».Pronto buongiorno, Edoardo Bennato?«Chi parla?».Vorrei domandarle se ha il desiderio di fare una chiacchierata per La Verità, a tutta pagina, su lunedì.«Un’intervista sul senso della vita, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo a finire?».Pensavo esattamente così, sì.«Andiamo a finire molto male, mi sa, ma davvero male. Però guardi, io parlo solo con la musica e con l’arte. La Verità, dice? La verità è che su di me si sa poco». Per questo la vorrei conoscere.«Ho molti appuntamenti in giro per l’Italia, e so che serve anche la pubblicità, ma un tempo c’erano i Lorenzo il Magnifico a proteggere la cultura, e gli artisti. E servirebbero ancora. Ma oggi i media sono tutti sotto controllo, e ogni cosa che dico passa sotto le forche caudine di internet…».Capito l’antifona. Grazie, però, della sua gentilezza.«Ringrazio lei. Scusi la sento molto male perché sono in sala di registrazione…».Si interrompe la comunicazione, ma presto inizia a brillare il telefono, lui è il mittente dei messaggi. Mi manda alcuni video, una sorta di concerto privato sullo schermo. Decido di scrivergli di nuovo.Se cambiasse idea e si fidasse, resto a disposizione per l’intervista.«Ora le mando un’intervista che mi ha fatto la cocca di papà, e cioè mia figlia Gaia di 16 anni. Anche lei se ne intende di musica, sa? È bravissima con il rap. Ed è bellissima anche la sua intervista. Guardi che io mi fido di lei, per questo le sto inviando dati e informazioni che nonostante il suo ruolo di giornalista le sono stati preclusi». Di solito proviamo a fare del nostro meglio. Le faccio una proposta un po’ assurda. Che ne dice se io faccio le domande e lei mi manda testi o video in cui trovare le risposte? Le trasformo io in uno scritto, stanotte. Poi lei legge e al massimo mi proibisce di pubblicarlo.«Fate vobis».Lo prendo per un sì e inizia una sfida di stile. Al termine di questa intervista sui generis arriveranno 50 video nel giro di un pomeriggio. Tanti video sono sue spiegazioni di canzoni e ritmi. Più del doppio i testi e le immagini, i disegni, le fotografie. Una, immancabile, con Maradona.Che estate l’aspetta?«Sto provando per i prossimi concerti. Ho iniziato a Brescia, in piazza della Loggia, a metà giugno: un evento potente. E poi da Nord a Sud me ne andrò in giro fino all’ultima tappa di Prato, il 4 settembre. L’obiettivo, è restituire energia e carica positiva agli altri. È quello che cerco anche io quando vado a un concerto».Concerti da non perdere secondo Bennato?«I The black keys, un duo statunitense che fa rock and roll con carisma».Prima dell’armonica, prima di Pinocchio e Peter Pan, lei è stato per gli italiani l’album La Torre di Babele. Era il 1976, ed era un periodo di tensioni dal punto di vista sociale. Gli scontri in Francia a opera di giovanissimi rievocano ricordi preoccupanti?«Due anni prima avevo cantato della sommaria distinzione che si fa tra I buoni e i cattivi e invece La Torre di Babele era un tentativo di esplicare il simbolo biblico: la torre che gli umani costruirono per sfidare la natura, finché non furono puniti con la confusione delle lingue, senza capirsi più. Volevo parlare anche delle nuove generazioni che si sentivano chiamate in causa e quindi intervenivano anche a volte in modo aggressivo, feroce, nei confronti di una società che si proclamava lucida, assennata, previdente, e che invece era completamente schizofrenica. Era il periodo adatto, per questi argomenti, ma è evidente che ogni periodo storico è adatto per ironizzare sugli aspetti negativi e i paradossi che ci circondano».Fu lei a disegnare la copertina di quell’album: l’arte figurativa è tra le sue passioni.«Volevo scattare una fotografia immaginaria dell’umanità che da migliaia di anni continua perversamente a fare la guerra. In basso a sinistra misi un uomo della preistoria con una clava in mano. Mano a mano che si procede dal basso verso l’alto le armi diventano più sofisticate».Fino ai conflitti in Ucraina, e non solo.«I problemi di quella che io chiamo la “famiglia umana sul pianeta” sono sempre gli stessi. Occorre cercare di tenere a bada il nostro egoismo, sia a livello del singolo che della collettività, evitando che ci sia sopraffazione, soprattutto su alcune aree del mondo. L’atteggiamento che occorrerebbe avere è cambiare mentalità per il bene comune e dei nostri figli».Facile a dirsi… «Lo so che può sembrare moralista, ma io i moralismi li rifiuto da sempre, invece. Non è retorica, le assicuro, quanto invece un ragionamento utilitaristico. Un tempo il mondo era come un sommergibile, con aree di decompressione a protezione dell’equipaggio. Oggi è cambiato, è una nave che viaggia sul pelo dell’acqua. Basta una falla e si rischia di affondare».A cosa serve la guerra, si chiedeva nel 2003. Una canzone che ha recentemente ripubblicato.«A cosa serve la guerra, diciamo la verità, serve soltanto a vincer la gara dell’inutilità. La guerra è sempre la stessa, ognuno la perderà. La storia non cambierà. Io alla guerra non ci vado, questo è fuori discussione. Io che da bambino ero rinnegato e un disertore, ma quel che è peggio ho disertato cori e manifestazioni, e quel luogo comune che separa buoni e cattivi».C’è ancora Mangiafuoco, oggi?«L’atmosfera è ancora decisamente collodiana, non le sembra? Vedo così tanti burattini che ballano…».E c’è bisogno di canzoni - e di una cultura - provocatoria?«I miei testi li ho sempre concepiti per dare emozioni e buone vibrazioni. Devono essere, anche, poesia, come ogni canzone. Questo, prima di essere provocatori. Ma in effetti molti testi miei nascono da analisi geopolitiche. Così anche quando dipingo. Tra le righe delle mie canzonette e canzonacce c’è il riferimento costante alle emergenze, agli squilibri sociali, alle correnti migratorie, cercando di evitare la retorica, i finti moralismi, la faziosità».Non serve, essere faziosi?«Non se si ha l’obiettivo di intercettare tutti al di là del livello culturale e generazionale».Oltre alla provocazione, ha sempre mostrato un pizzico di follia.«Spesso mi sono mostrato più folle di quanto io non lo sia in realtà. Soprattutto più folle di quanto lo siano tutti gli imbonitori, che fanno promesse, qualunque sia il marchietto politico che li sostiene, che li avalla, che li conforta. Chiunque siano i loro complici». Un po’ predicatore, anche?«Mi sembra che a predicare siano invece i dotti, i medici e i sapienti. Che predicano le loro teorie così spesso a loro uso e consumo. Tutti attorno al capezzale di un malato molto grave, anzi c’è qualcuno che ha detto che il malato è quasi morto».Questo lo ha cantato nel 2021: ventesimo album, Non c’è. Con un testo - Maskerate - contro l’omologazione e contro il potere. «Ricordo bene una telefonata di mio fratello Eugenio, che mi fece render conto di quanto la situazione stesse diventando schizofrenica, paradossale e surreale. Ci voleva una canzone alla Bennato, alla Bennato della prima ora, ritmica. E allora ho preso spunto da Uno buono, che avevo scritto nel 1974».«Finalmente sei arrivato», cantava. «Era uno sfottò al presidente della Repubblica di allora, Giovanni Leone. L’unica colpa che aveva, in realtà, era di evidenziare il suo accento napoletano, non è che ne avesse altre. Ma in quel periodo nonostante la protervia dei censori mi era concesso di ironizzare persino sull’inquilino del Colle. E allora ho preso spunto da quella situazione ritmica ed è venuto fuori “maskerate, nelle piazze e nelle feste comandate, dove tutto fila liscio e dove ogni scherzo vale”. Son partito da li e poi sono arrivato al delirio delle nacchere, alla follia. Del resto in certe situazioni l’unica scappatoia o valvola di sicurezza è la follia». La canzone più importante che abbia mai scritto è…«“Le ragazze fanno grandi sogni, forse peccano di ingenuità, ma l’audacia le riscatta sempre e non le fa crollare mai”. È una canzone a cui tengo molto».Cosa augura ai suoi fan? Di venirne a capo anche se sicuri e controllati, convinti e indaffarati?«Spero che ciascuno coltivi il proprio dubbio ostinatamente. Spericolatamente. Anziché rifugiarsi nelle certezze, oggi più che mai occorre avere dubbi. Ho fiducia nei giovani, a patto che non usino gli smartphone soltanto per mandare messaggi. La tecnologia può essere importante per capire ad esempio come è fatto questo nostro mondo, a partire dalla geografia che è fondamentale per decifrare anche la storia, che ha una sua logica che va compresa».Gli mando il testo a mezzanotte e mezza. Alla una arriva il via libera alla pubblicazione: «Ragazza mia, penso si divertirebbe tanto al prossimo concerto. In effetti quanto portiamo in giro sui palchi è rivolto proprio a gente come voi», mi scrive.