Secondo uno studio di Banca Ifis è questa la percentuale di prodotto interno lordo generata dall'ecosistema italiano della bellezza, che produce valore a più livelli: economico, sociale e imprenditoriale.
Secondo uno studio di Banca Ifis è questa la percentuale di prodotto interno lordo generata dall'ecosistema italiano della bellezza, che produce valore a più livelli: economico, sociale e imprenditoriale.A cercare di quantificare il valore economico della bellezza è stato il Market Watch di Banca Ifis, gold partner del Padiglione Venezia in occasione della diciassettesima mostra internazionale di architettura. Dallo studio, che ha provato a individuare il trait d'union tra due universi apparentemente molto distanti, l'arte e la finanza, è nato un progetto inedito: un'installazione artistica, curata da Emilio Casalini ed esposta al Padiglione Venezia, che rappresenta la mappa delle relazioni tra i luoghi, gli attori e i servizi che compongono l'ecosistema italiano della bellezza.Un insieme di prodotti ed esperienze che vale appunto il 17,2% del Pil italiano: il 6% deriva dalla fruizione dell'immenso patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. Ogni 50 chilometri quadrati in Italia c'è un museo, un monumento o un'area archeologica, e sono 128 milioni le persone che ogni anno fruiscono di questo inestimabile patrimonio.Il restante 11,2% del Pil scaturisce dalla produzione delle aziende made in Italy attive nei settori «design driven», cioè guidati da logiche estetico-funzionali. Le imprese di questo tipo in Italia sono 341.000, il 31% delle aziende presenti negli otto settori produttivi tipici del made in Italy – agroalimentare, automotive, cosmesi, meccanica, moda, orologeria e gioielleria, sistema casa e artigianato artistico - e realizzano un fatturato annuo complessivo di 682 miliardi di euro.Misurare il valore di un elemento intangibile e in continua evoluzione come la bellezza è stato «un lavoro complesso», sottolinea la ricerca. «Analizzando i flussi e i meccanismi economici generati dal patrimonio artistico, paesaggistico e manifatturiero italiano abbiamo costruito una mappa delle relazioni che ne individua e sintetizza gli elementi chiave, capaci di produrre arricchimento nei valori e benessere attraverso i loro legami: è questa la nostra idea di "economia della bellezza"». Si tratta di «un'economia circolare, alla quale attribuire un valore tangibile, a beneficio della comunità e che si sviluppa attraverso il lavoro inteso come consapevolezza ed espressione di sé», e allo stesso tempo di «un'economia aperta a nuovi contributi, in grado di inserirsi nel contesto di questo ecosistema culturale ed economico valorizzando l'esistente o creando nuove opportunità».Per dare concretezza a questi concetti, lo studio ha preso in esame tre storie di successo, riguardanti tre aree d'Italia, da Nord a Sud, che raccontano in tre diverse declinazioni cosa vuol dire economia della bellezza: Venezia, Bologna e il sistema Emilia-Romagna, e Sciacca, in provincia di Agrigento. Due business storici come l'agroalimentare di Cipriani e l'arte dei profumi, con Mavive, sono al centro del racconto dedicato a Venezia, una città contenitore di ricchezze naturali, artistiche e di stile, anche nel settore manifatturiero. Da parte loro, Bologna e il sistema Emilia-Romagna sono invece un esempio di pianificazione strategica di filiera di tipo manageriale, con un forte orientamento al risultato. Il capoluogo ha promosso l'esperienza urbana come leva turistica attrattiva, favorendo la sharing economy e la qualità della ricettività, con un conseguente incremento dei flussi turistici, di nuove imprese attive nell'hospitality (+10% le imprese di alloggio e ristorazione nel triennio 2015-19) e addetti (+28%). Nell'hinterland industriale i distretti produttivi, sia la Motor Valley sia la più estesa Food Valley, attraverso eccellenze come Ducati Motor e Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe Giusti si sono trasformate in veri brand di valore internazionale. Infine Sciacca, cittadina di 39.000 abitanti in provincia di Agrigento, si è fatta promotrice di un turismo di alto livello grazie a un «patto di comunità», attraverso cui i cittadini stessi promuovono il loro immenso patrimonio storico, artistico, culturale e gastronomico, anche attraverso la costruzione di un «Museo diffuso dei cinque sensi».«Banca Ifis crede nella cultura e nell'arte come asset strategici di crescita economica e sociale del Paese«, ha commentato il vicepresidente dell'istituto mestrino, Ernesto Fürstenberg Fassio. «La ricerca realizzata dal nostro ufficio studi, che ha coinvolto importanti rappresentanti dell'ecosistema italiano della bellezza, evidenzia la ricchezza del nostro patrimonio, non solo culturale e paesaggistico ma anche imprenditoriale. Un patrimonio in grado di generare un rilevante valore economico e sociale, da preservare e sostenere».
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
iStock
In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






