
Il ministro è a favore dell'accordo con il Canada avversato dalle associazioni agricole e dagli alleati di governo: penalizza i nostri prodotti. E plaude al commissario polacco che ci fregherà con la nuova Pac.Ripensando agli sfottò per il vestito del giuramento e alla sua sudata licenza media bisognerebbe cantare a Teresa Bellanova, neoministro agricolo di un governo che lei sta contribuendo a strozzare nella culla, sulle note di Francesco De Gregori: «Teresa non è da queste cose che si giudica un reggitore». Ma da quello che dice e che promette di fare sì. E quello che dice è tale che i 5 stelle su una faccenda agricola hanno minacciato: «Se è così, il governo è già morto». Capita, a farsi eccessivamente sudditi dell'Europa. Peraltro quella canzone sta nell'album Titanic. Il giudizio sull'ex sindacalista del bracciantato del Salento stavolta è durissimo. A Radio 24 ha scandito: «Dobbiamo lavorare perché si arrivi alla ratifica del Ceta (il trattato di libero scambio tra Europa e Canada cui finora si oppongono Italia e Francia perché non sono abbastanza tutelate le produzioni agroalimentari, ndr) con l'obbiettivo di dare competitività al sistema Italia. Finora s'è gridato ai porti chiusi alla disperazione, ma non si è parlato molto di porti chiusi alla contraffazione che è una parte fondamentale della concorrenza sleale al made in Italy. Anche sugli Ogm voglio aprire un confronto con la parte industriale». C'è da chiedersi se Teresa Bellanova abbia avuto il tempo di capire dove è capitata. Mentre lei scandiva il suo progetto al Senato, Giuseppe Conte nella replica per ottenere la fiducia affermava: «L'agricoltura è fondamentale per il Paese. Dobbiamo occuparci della filiera agroalimentare e abbiamo una vertenza aperta in Europa che non è soddisfacente: la Pac (politica agricola comunitaria, ndr). Dobbiamo chiedere maggiore tutela per le nostre eccellenze contrastando l'italian sounding». Mettersi d'accordo in un governo come il «pdstellato» evidentemente non usa. Ma cosa ha di tanto eccentrico la dichiarazione della ministra? Che tutte le organizzazioni agricole in Italia hanno detto no al Ceta. Le ragioni sono tante: non tutte le Dop vengono riconosciute, la carne canadese potrebbe arrivare in Europa avendo controlli sanitari diversi, il Canada ci fa concorrenza col finto Parmigiano e c'è voluta una causa legale per fare entrare il Prosciutto di Parma a Ottawa, i vini italiani anche col Ceta restano sottoposti a dazi fortissimi, ci mandano il loro grano duro che serve a confezionare del simil made in Italy però fermano in dogana i nostri formaggi, salumi e olio extravergini. Se il Ceta ha una parte «oscura» è quella dell'agroalimentare. Lo sa bene anche il «co-mandante» del governo pdstellato Emmanuel Macron che si è ritrovato i paysans a scaricargli il letame all'Eliseo per spiegargli che non doveva firmare il Ceta. Ma per la Bellanova l'Italia lo deve firmare per tutelare il made in Italy. Quale? La moda? La meccanica? La finanza? Qualcuno le ricordi che ora suo malgrado fa il ministro agricolo. La sua esternazione sul Ceta però rischia di accrescere le tensioni interne al governo. A brutto muso le ha risposto il senatore pentastellato Mario Michele Giarrusso: «Ci risiamo. La battaglia contro il Ceta è una battaglia identitaria del Movimento 5 stelle. Mi pare che qualcuno non ha capito nulla e vuole fare saltare il governo prima che nasca». I pentastellati anche gli Ogm li vedono come il fumo negli occhi. Così mentre parlava Conte hanno rincarato: «Qui in Senato la commissione agricoltura sta lavorando per superare gli organismi geneticamente modificati e proporremo in Europa un cambio di legislazione su questo aspetto. Abbiamo un'occasione storica per far emergere la qualità italiana e il ministro deve tenerne conto». Ma forse il ministro soffre di un minimo complesso di sudditanza verso gli «scienziati» perché dopo l'apertura sugli Ogm ha ripreso la polemica sulla Xilella dicendo che non si è fatto nulla per contrastare la devastazione degli ulivi del Salento e lamentando che il suo predecessore il leghista Gian Marco Centinaio non le ha passato le consegne «così dovrò cercare di pigliare quel poco di buono che c'è». La Bellanova fa finta di non sapere che contro il piano europeo anti-xilella si schierò il governatore Pd della Puglia (suo acerrimo nemico di partito) Michele Emiliano e che una soluzione, se c'è, l'hanno trovata gli agronomi del Cnr. Piuttosto, la neoministra - nonostante Giuseppe Conte abbia ribadito che la Pac che ci è stata proposta non va bene - continua con l'elogio dell'Europa. Ursula Von der Layen ha nominato Commissario agricolo - gestirà circa il 40% del bilancio dell'Ue - Janusz Wojciechowski, il polacco che quando era alla Corte europea voleva abolire i contributi agricoli. La Von der Leyen spera spostando molti vantaggi agricoli sulla Polonia di ammorbidirne la posizione antieuro ed euroscettica. E cosa farà il polacco? Cambierà gli assi della Pac togliendo soldi alle colture mediterranee e allo sviluppo rurale per sostenere le produzioni estensive dell'Est. Ma la Bellanova nel messaggino di auguri a Wojciechowski si mostra contenta perché la Von der Leyen ribadisce l'importanza dell'agricoltura e aggiunge: «Dobbiamo scrivere tutti insieme la nova Pac». Cominciando con la firma del Ceta!
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





