2021-02-28
La beffa vaccini: ci sono ma non ce li fanno
Nonostante i pianti di Domenico Arcuri sulle fiale mancanti e le sue minacce a big Pharma, l'Italia ha 1,8 milioni di dosi inutilizzate. Una falla che ci accomuna ad altri Paesi Ue e riguarda principalmente Astrazeneca. Manca una logistica di tipo industrialeNel bel mezzo della campagna vaccinale, con le zone che ricambiano colore e le attività costrette a richiudere, ci troviamo dentro a un paradosso. Ai dati disponibili sul contatore Git-Hub del ministero della Salute (che procede ancora a singhiozzo) in Italia sono state consegnate 5,83 milioni di dosi di vaccino. Ma al fresco nei frigoriferi (...) ne sono rimasti 1,8 milioni. Calcolando la differenza tra vaccini consegnati e vaccini somministrati in base ai numeri aggiornati a venerdì, ci ritroviamo con le seguenti scorte: 825.541 di Astrazeneca, 827.022 di Pfizer, 127.037 di Moderna per un totale - appunto - di 1.779.600 dosi. Un tot di vaccini (circa il 30%) va conservata per il richiamo, ma il numero sarebbe comunque sproporzionato considerando che il flusso di consegne continua e quindi anche nei prossimi giorni arriveranno altri «pizza box» previsti dai contratti e che per un vaccino come Astrazeneca tra la prima e la seconda dose possono passare 90 giorni. La Verità lo scrive da settimane, anzi mesi, ovvero da quando il commissario Domenico Arcuri diffidava Pfizer per le mancate consegne: i vaccini ci sono, eppure le somministrazioni procedono a rilento e le fiale restano in frigorifero. Come si scioglie, quindi, il paradosso? Per rispondere partiamo da una, poco consolante, considerazione: il problema non riguarda solo l'Italia ma anche altri Paesi europei. Dove in frigo sembrano rimanere più che altro gli Astrazeneca: da venerdì, la Francia aveva somministrato il 16% degli 1,1 milioni di dosi del vaccino a due iniezioni che ha ricevuto dalla prima consegna all'inizio di febbraio e sempre a partire da giovedì, la Germania aveva somministrato poco più di un quinto degli 1,45 milioni di dosi, circa la stessa proporzione dell'Italia, che ha ricevuto oltre 1 milione di dosi. E qui si aggiunge un altro paradosso perché solo un mese fa la Commissione Ue aveva alzato il tiro contro l'azienda anglosvedese (di proprietà anglosvedese, dunque per metà extra Ue) per una riduzione temporanea delle consegne che Bruxelles aveva letto implicitamente come un trattamento preferenziale alla Gran Bretagna. A indossare l'elmetto era stato anche il presidente francese, Emmanuel Macron, suggerendo (il 29 gennaio) che il vaccino fosse «quasi inefficace» su individui più anziani. Tanto che l'iniezione viene offerta solo ai francesi di età compresa tra 50 e 64 anni con patologie e agli operatori sanitari, mentre la Spagna ha consigliato di non utilizzarla su persone di età superiore ai 55 anni. Dietro a un pubblico reso scettico dagli stessi governanti si celano anche sfide logistiche: per esempio, la stessa Francia ha cominciato a ingranare con le somministrazioni praticamente un mese dopo gli altri Paesi e deve fare i conti ancora oggi con problemi logistici (mentre il via libera al vaccino di Sanofi è rimandato all'autunno). Secondo Pietro di Lorenzo, ad di Irbm che ha collaborato con Astrazeneca sui test, anche il prezzo di 2,80 euro è stato strumentalizzato per far passare l'idea che ci fosse una minore efficacia. Così come qualche maligno fa notare che la Germania ha comunque interesse a mandare avanti i «suoi» vaccini come quelli prodotti da Biontech in tandem con Pfizer o come Curevac, togliendo spazio ai concorrenti.In Italia, se guardiamo i dati sulle scorte, non c'è una grossa differenza tra i vaccini attualmente disponibili. E per altro, qui abbiamo appena iniziato la somministrazione agli over 80 mentre l'Astrazeneca è utilizzabile solo fino a 65 anni (dopo il via libera dell'Aifa, l'agenzia nazionale del farmaco, ad alzarlo dagli iniziali under 55). Il problema è che la campagna, in generale e senza distinzioni tra «marche», va troppo lenta. Il programma di vaccinazione e le risorse messe in campo fino a oggi non consentono di andare oltre le 100.000-110.000 persone al giorno. I picchi registrati in alcune regioni sono dovuti all'ingresso di nuove categorie (come gli insegnanti o i rappresentanti delle forze armate) e di nuovi vaccinatori: la Toscana, ad esempio, nei giorni scorsi ha visto aumentare improvvisamente la curva delle somministrazioni perché sono scesi in campo i medici di famiglia. Che sono tanti ma poco produttivi, in quanto devono nella maggior parte dei casi fare tutto da soli: gestione del vaccinando, anamnesi, preparazione siringa, registrazione e osservazione. Il problema di questo metodo di vaccinazione è che la sua capacità è limitata dal numero dei medici, che in ultima analisi dipende dalla popolazione. Per incrementare il numero di somministrazioni va cambiato il modo in cui si organizzano i vaccinatori, non basta aumentarne il numero. Se si organizzano delle squadre vaccinali composte da un medico, due infermieri, un amministrativo e un assistente sanitario, la produttività cresce perché c'è una divisione del lavoro. Ma se queste squadre vengono aggregate a 20, 30, 40 per volta, la divisione dei compiti può essere ottimizzata e concentrata sul momento cruciale, la puntura. Un medico potrà fare anamnesi per dieci squadre, idem amministrativi e assistenti. Un solo infermiere preparerà le siringhe per cinque «punturatori». E la produttività salirà. Anche in caso di assenze, la produzione calerà ma di poco. Esattamente come funziona un'operazione industriale, dove il prodotto finale è un cittadino immunizzato al Covid.
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