Il manager di Banca Generali Mario Beccaria: «Cambio di paradigma: gli istituti centrali non hanno le idee chiare sul futuro, pesa più la spesa pubblica che la politica monetaria. Divaricazione tra Usa ed Ue sia a livello macroeconomico sia sui mercati finanziari.
Il manager di Banca Generali Mario Beccaria: «Cambio di paradigma: gli istituti centrali non hanno le idee chiare sul futuro, pesa più la spesa pubblica che la politica monetaria. Divaricazione tra Usa ed Ue sia a livello macroeconomico sia sui mercati finanziari.Sorpresa: le Banche centrali faticano sempre più ad avere chiare le politiche economiche per il futuro e la crescita oggi viene guidata non più da queste ultime (come avvenuto negli ultimi anni) ma dall’aumento della spesa pubblica. Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al passato recente come illustra Mario Beccaria, responsabile dell’investment center di Banca Generali, cioè sia dell’asset management sia dell’advisory finanziario della private bank. Il top manager spiega in questa intervista a La Verità che cosa sta accadendo sui mercati finanziari e come affrontare la crescente incertezza che arriva dall’applicazione delle tariffe. Incertezze che portano con sé una buona dose di volatilità: un compagno di viaggio che, fatto salvo lo strappo di agosto, nel 2024 era sempre rimasto su livelli contenuti. Quali sono le prospettive di crescita e come vede l’andamento dei mercati in questo 2025?«I dazi imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump - secondo le stime più accreditate - potrebbero intaccare negativamente la crescita globale dello 0,5%-1% nel medio termine (forchetta che varia in base all’aggressività delle future politiche tariffarie), mentre l’inflazione potrebbe salire nel 2025 dello 0,5% su base annua a livello globale».L’andamento dell’economia Usa si riflette spesso e volentieri sull’Europa. Com’è il quadro ad oggi?«Ci troviamo di fronte a una divaricazione tra Stati Uniti ed Europa sia dell’andamento dei dati macroeconomici sia di quello dei mercati finanziari con l’Ue che sovraperforma gli indici azionari americani del 15% mentre da inizio anno si è registrato un abbassamento della curva dei tassi Usa e un incremento di quella europea. Dal 18 dicembre i tassi decennali a stelle e strisce sono scesi di 50 bps mentre quelli Ue sono aumentati. La fiducia dei consumatori americani è in calo in America mentre è stabile in Europa; le differenze non si fermano qui: mentre negli States performa bene l’indice manifatturiero, in Europa funziona quello dei servizi».Da chi è guidata la crescita in questa fase?«Per la prima volta da molto tempo a questa parte le Banche centrali fanno fatica ad avere chiare le politiche economiche per il futuro e la crescita, in questo momento, sembra essere guidata più dall’aumento della spesa pubblica che dalla politica monetaria».Alla luce di queste considerazioni come muoversi sui mercati finanziari da qui alle prossime settimane?«Sui mercati azionari rimaniamo neutrali. Da inizio anno, gli indici europei hanno sovraperformato quelli americani e su questi ultimi potrebbero esserci occasioni di acquisto, tuttavia preferiamo avere un’esposizione azionaria globale e diversificata. Anche le obbligazioni sono una bella occasione di acquisto: la visione è più costruttiva sulla componente media e lunga della curva europea dei tassi, anche governativi, mentre andrebbe ridotto il cash sottopesato. Il differenziale dei tassi, in questo momento, ha portato a una debolezza del dollaro. Le preoccupazioni per le conseguenze della politica commerciale imprevedibile del presidente Trump sull’economia statunitense hanno indebolito il dollaro questo mese. Tuttavia, la scorsa settimana, la Federal reserve ha mantenuto invariata la sua politica monetaria e ha dichiarato che non avrebbe tagliato i tassi di interesse nelle prossime riunioni; decisione che in parte ha favorito la valuta. Secondo Banca Generali ricomprare il dollaro potrebbe avere senso solo come tattica ma non come strategia».Quali le soluzioni che non possono mancare nella cassetta degli attrezzi degli investitori?«Per gli investitori diventa quanto mai prezioso poter contare su strumenti con una gestione attiva e flessibile, per affrontare i cambi di scenario con sangue freddo e un approccio di gestione che risponda alle loro esigenze specifiche. A tutto ciò mirano le gestioni patrimoniali, il prodotto più versatile e personalizzabile a disposizione dei clienti delle reti di consulenza. Per Banca Generali è necessario basarsi in primis su due elementi: da un lato mettere a disposizione del cliente filosofie di gestione patrimoniale il più possibile diversificate, in modo da permettere di costruire soluzioni su misura, combinando più linee di gestione; dall’altro, un approccio dinamico alla gestione del portafoglio, per posizionarsi in maniera più difensiva quando il mercato lo richiede o per essere più decisi quando le condizioni economico-finanziarie permettono di esserlo. Tenuto conto che il mercato arriva da un rally lungo di fatto due anni, e che numerose incertezze su crescita, politica monetaria e geopolitica sono presenti all’orizzonte, è cruciale una corretta selezione all’interno delle singole asset class, con gestioni professionali in grado di identificare le migliori opportunità di mercato. La maggior volatilità richiede una gestione attiva professionale e una diversa modulazione dell’esposizione azionaria e questo rappresenta un ambiente adatto ai flessibili nel loro insieme».
Anna Falchi (Ansa)
La conduttrice dei «Fatti vostri»: «L’ho sdoganato perché è un complimento spontaneo. Piaghe come stalking e body shaming sono ben altra cosa. Oggi c’è un perbenismo un po’ forzato e gli uomini stanno sulle difensive».
iStock
Il capo del Consorzio, che celebra i 50 anni di attività, racconta i segreti di questo alimento, che può essere dolce o piccante.
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
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