
Il 2 febbraio si celebra il diritto alla vita. Onoriamola davvero rendendo obbligatorio che le madri guardino l’eliminazione del feto. Liberiamo gli ospedali dai medici pro choice. E dobbiamo pretendere sostegni economici per crescere un figlio, non per ucciderlo.Chi non può aver cura dei putti, i bimbi, può dare il suo a un’altra mamma che, insieme a un altro papà, lo aspetta con tutto il cuore. La parola abortion diventa facilmente adoption. Molte donne ritengono di non essere pronte ad avere un bambino. Nessuna donna può essere pronta a uccidere il suo bambino. Uccidere il proprio bambino è l’allucinazione che una società folle offre, l’illusione che tutto torni come prima di restare incinta. Il 2 febbraio è il giorno in cui si parla del diritto alla vita. Ogni singolo giorno e ogni singola notte devono essere dedicati al diritto alla vita. Si deve evitare la morte di un bimbo, decantata come diritto e fatta a spese dello Stato. «Nessun uomo è un’isola», recitano i versi del poeta John Donne ripresi nel titolo di un libro di Thomas Merton: ogni morte ci diminuisce. Ogni aborto ci diminuisce, ogni bimbo non nato offende a nostra umanità. Visto che viviamo in un’epoca che tiene tanto alle ricorrenze usiamo, però, questo 2 febbraio per fare richieste reali e potenti. Chiediamo che la madre debba ascoltare il battito del proprio feto ma non solo, deve guardare l’ecografia durante l’intervento. La donna si assume la responsabilità tremenda di volere la morte del proprio figlio. Mostrare l’ecografia prima dell’aborto sarebbe considerata tortura secondo la signora Eugenia Maria Roccella, ma anche secondo le fanciulle di «Non una di meno» perché, dopo aver visto l’ecografia, la donna potrebbe provare dispiacere ad averlo ammazzato, e non è giusto che provi dispiacere. Potrebbe quasi sicuramente desistere dall’ucciderlo, ed è giusto che desista.Noi pretendiamo che guardi l’ecografia prima e durante l’intervento: il piccolo ha sufficiente sistema nervoso per aver paura e provare dolore. I re dell’antichità, quando condannavano a morte, si assumevano l’onere di assistere all’esecuzione. Era un loro dovere. La donna non può guardare tutto questo perché tutto questo è mostruoso. Siamo assolutamente d’accordo che sia mostruoso. Resta mostruoso anche se lei non lo guarda. Quindi, il nostro slogan è: «Se non puoi nemmeno guardarlo tanto fa schifo, allora non farlo». Pretendiamo che le immagini del feto smembrato, quello che l’aborto veramente è, vengano mostrate nelle scuole, nelle lezioni di educazione sessuale. Le immagini di questa morte devono sostituirsi alle roboanti parole come autodeterminazione e libertà, che sostituiscono irresponsabilità e morte. Le cose mostruose bisogna non farle, non limitarsi a non guardarle. E se proprio lo fai, almeno non pretendere che te lo paghi io. L’utero è mio e me lo gestisco io? Bene, mostra coraggio però: tuo figlio sta morendo, ha diritto al tuo sguardo mentre muore. Chi pretende di gestire non chiude gli occhi, paga di tasca propria e smaltisce di persona gli eventuali rifiuti. Aprite gli occhi e guardate come è veramente la morte che voi avete seminato. Pretendiamo che sia la donna a occuparsi dello smaltimento del piccolissimo cadavere. L’utero è mio e me lo gestisco io? Bene, il piccolo cadavere era nel suo utero, quindi è roba sua. Tanto, secondo la vulgata pro choice, è solo un tessuto, un grumo di cellule. Che problema è smaltire un grumo di cellule? Che lo smaltisca il produttore.Seconda richiesta: fuori i medici abortisti degli ospedali. Un medico abortista non è capace di seguire una gravidanza. Nel magnifico libro La mano di Dio, il ginecologo ex abortista Bernard Nathanson, uno dei fondatori del movimento abortista, spiega che, a furia di smembrare i corpicini e a guardare alla fine della giornata l’aspiratore pieno, i medici perdono lucidità. Alcuni sviluppano linee sadiche, tutti perdono la capacità di seguire una gravidanza battendosi per la vita. I medici abortisti spingono le donne ad abortire per qualsiasi malformazione, vera o presunta: un piedino torto, il labbro leporino. A volte la malformazione non c’è, come hanno dimostrato tutte le mie amiche che, non abortendo, hanno poi messo al mondo un bambino sano o ragionevolmente sano. Sarebbe corretto che, dopo che un medico ha spinto all’aborto per una malformazione, sia obbligatoria l’autopsia del feto. Gli aborti per malformazioni si fanno su feti negli ultimi mesi sono veri e propri bambini, perfettamente in grado di sentire il dolore e la morte. I medici «abortisti» non possono lavorare negli ospedali. Occorre creare cliniche apposite, pagate dalle utenti. Terza richiesta: l’aborto deve essere pagato dalle interessate. La sanità pubblica dovrebbe sobbarcarsi le necessità, non le scelte, anche perché le scelte possono essere rimpiante e, quando il rimpianto arriva, spacca il cuore. Il cancro si leva a spese del sistema sanitario, è una bella cosa levare il cancro. Se gratuitamente si uccide un bambino, si equipara una creatura vivente umana al cancro e si dà l’impressione che la sua morte, che la distruzione del suo piccolo corpo, sia una bella cosa. Che levare un cancro sia una bella cosa è un concetto universale. Che la morte voluta della piccola creatura sia una bella cosa non è un valore condiviso: noi, che lo consideriamo un assassinio, non possiamo essere costretti a finanziarlo con le nostre tasse.Questo è fondamentale perché voi non potete caricarmi questo peccato, in quanto contribuente di uno Stato che finanzia lo sterminio dei propri futuri cittadini. L’altro motivo per cui è fondamentale che l’aborto non sia gratuito è che, nella maggioranza dei casi, dietro l’aborto c’è la pigrizia e la sciatteria di prendere precauzioni: l’aborto è gratis, i preservativi non lo sono.L’aborto è facile ed economico perché ci sono élite neomalthusiane che vogliono diminuire il numero di quelli che considerano esseri inferiori. Non potete tenere il vostro bambino? La società vi ha dato l’aborto gratis proprio per non darvi niente altro. Armatevi di collera e andate a pretendere denaro per mantenere il vostro bimbo. Se è vero che ogni aborto diminuisce l’umanità di tutti, ogni bambino che nasce aumenta l’umanità di tutti, è un dono per tutti. Pretendete aiuto economico e sociale. I Comuni sperperano centinaia di migliaia di euro l’anno per organizzare i pride. L’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ndr) sperpera centinaia di migliaia di euro per sostenere associazioni Lgbt in nome dell’inclusione. L’unica inclusione che abbia un senso è quella del vostro bimbo. Se proprio non potete tenerlo, aspettate qualche mese e permettete al bimbo di nascere, di essere vivo e di essere adottato.Questa è la mia battaglia. Ovviamente con il rosario e poi con il libro La ballata dei bambini senza nome. Il libro è stato pubblicato da La Verità, cui va la mia infinita gratitudine. Ho recuperato le copie invendute e le sto distribuendo a pochissimo. Lasciatene una in una sala d’aspetto della clinica ginecologica. Potete distribuire nelle biblioteche. Potete incontrare qualcuno che vuole abortire e fermarlo. Potete incontrare qualcuno che ha già abortito e deve essere consolato. Offro ai sacerdoti dieci copie in cambio di tre messe per i bambini non nati.Abbiamo un pro life al governo in Argentina e un pro life al governo negli Stati Uniti. Quindi questo è il momento di combattere perché i bimbi possano nascere, per smettere di essere una cultura di morte. Stringiamo i nostri rosari che sono la nostra arma principale e chiediamo queste tre modifiche della legge. Facciamolo per i bimbi. Facciamolo per le loro madri. Quando una donna resta incinta non può più scegliere se essere madre o no. È già madre e lo sarà per l’eternità. Può scegliere se essere la madre di un bambino vivo o di un bambino morto. Se sceglie di essere la madre di un bambino morto, la morte scola dentro di lei, scola nel mondo. Diventiamo una cultura di morte.Smettiamo di esserlo. Se non potete tenerlo, c’è un’altra mamma che spetta il vostro bambino.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
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«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
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Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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2025-10-24
Dietro lo scandalo scommesse nell’Nba un’inchiesta legata alla mafia italo-americana
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