2021-04-08
La nostra libertà è diventata una concessione del potere
L'ipotesi di un micro allentamento dal 20, con le aperture dei locali solo per pranzo, viene festeggiata come una svolta. Ormai siamo assuefatti a coprifuoco e lockdown anche se servono a poco. Per questo finora le proteste sono state sporadiche Di fronte alle proteste di piazza scaturite «dal basso» - come amano (o amavano) dire a sinistra - si è levato il consueto coretto antipopulista: monta l'indignazione perché in piazza ci sarebbero «estremisti di destra, no mask, ultrà» e altri brutti (...) ceffi. Invece di fare a gara ad attribuire patenti di inadeguatezza ai manifestanti, tuttavia, sarebbe più interessante chiedersi come mai ci sia voluto così tanto tempo per far montare la rabbia. È in effetti sorprendente che - dopo un anno di restrizioni ormai considerate discutibili anche da «Lascienza» - sia scesa in strada soltanto una minoranza, per quanto combattiva. Tutti gli altri, a quanto pare, in fondo si sono rassegnati, per via del fatto che ci si abitua a tutto, persino alla schiavitù. Gli italiani, da mesi e mesi e mesi, si accontentano di zuccherini inconsistenti. Hanno dato prova di possedere una resistenza d'acciaio, una sopportazione biblica. O forse, più semplicemente, hanno talmente introiettato il sistema di controllo psichico sanitario da non rendersi completamente conto delle rinunce a cui sono costretti a sottoporsi. Quando lo sconforto sale e dilaga, basta una briciolina di brioche lanciata dal governo per far risalire il morale a gran parte della popolazione. Si fa molta ironia sul «chiudiamo adesso per riaprire poi», ma intanto ogni volta si accetta senza fiatare l'ennesima stretta. Adesso c'è chi tiene le dita incrociate pensando al 20 di aprile, cioè la data che da qualche giorno viene indicata dai quotidiani come possibile inizio delle riaperture.«Aperture ci saranno, soprattutto da maggio, forse qualcosa già dal 20 di aprile si potrà riaprire», ha detto il ministro Mariastella Gelmini, e subito nei cuori si è riaccesa la luce: evviva, si torna alla libertà. Ed è comprensibile, come no, che sulla parete scivolosa ci si aggrappi alla prima protuberanza disponibile. Ma, se vogliamo dircela tutta, le «riaperture» e la «libertà» sono altra cosa. Stando alle indiscrezioni, il 20 di aprile potrebbero forse riaprire i ristoranti. Soltanto a pranzo, e con chiusura alle 15 o alle 16, onde evitare gli aperitivi. Intanto, però, fino alla fine del mese le zone gialle restano abolite. Quindi, di fatto, resteremo in simil lockdown fino a maggio. Certo, il momento s'avvicina, e c'è da esserne più che lieti. Se prima si riuscirà a scroccare qualche strapuntino in più, ovviamente, sarà grasso colante di cui compiacersi con gusto. Però, in sottofondo, resta una fatale questione: come è potuto accadere? Come è che ci siamo fatti ammansire così facilmente? In uno dei suoi primi discorsi, Mario Draghi fece intendere che «dopo Pasqua» la reclusione sarebbe finalmente giunta al termine, o comunque che si sarebbero visti sacrosanti segnali di ritorno alla vita. Oddio, non ha specificato quanto tempo «dopo Pasqua» però, insomma, sembrava di aver inteso che sarebbe stata una cosa rapida. E invece niente. Ci siamo ritrovati di nuovo in chiusura quasi totale senza nemmeno accorgercene. Non ci hanno detto nulla, non hanno fatto grandi annunci: si sono limitati a girare la chiave nel lucchetto, rimandando ogni volta il momento della liberazione. Così, un faticoso giorno dopo l'altro, ci siamo sorbiti settimane e settimane di prigionia. E abbiamo permesso che fossero alleviate dalle «finestre di conforto sociale», il croccantino che si tira al bravo quadrupede. Tra un guaito e l'altro, però, il coprifuoco è ancora in vigore e nessuno sembra chiedersi il perché. Si susseguono gli studi che smontano l'efficacia dei lockdown e mostrano, al contrario, i benefici dell'aria aperta, eppure gran parte del governo sembra infischiarsene, e i cittadini accettano. Restano lì, in attesa di qualche gesto gentile, di un po' di pietà.Ecco che cosa è diventata la libertà nell'era Covid: una concessione, una sorta di privilegio feudale. Ci dicono che fra pochi giorni riapriremo, e invece non si riapre, e i più se ne stanno comunque buoni, ordinati e al loro posto. Anzi, sono emozionati all'idea che il 20 aprile... Ah, il 20 aprile che giorno sarà! Sì, un bel giorno davvero: ci permetteranno (forse) di tornare a pranzare al tavolino del bar nella pausa dal lavoro, e tanto basta per accogliere l'evento come la caduta del muro di Berlino. Il governo fa annusare il profumino della torta, e subito la massa si dimentica di tutte le prese in giro a cui è stata sottoposta, delle umiliazioni e delle smargiassate. «Non mollate proprio ora, ci siamo quasi, l'uscita è prossima...». Nel frattempo, divieti e assurdità in abbondanza. E poi rinvii, e altri rinvii, e regole cambiate in corsa, e menzogne, e multe. Ma appena la mano del padrone fruga nel sacchetto per estrarre il dolcetto... tout est pardonné! Dalla sindrome di Stoccolma, siamo passati alla sindrome di Speranza: si giubila non per la ritrovata autodeterminazione, ma per il minimo alleggerimento della pressione.Poi, chissà, magari un bel giorno torneremo liberi davvero, si riaprirà sul serio. E ci vorranno settimane, forse mesi per disintossicarsi. Finché un bel giorno, dopo esserci soffiati il naso, ci accorgeremo di averlo finalmente espulso: il piccolo drone che stava dentro di noi, ben piantato nella testa.
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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