2021-04-18
Dopo bar e ristoranti adesso il governo permetta di lavorare anche al Parlamento
L'iter delle aperture dev'essere trasparente: per ridare centralità all'Aula, basta un decreto legge da far convertire in pochi giorni.Le decisioni annunciate l'altro ieri da Mario Draghi avranno pure alcuni limiti, stravaganze, paradossi: dal coprifuoco alle 22 fino al pass interregionale, dai tempi troppo lenti previsti per palestre e piscine fino all'oggettiva discriminazione subita dal 50% circa di ristoranti che non dispongono di spazi esterni, e per i quali il lockdown è di fatto prolungato. Tuttavia, è innegabile e positivo il fatto che (finalmente!) si sia voltata pagina in modo clamoroso: tutta l'enfasi non è più sulle chiusure ma sulle riaperture, come La Verità chiedeva da mesi. Di più: il ministro Roberto Speranza, pur formalmente difeso dal premier, è apparso in ultima analisi commissariato, costretto a annunciare orientamenti opposti a quelli che aveva caldeggiato fino a qualche ora prima. È consolante immaginare che, da ieri, centinaia di migliaia di imprese siano impegnate a organizzare la riapertura: a richiamare i loro dipendenti, a sollecitare i fornitori, a ridare speranza a sé stessi e a tutta l'Italia. Molto bene, e speriamo sia solo l'inizio di un cammino lungo e sicuro. A questo punto, sorge però una domanda. Come si procede materialmente? Dopo la discussione (agitata) nella cabina di regia, quali passi formali verranno compiuti? Non dimentichiamo che questa cabina - giuridicamente parlando - non si sa cosa sia, un ircocervo metà tecnico metà politico, certamente non un organo previsto dalla Costituzione. Per procedere, il governo Draghi ha due strade, e noi ci permettiamo di suggerirne una terza. La prima (che auspichiamo sia evitata) è la resurrezione dei famigerati dpcm alla Giuseppe Conte. E cos'erano i decreti del presidente del Consiglio dei ministri? Erano atti amministrativi, erano decreti ministeriali fatti però da Palazzo Chigi. Senza firma del Colle e senza alcun intervento parlamentare. Nell'ultima parte della stagione contiana, in modo perfino umiliante, il Parlamento aveva chiesto e ottenuto di essere almeno «sentito» prima del varo del dpcm, attraverso flebili risoluzioni parlamentari. Cosa che in qualche caso è avvenuta, in qualche caso no: ma nell'irrilevanza generale. La seconda strada è quella, più classica e seria (costituzionalmente parlando) del decreto-legge. Si tratta di un atto che ha la stessa forza di una legge, è immediatamente in vigore (sin dal momento in cui viene varato), che il governo scrive per ragioni di necessità e urgenza (è il nostro caso), e che poi viene esaminato dal Parlamento (tecnicamente si parla di «conversione in legge») entro 60 giorni.Ecco, noi ci permettiamo di suggerire una terza strada, che è poi una «variante» della seconda. Si proceda per decreto-legge, ma ci sia un impegno, un'intesa tra governo e presidenti delle Camere, affinché l'esame parlamentare non usi tutti i 60 giorni (altrimenti le eventuali modifiche parlamentari scatterebbero troppo tardi, «a babbo morto»), ma ne usi molti di meno, dieci al massimo, cinque per la Camera e cinque per il Senato, con un lavoro super-intenso di Commissioni e Aula, giorno e notte. Facciano finta che si tratti di una manovra di bilancio da licenziare tassativamente entro una certa scadenza, pena l'esercizio provvisorio. Ipotizzo: il governo potrebbe varare il decreto subito, già entro 48-72 ore (quindi entro il 20-21 aprile), e le Camere potrebbero convertirlo in legge entro il 1° o il 2 maggio. Rendendosi pronte, immediatamente dopo, a convertire con uguale sollecitudine pure il decreto Sostegni Bis, quello sui nuovi ristori, che si presume il governo vari entro fine mese. Se si procedesse così, ci sarebbero due vantaggi clamorosi. Primo: le Camere avrebbero davvero la possibilità di migliorare il provvedimento, e di rendere subito operative le ipotetiche migliorie. Si inizierebbe il 26 aprile con i contenuti del decreto nella versione scritta dal governo, e gli eventuali miglioramenti parlamentari scatterebbero appena 6-7 giorni dopo, a conversione in legge completata. Secondo: tutta la discussione si svolgerebbe interamente davanti agli occhi dell'opinione pubblica. Nei giorni scorsi, è stata purtroppo bocciata una saggia proposta dell'onorevole Claudio Borghi (Lega) volta proprio a enfatizzare il ruolo del Parlamento. Si recuperi per questa via: attraverso un impegno a un esame parlamentare ultra-tempestivo del decreto. Ieri, sulla Verità e su altre testate, abbiamo letto retroscena interessanti sul dibattito vivace tra il ministro Giancarlo Giorgetti e la «controparte» Roberto Speranza, dentro la cabina di regia. Tutto ciò va portato nel luogo proprio, cioè le Camere: e sarà lì che i «chiusuristi», sotto gli occhi del 70% degli italiani «aperturisti» (secondo i sondaggi), dovranno avere il coraggio di difendere la loro linea.
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