I talebani delle chiusure, la casta braminica del lock-down, i mistici dei divieti, amano presentare le cose in modo estremo, disegnando una specie di bipolarismo barbarico: o stai con loro o vuoi gli assembramenti selvaggi. O ti inchini all'altare di un'interpretazione ultrarestrittiva del principio di precauzione o sei un irresponsabile tifoso della movida incontrollata. A maggior ragione, da quest'altra parte, occorre evitare quelli che calcisticamente potremmo chiamare «falli di reazione»: è invece necessario, con estrema prudenza e moderazione, spiegare che si possono fare passi ragionevoli, graduali, cauti, rigorosi. Ma occorre farli: passando dai «protocolli di chiusura» a seri e praticabilissimi «protocolli di apertura». Ecco dunque 5 proposte per cambiare paradigma: si tratta naturalmente di azioni da condurre in parallelo rispetto all'indispensabile accelerazione del piano vaccinale.
Consentire alle imprese private che lo vogliano di vaccinare i propri dipendenti
È l'uovo di Colombo per moltiplicare i numeri in tempi ultrarapidi. Tutte le imprese di ogni dimensione - ne possiamo star certi - sarebbero lietissime di poter provvedere volontariamente alla vaccinazione dei loro lavoratori. Ogni imprenditore comprende bene che il costo dell'operazione sarebbe ridicolo se rapportato all'incubo di rimanere chiuso. Dunque, sarebbe possibile bruciare i tempi e insieme liberare il Servizio sanitario nazionale da numeri e oneri importantissimi. Con un po' di coraggio, la cosa dovrebbe essere consentita anche a ogni singolo privato. Del resto, un anno fa lo si è fatto con i tamponi: prima si era stabilito che i tamponi potessero essere fatti solo presso le strutture pubbliche, poi (più ragionevolmente) si aprì anche ai laboratori privati. Il primo a consentire questa opportunità fu il governatore della Liguria Giovanni Toti, che anche stavolta è stato rapido a fare almeno un primo passo nella direzione giusta, aprendo a un accordo tra sanità pubblica e privata per un hub vaccinale, anche coinvolgendo nell'intesa le associazioni del mondo produttivo (Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Legacoop, eccetera). Il prossimo passo, in tutta Italia, dovrebbe essere quello di dare direttamente semaforo verde alle imprese, naturalmente con gli opportuni controlli.
Potenziamento dei trasporti pubblici tramite accordi sistematici con il trasporto privato e turistico
Il tema del trasporto è quello che, in genere, blocca ogni ipotesi di riapertura: è l'ostacolo oggettivo che ad esempio viene evocato per dire no al ritorno a scuoladei ragazzi più grandi. E allora, con stanziamenti pubblici consistenti ma non trascendentali (mai dimenticare che i contribuenti italiani hanno speso 316 milioni per i banchi a rotelle…), si può puntare a un incremento fortissimo dei mezzi. Ovvio che, per evidenti ragioni, non si possano raddoppiare i treni delle metropolitane: ci sono limiti fisici insuperabili. Ma per il trasporto su gomma il problema non c'è: dunque, si possono fare accordi a tappeto (non sminuzzati eoccasionali) con le aziende di trasporto privato e turistico, oggi ferme e prossime al collasso. Con opportuni stanziamenti nazionali, e con un coordinamento intelligente stato-regioni-comuni, si può puntare quasi al raddoppio delle corse dei bus nelle città.
Terapie domiciliari
Questo giornale ne scrive da mesi. Se l'obiettivo è evitare una pressione eccessiva sugli ospedali, e in particolare sui reparti di terapia intensiva, la strada maestra è spingere sulle cure a casa. Le esperienze positive ci sono: si tratta di «copiarle» e farne una buona pratica su tutto il territorio nazionale. Auspicabilmente, l'arrivo in ospedale per Covid deve diventare sempre meno una regola, e sempre più un'eccezione.
Fissare una capienza per la riapertura dei locali (ovviamente con controlli severi)
Lo sanno tutti: i divieti assoluti non funzionano. Se chiudi i ristoranti, apri la strada a feste private incontrollabili. Se chiudi i parrucchieri, provochi il fenomeno degli appuntamenti in casa spesso senza precauzioni e senza distanze. E allora? Il governo fissi una capienza (anche limitata) per tutti i locali, ma li riapra. A inizio marzo, era stata ad esempio prospettata (per il 27, poi è saltato tutto) la riapertura di cinema e teatri al 25% di capienza. Un teatro da 800 posti? Non più di 200 poltrone occupate. Si riprenda in mano questa ipotesi, e la si applichi in modo generalizzato anche ai ristoranti la sera, magari consentendo due turni (e arrivando a un ipotetico 50% degli incassi ordinari: meglio di niente…). Ovviamente, a fronte di questo, si dispongano controlli rigorosi: chi sgarra, venga chiuso.
Distanze e mascherine: si passi al «consiglio forte», senza regolamentare ogni dettaglio
Gli italiani non sono scemi: sono intelligenti, e sono stati pure disciplinatissimi. Dunque, non ha senso regolamentare ogni dettaglio. Si passi a quello che i britannici chiamerebbero «strong advice»: consiglio forte, raccomandazione forte. Si ripeta anche in tv che è fondamentale mantenere le distanze, e che, quando questo non è possibile, è indispensabile la mascherina. Ma lasciateci vivere.





