2021-05-21
La causa tra aziende di Stato in Qatar s’intreccia con le nomine del governo
Mauro Moretti e Luigi Ferraris (Ansa)
Psc, Leonardo e Webuild impegnate nello stadio dei mondiali, per il quale balla un arbitrato da 258 milioni. Due manager nella giostra dei nomi per Fs: partirebbe un conflitto d'interessi. Nel week end decide Mario Draghi. Mentre il presidente del Consiglio, Mario Draghi, non ha ancora affrontato il dossier, che riguarda i rinnovi di Cassa depositi e prestiti e Ferrovie dello Stato (insieme con almeno 500 incarichi di peso), nei palazzi romani si sentono i contraccolpi di una vicenda che riguarda l'Al Bayt Stadium di Al Khor, in Qatar. Tra Roma e Doha ci sono quasi 6.000 chilometri. Ma ad accorciare le distanze tra il nostro Paese e la monarchia del Golfo sono 3 aziende italiane che dal 2016 si sono impegnate a costruire questo impianto da almeno 60.000 posti (dal costo di quasi 800 milioni di euro) che ospiterà le partite della ventiduesima edizione dei mondiali di calcio. La vicenda è complessa ma tocca da vicino le nomine nelle nostre partecipate, perché diversi manager di queste aziende sono negli ultimi giorni entrati nel totonomine. In taluni casi per la poltrona su cui siede Gianfranco Battisti, amministratore delegato di Ferrovie. Il progetto di Al Bayt infatti è stato affidato nel 2016 a un generale contractor (Jv Gsic) composto da quella che un tempo era chiamata Salini Impregilo (oggi WeBuild), da Cimolai spa e da Galfar Misnad engineering & contracting. Questi, come prime contractor, nel 2016 hanno affidato l'intero pacchetto relativo alle componenti elettroniche e meccaniche dell'infrastruttura dello stadio, alla joint venture Jv-L&P costituita da Leonardo e Psc, colosso delle costruzioni della famiglia Pesce che però è in minoranza partecipata dallo Stato perchè vede tra gli azionisti anche Fincantieri e Cdp tramite Simest. Dentro Psc group ci sono molti ex manager statali, tra cui Fulvio Conti (ex Enel), Mauro Moretti (ex Fs e Leonardo), Vito Cozzoli (numero uno di Sport e Salute), Luigi Ferraris (ex Poste e Terna) e persino l'ex generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi. Per di più in Webuild è arrivato nel 2019 Donato Iacovone, storico manager di Ernst &Young, molto vicino all'ex premier Massimo D'Alema che a quanto pare lo vedrebbe bene al posto di Battisti in Ferrovie. Il nodo stadio in Qatar è già finito alle carte bollate in Italia. Il regolare avanzamento della commessa, infatti, è stato condizionato da una serie di ritardi che non sarebbero stati imputabili alla joint venture Leonardo e Psc, ma dalla introduzione di numerose integrazioni e modifiche al progetto iniziale. Così costi sono aumentati per la JV L&P ma il contractor non lo ha riconosciuto. Il 25 ottobre 2019 Leonardo e Psc hanno avviato un giudizio arbitrale dove hanno chiesto il pagamento di 258 milioni di euro. Allo stesso tempo il contractor ha chiesto un risarcimento da 176 milioni di euro. L'arbitrato è in corso. Ma allo stesso tempo sono in corso anche le grandi manovre intorno a Fs e Cdp. Nelle ultime settimane il presidente del Consiglio ha incluso nel dossier il suo consigliere economico Francesco Giavazzi. I giornali hanno raccontato di una corsa tra Palermo e Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli Investimenti. Evidentemente cercando di influenzare le decisioni che saranno prese questo sabato e domenica. Diverso è il discorso di Fs o altre partecipate. Dove al momento si è ragionato di possibili cambi soltanto dentro il consiglio di amministrazione ma non nel management. Anche qui si capirà solo nel fine settimana. È interessante vedere però come 5 stelle da un lato e i dalemiani dall'altro spingano rispettivamente per Ferraris e Iacovone, le cui aziende si fronteggiano proprio a 6.000 chilometri da Roma. In entrambi i casi si porrebbe il rischio del conflitto di interessi. Psc è fornitore di Ferrovie. Ben più di 100 milioni di euro nell'ultimo bilancio. Stesso discorso per Webuild, con importi dieci volte superiori. Indicare il presidente Iacovone quale ad di Ferrovie metterebbe a rischio i contratti in essere. In periodo di Pnrr il governo Draghi su queste cose è molto attento. Lo stesso Umberto Pesce in un'intervista a marzo aveva annunciato di puntare al miliardo di fatturato entro il 2021 e dopo alla quotazione in Borsa. Veder transitare un suo consigliere dalla parte del committente potrebbe mettere a rischio il progetto di crescita. C'è infine una particolarità da segnalare. Moretti era in Leonardo quando firmò il contratto in Qatar, assistito dal capo del legale che lui stesso aveva portato in Montegrappa. Il capo del legale è sempre il medesimo, mentre Moretti è passato a Psc. Tra l'altro da soli tre mesi. Insomma, le centinaia di nomine del governo non sono certo facili da incastrare e non solo perché partecipate pubbliche si fronteggiano legalmente in Qatar. Da un lato c'è il solito pressing dei partiti e delle correnti trasversali. Dall'altro quest'anno c'è il Pnrr. Un nome sbagliato e il lavoro degli ultimi due mesi può restare sospeso. L'Italia si ritroverebbe con il debito senza i progetti da mettere a terra.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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