La Corte accoglie solo in parte i ricorsi delle Regioni di sinistra: chiede che la devoluzione serva a migliorare l’efficienza anziché a spartire il potere e difende le prerogative del Parlamento, chiamato a correggere la riforma. Dubbio il destino dei referendum.
La Corte accoglie solo in parte i ricorsi delle Regioni di sinistra: chiede che la devoluzione serva a migliorare l’efficienza anziché a spartire il potere e difende le prerogative del Parlamento, chiamato a correggere la riforma. Dubbio il destino dei referendum.Poteva andare peggio. Invece la Consulta ha accolto solo in parte il ricorso contro l’autonomia differenziata, la riforma che conferisce «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario. È vero: esaminando le obiezioni delle amministrazioni di centrosinistra (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania), nonché le difese della presidenza del Consiglio e gli atti di intervento ad opponendum di Lombardia, Piemonte e Veneto, il collegio ha ravvisato nella norma diversi profili d’illegittimità. E ha sollecitato il Parlamento a colmare i vuoti creati dalla sentenza, che sarà depositata nei prossimi giorni. Comunque, la notizia è che la questione di costituzionalità dell’intera legge è stata considerata «non fondata». L’autonomia si può fare. A patto di correggerne alcuni aspetti.Innanzitutto, in virtù del principio di sussidiarietà, enunciato dal comma 3 dell’articolo 116 della Carta fondamentale. Questo va interpretato, recita il comunicato della Corte, «nel contesto della forma di Stato italiana», la quale riconosce le autonomie regionali ma pure «i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio». Perciò, la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative non deve rispondere a una mera logica di «riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico» e deve, anzi, avvenire «in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti». L’autonomia differenziata deve «assicurare una maggiore responsabilità politica» e contribuire all’obiettivo di «meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini». Ineccepibile. La Corte ha scelto un approccio costruttivo. Ed è intervenuta su sette profili della legge.1 La devoluzione deve riguardare «specifiche funzioni legislative e amministrative», anziché consistere nel trasferimento di «materie o ambiti di materie». Essa va giustificata «alla luce del richiamato principio di sussidiarietà»: si attribuiscono solo compiti particolari e solo se ciò migliora l’efficienza, la reattività e l’accountability del sistema.2 La delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep), ossia gli standard normativi riguardanti istruzione, formazione, salute, assistenza e mobilità, non può essere priva di «idonei criteri direttivi», perché altrimenti «la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento».3 Per analoghe ragioni, l’aggiornamento dei Lep non può passare dai dpcm, i decreti del presidente del Consiglio. Una vecchia conoscenza degli italiani in era Covid.4 La determinazione dei Lep con dpcm non può nemmeno fondarsi sulla procedura prevista dalla legge di bilancio 2023, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definirli.5 Non si possono modificare con decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, necessaria a finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento del gettito stesso. Il rischio, secondo la Corte, è che siano «premiate proprio le Regioni inefficienti», le quali, pur avendo ricevuto i fondi statali, sono incapaci di svolgere le funzioni a esse devolute. 6 Il concorso agli obiettivi di finanza pubblica per le Regioni destinatarie della devoluzione non può essere solo facoltativo, pena l’«indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica».7 La riforma non va estesa alle Regioni a statuto speciale, le quali già dispongono di procedure specifiche per richiedere maggiori forme di autonomia.Bisogna ammetterlo: le obiezioni non sono secondarie. Toccano le attribuzioni di Stato e Regioni e la definizione dei Lep. Nondimeno, restano impregiudicate altre cinque disposizioni essenziali dell’autonomia differenziata.1 L’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non è da intendersi come riservata solo al governo.2 La legge di differenziazione implica il potere di emendamento delle Camere.3 Se il legislatore esclude una materia dai Lep, i trasferimenti di funzioni non potranno riguardare quelle che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.4 L’individuazione delle risorse per finanziare i trasferimenti di funzioni dovrà avvenire non in base alla spesa storica, bensì in riferimento a «costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza».5 Al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle risorse da conferire, bisognerà tenere conto «del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari».A questo punto, si profilerebbe lo scoglio dei referendum, qualora la Cassazione li ammettesse. Certo, sarebbe bizzarro tenerne uno su una norma che va in parte riscritta, considerato anche che i quesiti per lo più riguardano i profili sui quali si è appena pronunciata la Corte costituzionale. Per una consultazione sulla riforma che verrà fuori una volta che il Parlamento avrà esercitato la propria «discrezionalità», eventualmente, andrà ripetuta daccapo la trafila della raccolta firme.La sinistra esulta: il M5s parla di «legge svuotata», il presidente della Puglia, Michele Emiliano, di «riforma destrutturata», Avs di «sonora bocciatura», Carlo Calenda di «legge demolita». Persino un governatore di centrodestra, il calabrese Roberto Occhiuto, evoca una «moratoria», benché il collega Luca Zaia giubili per la «conferma» incassata dalla Corte. La verità è che Giorgia Meloni può tirare il fiato. L’autonomia non era in cima alle priorità di Fdi. E il suo rinvio può tornare utile: meglio blindarla, che sottoporla subito alle forche caudine del referendum. Quelle della Consulta sono state oltrepassate. Con qualche ferita, ma senza un massacro.
Ansa
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