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2024-06-21
La maggioranza archivia le tensioni sul ddl autonomia: «Non c’è nessuna fronda»
Attilio Fontana e Luca Zaia (Ansa)
Nel day after dell’approvazione dell’Autonomia, è la soddisfazione a prevalere nel centrodestra. Anche i settori che avevano manifestato disagio, e cioè una parte degli eletti meridionali (segnatamente quelli calabresi) di Forza Italia, sembrano essere tornati a più miti consigli e dichiarano di sentirsi rassicurati dalle garanzie fornite dal segretario Antonio Tajani. Grande la gioia in casa Lega, accompagnata però dalla consapevolezza che si tratta di una legge complessa, con una fase attuativa molto lunga. L’attribuzione di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario sulla maggior parte delle 23 materie individuate dal ddl è sottoposta all’individuazione dei Lep, i livelli che stabiliscono la soglia minima delle prestazioni. Finché il governo non avrà adottato i decreti legislativi che fissano i Lep (entro 24 mesi), non sarà possibile procedere al negoziato tra le singole Regioni e lo Stato, che a sua volta costituisce un processo complesso. Ragion per cui a Via Bellerio sono tutti convinti che nella nottata tra martedì e mercoledì sia stato fatto solo il primo step del percorso.
Tra i più impazienti di «inaugurare» il ddl Calderoli, il governatore del Veneto Luca Zaia, che assieme al suo allora omologo lombardo e compagno di partito dell’epoca, il compianto Roberto Maroni, indisse la consultazione referendaria per interpellare i cittadini delle due Regioni circa la volontà di ottenere maggiori attribuzioni, ottenendo un risultato netto a favore del sì. Zaia, infatti, ha già annunciato di voler avviare il negoziato con il governo per ottenere subito più autonomia su nove materie che non sono sottoposte a Lep, quindi trattabili sin da ora. Inoltre, il governatore ha citato alcuni dati del rapporto Crea sanità 2024, presentato ieri, che a suo avviso «fornisce alcuni esiti che, di fatto, smentiscono i presagi di sventura paventati con l’approvazione dell’autonomia differenziata». «Ci dice ad esempio», ha sottolineato, «che le Regioni del Sud, fatto questo molto positivo, negli ultimi cinque anni sono migliorate del 75,9% in media, contro il 44,9% del Nordest, il 40,9% del Nordovest e il 37,4% del Centro». Secondo Zaia «ne esce una bella sorpresa, e cioè che le Regioni in piano di rientro, quelle più in difficoltà, hanno un Isp di 0,40, mentre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia si fermano allo 0,36 rispetto allo 0,40 delle altre. Se il Crea ha ragione, e non ho motivo di dubitarne, significa che l’autonomia in sanità, quando con i dovuti tempi verrà definita, porterà benefici per tutti».
Sulla stessa lunghezza il governatore lombardo Attilio Fontana, per il quale «fare polemica sulla legge Calderoli è veramente la dimostrazione della malafede». «Chi non la vuole», ha spiegato, «ed è contento di andare avanti in questo modo vada avanti in così. Sono tutte polemiche strumentali e pretestuose. Far discendere delle conseguenze dall’approvazione della legge Calderoli è veramente la dimostrazione che in Italia si deve parlare per fare polemica, non per fare una costruttiva proposta migliorativa ma solo per cercare di strappare qualche squallido consenso».
Dal siciliano Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, è arrivato un appello: «Il Sud deve smettere di continuare a piangere», ha detto, «Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle Regioni settentrionali. Ma per fare questo dobbiamo liberarci dalla teoria della questione meridionale».
In Fratelli d’Italia nessuna voce fuori dal coro: il partito del premier è infatti compattamente a favore della legge, e anche dentro Forza Italia la «fronda» calabrese sembra rientrare. Per quanto riguarda Fdi, il vicecapogruppo alla Camera Augusta Montaruli ha puntato i riflettori su chi, nello schieramento opposto, si era pronunciato a favore di maggiori prerogative per le Regioni e poi ha preferito fare dietrofront per ragioni di opportunità politica: «Viene da domandarsi se lo Stefano Bonaccini che oggi ipotizza crepe della maggioranza sull’autonomia e disdegna la misura sia la stessa persona che voleva l’autonomia differenziata senza che fossero individuati i Lep o, ancora, quello che ha sottoscritto la pre intesa per il trasferimento di alcune competenze statali all’Emilia-Romagna con il governo Gentiloni».
Come detto, dopo la sfuriata di mercoledì, il governatore azzurro della Calabria, Roberto Occhiuto, e i parlamentari più vicini a lui (che non hanno votato il provvedimento) sembrano aver corretto in parte il tiro: il coordinatore calabrese del partito Francesco Cannizzaro ha specificato che «non c’è nessuna fronda», mentre è tornato sull’argomento Tajani: «Si tratta di una riforma» ha detto, «che va nella giusta direzione, ci sono legittime preoccupazioni nel Sud del Paese che però saranno fugate dall’applicazione dei nostri ordini del giorno proprio a garanzia del Meridione».
Sul fronte dell’opposizione, continuano gli attacchi alla maggioranza. Michele Emiliano parla di «secessione mite», mentre il M5s ha scritto a Sergio Mattarella per chiedergli di non firmare la «riforma Spacca Italia».
Sul tavolo ci sono 94 miliardi l’anno
Dove trovare i soldi per finanziare l’autonomia regionale approvata dal Parlamento. Attorno a questo snodo si gioca lo scontro sulla alla nuova legge. Si tratta infatti di garantire i Lep, livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta cioè di tutti quei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
In parole semplici: dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i Lep comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono. Dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. Ma come si determinano i Lep e, soprattutto, quanto costano? Lo spiega il ministro Roberto Calderoli, padre della legge, al Corriere delle Alpi. «Su 20 Regioni in Italia», dice, «ce ne sono sette, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che presentano un residuo fiscale. Si tratta della differenza tra quello che il sistema - Stato, Comuni, Province e Regioni - spende in quella Regione rispetto a qualunque tipo di entrate in quella stessa Regione. Se hai il segno meno, vuol dire che spendi meno rispetto a quello che ti entra. L’ultra gettito è 94 miliardi di euro. Queste sette Regioni danno alle altre Regioni che hanno una capacità contributiva inferiore, 62 miliardi l’anno, perché 32 se li tiene lo Stato».
Il problema è come dividere questo tesoro. «Bisogna metterlo in un bel vaso trasparente dove vedo però chi li versa, chi li prende tra Stato e Regioni e soprattutto che fine fanno, chi li spende» dice Calderoli. Oggi questa perequazione viene fatta dal Mef e dalla Ragioneria attraverso dei flussi finanziari. Vengono buttati in una centrifuga e nessuno sa più nulla. Quindi vorrei far diventare fondo perequativo questi residui fiscali con un principio solidaristico di chi ha maggiore capacità fiscale verso le altre regioni». Progetto buono sulla carta ma difficile da attuare in pratica. secondo Stefano Bonaccini , presidente della Regione Emilia-Romagna, questa procedura finirà per esaltare l’egoismo delle Regioni più ricche. A suo parere «applicare i fiscali è l’anticamera di nuove fratture territoriali». Le aree più ricche infatti saranno spinte a stringere i cordoni della borsa ampliando le spese pur di non restituire i risparmi allo Stato che poi li metterà nel «vaso trasparente» pensato da Calderoli.
Per non parlare del rischio di una giungla di normative con cui le imprese dovranno fare i conti aumentando i costi. Dice il ministro: «Confindustria nazionale mi ha presentato un quesito rispetto all’energia, che parzialmente condivido. Deciderò quando andrò ad attribuire quella singola materia alle Regioni. La Regione Toscana ad esempio mi chiede la competenza sul geotermico. Perché a loro che hanno la produzione del 40 per cento di cui beneficia solo lo Stato non deve andare nulla? Il mio progetto è attribuire una royalty alla Toscana come abbiamo fatto con gli impianti di estrazione in Basilicata, in cui il cittadino non paga luce e gas. Si attribuisce quella entrata alla Regione che produce quella risorsa e che si accolla anche l’impatto ambientale per l’estrazione. E quella regione gestisce». Ma il problema non finisce qui. Come si definiscono i Lep? Questa è una questione annosa, di cui si parla da parecchio tempo. L’articolo 3 del disegno di legge sull’autonomia differenziata indica la procedura per risolvere questo problema e determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Assicura Calderoli: «Il quadro normativo sarà pronto entro l’estate, il successivo passaggio sarà definire il costo e il fabbisogno standard Per fine anno una buona parte di quelle materie Lep le avremo normate. Le Regioni possono però subito cominciare a trattare sulle nove materie non Lep, che non sono secondarie: Protezione civile, professioni, ordinamento sportivo. Poi procederanno con le altre».
Nel determinare i Lep il governo dovrà seguire i principi e i criteri fissati dalla prima legge di bilancio del governo Meloni, quella per il 2023, approvata alla fine del 2022. Questa legge di bilancio ha istituito la «cabina di regia », presieduta dal presidente del Consiglio e composta da alcuni ministri. Questo organismo ha vari compiti, tra cui l’individuazione delle materie riferibili ai Lep. Per supportare il lavoro della cabina di regia, a marzo 2023 il ministro Calderoli ha nominato il «comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (Clep), con 61 esperti presieduti dall’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese.
Entro due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, l’esecutivo dovrà stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, ossia quei provvedimenti con cui il governo può legiferare dopo aver ricevuto la delega dal Parlamento. In questo caso, la delega è stata data dal Parlamento proprio con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’autonomia differenziata.
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Fi smorza la polemica innescata dal governatore calabrese. Zaia e Fontana brindano. Musumeci: «Il Sud smetta di piangere». E il M5s chiede a Mattarella di non firmare.Si tratta dei «residui passivi» che le Regioni più ricche ora restituiscono allo Stato. In futuro potrebbero finire in un «vaso trasparente» prima di essere distribuiti.Lo speciale contiene due articoli.Nel day after dell’approvazione dell’Autonomia, è la soddisfazione a prevalere nel centrodestra. Anche i settori che avevano manifestato disagio, e cioè una parte degli eletti meridionali (segnatamente quelli calabresi) di Forza Italia, sembrano essere tornati a più miti consigli e dichiarano di sentirsi rassicurati dalle garanzie fornite dal segretario Antonio Tajani. Grande la gioia in casa Lega, accompagnata però dalla consapevolezza che si tratta di una legge complessa, con una fase attuativa molto lunga. L’attribuzione di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario sulla maggior parte delle 23 materie individuate dal ddl è sottoposta all’individuazione dei Lep, i livelli che stabiliscono la soglia minima delle prestazioni. Finché il governo non avrà adottato i decreti legislativi che fissano i Lep (entro 24 mesi), non sarà possibile procedere al negoziato tra le singole Regioni e lo Stato, che a sua volta costituisce un processo complesso. Ragion per cui a Via Bellerio sono tutti convinti che nella nottata tra martedì e mercoledì sia stato fatto solo il primo step del percorso.Tra i più impazienti di «inaugurare» il ddl Calderoli, il governatore del Veneto Luca Zaia, che assieme al suo allora omologo lombardo e compagno di partito dell’epoca, il compianto Roberto Maroni, indisse la consultazione referendaria per interpellare i cittadini delle due Regioni circa la volontà di ottenere maggiori attribuzioni, ottenendo un risultato netto a favore del sì. Zaia, infatti, ha già annunciato di voler avviare il negoziato con il governo per ottenere subito più autonomia su nove materie che non sono sottoposte a Lep, quindi trattabili sin da ora. Inoltre, il governatore ha citato alcuni dati del rapporto Crea sanità 2024, presentato ieri, che a suo avviso «fornisce alcuni esiti che, di fatto, smentiscono i presagi di sventura paventati con l’approvazione dell’autonomia differenziata». «Ci dice ad esempio», ha sottolineato, «che le Regioni del Sud, fatto questo molto positivo, negli ultimi cinque anni sono migliorate del 75,9% in media, contro il 44,9% del Nordest, il 40,9% del Nordovest e il 37,4% del Centro». Secondo Zaia «ne esce una bella sorpresa, e cioè che le Regioni in piano di rientro, quelle più in difficoltà, hanno un Isp di 0,40, mentre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia si fermano allo 0,36 rispetto allo 0,40 delle altre. Se il Crea ha ragione, e non ho motivo di dubitarne, significa che l’autonomia in sanità, quando con i dovuti tempi verrà definita, porterà benefici per tutti».Sulla stessa lunghezza il governatore lombardo Attilio Fontana, per il quale «fare polemica sulla legge Calderoli è veramente la dimostrazione della malafede». «Chi non la vuole», ha spiegato, «ed è contento di andare avanti in questo modo vada avanti in così. Sono tutte polemiche strumentali e pretestuose. Far discendere delle conseguenze dall’approvazione della legge Calderoli è veramente la dimostrazione che in Italia si deve parlare per fare polemica, non per fare una costruttiva proposta migliorativa ma solo per cercare di strappare qualche squallido consenso». Dal siciliano Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, è arrivato un appello: «Il Sud deve smettere di continuare a piangere», ha detto, «Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle Regioni settentrionali. Ma per fare questo dobbiamo liberarci dalla teoria della questione meridionale».In Fratelli d’Italia nessuna voce fuori dal coro: il partito del premier è infatti compattamente a favore della legge, e anche dentro Forza Italia la «fronda» calabrese sembra rientrare. Per quanto riguarda Fdi, il vicecapogruppo alla Camera Augusta Montaruli ha puntato i riflettori su chi, nello schieramento opposto, si era pronunciato a favore di maggiori prerogative per le Regioni e poi ha preferito fare dietrofront per ragioni di opportunità politica: «Viene da domandarsi se lo Stefano Bonaccini che oggi ipotizza crepe della maggioranza sull’autonomia e disdegna la misura sia la stessa persona che voleva l’autonomia differenziata senza che fossero individuati i Lep o, ancora, quello che ha sottoscritto la pre intesa per il trasferimento di alcune competenze statali all’Emilia-Romagna con il governo Gentiloni». Come detto, dopo la sfuriata di mercoledì, il governatore azzurro della Calabria, Roberto Occhiuto, e i parlamentari più vicini a lui (che non hanno votato il provvedimento) sembrano aver corretto in parte il tiro: il coordinatore calabrese del partito Francesco Cannizzaro ha specificato che «non c’è nessuna fronda», mentre è tornato sull’argomento Tajani: «Si tratta di una riforma» ha detto, «che va nella giusta direzione, ci sono legittime preoccupazioni nel Sud del Paese che però saranno fugate dall’applicazione dei nostri ordini del giorno proprio a garanzia del Meridione». Sul fronte dell’opposizione, continuano gli attacchi alla maggioranza. Michele Emiliano parla di «secessione mite», mentre il M5s ha scritto a Sergio Mattarella per chiedergli di non firmare la «riforma Spacca Italia».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/autonomia-legge-regioni-2668555803.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sul-tavolo-ci-sono-94-miliardi-lanno" data-post-id="2668555803" data-published-at="1718916357" data-use-pagination="False"> Sul tavolo ci sono 94 miliardi l’anno Dove trovare i soldi per finanziare l’autonomia regionale approvata dal Parlamento. Attorno a questo snodo si gioca lo scontro sulla alla nuova legge. Si tratta infatti di garantire i Lep, livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta cioè di tutti quei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». In parole semplici: dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i Lep comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono. Dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. Ma come si determinano i Lep e, soprattutto, quanto costano? Lo spiega il ministro Roberto Calderoli, padre della legge, al Corriere delle Alpi. «Su 20 Regioni in Italia», dice, «ce ne sono sette, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che presentano un residuo fiscale. Si tratta della differenza tra quello che il sistema - Stato, Comuni, Province e Regioni - spende in quella Regione rispetto a qualunque tipo di entrate in quella stessa Regione. Se hai il segno meno, vuol dire che spendi meno rispetto a quello che ti entra. L’ultra gettito è 94 miliardi di euro. Queste sette Regioni danno alle altre Regioni che hanno una capacità contributiva inferiore, 62 miliardi l’anno, perché 32 se li tiene lo Stato». Il problema è come dividere questo tesoro. «Bisogna metterlo in un bel vaso trasparente dove vedo però chi li versa, chi li prende tra Stato e Regioni e soprattutto che fine fanno, chi li spende» dice Calderoli. Oggi questa perequazione viene fatta dal Mef e dalla Ragioneria attraverso dei flussi finanziari. Vengono buttati in una centrifuga e nessuno sa più nulla. Quindi vorrei far diventare fondo perequativo questi residui fiscali con un principio solidaristico di chi ha maggiore capacità fiscale verso le altre regioni». Progetto buono sulla carta ma difficile da attuare in pratica. secondo Stefano Bonaccini , presidente della Regione Emilia-Romagna, questa procedura finirà per esaltare l’egoismo delle Regioni più ricche. A suo parere «applicare i fiscali è l’anticamera di nuove fratture territoriali». Le aree più ricche infatti saranno spinte a stringere i cordoni della borsa ampliando le spese pur di non restituire i risparmi allo Stato che poi li metterà nel «vaso trasparente» pensato da Calderoli. Per non parlare del rischio di una giungla di normative con cui le imprese dovranno fare i conti aumentando i costi. Dice il ministro: «Confindustria nazionale mi ha presentato un quesito rispetto all’energia, che parzialmente condivido. Deciderò quando andrò ad attribuire quella singola materia alle Regioni. La Regione Toscana ad esempio mi chiede la competenza sul geotermico. Perché a loro che hanno la produzione del 40 per cento di cui beneficia solo lo Stato non deve andare nulla? Il mio progetto è attribuire una royalty alla Toscana come abbiamo fatto con gli impianti di estrazione in Basilicata, in cui il cittadino non paga luce e gas. Si attribuisce quella entrata alla Regione che produce quella risorsa e che si accolla anche l’impatto ambientale per l’estrazione. E quella regione gestisce». Ma il problema non finisce qui. Come si definiscono i Lep? Questa è una questione annosa, di cui si parla da parecchio tempo. L’articolo 3 del disegno di legge sull’autonomia differenziata indica la procedura per risolvere questo problema e determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Assicura Calderoli: «Il quadro normativo sarà pronto entro l’estate, il successivo passaggio sarà definire il costo e il fabbisogno standard Per fine anno una buona parte di quelle materie Lep le avremo normate. Le Regioni possono però subito cominciare a trattare sulle nove materie non Lep, che non sono secondarie: Protezione civile, professioni, ordinamento sportivo. Poi procederanno con le altre». Nel determinare i Lep il governo dovrà seguire i principi e i criteri fissati dalla prima legge di bilancio del governo Meloni, quella per il 2023, approvata alla fine del 2022. Questa legge di bilancio ha istituito la «cabina di regia », presieduta dal presidente del Consiglio e composta da alcuni ministri. Questo organismo ha vari compiti, tra cui l’individuazione delle materie riferibili ai Lep. Per supportare il lavoro della cabina di regia, a marzo 2023 il ministro Calderoli ha nominato il «comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (Clep), con 61 esperti presieduti dall’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese. Entro due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, l’esecutivo dovrà stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, ossia quei provvedimenti con cui il governo può legiferare dopo aver ricevuto la delega dal Parlamento. In questo caso, la delega è stata data dal Parlamento proprio con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’autonomia differenziata.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.