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2024-06-21
La maggioranza archivia le tensioni sul ddl autonomia: «Non c’è nessuna fronda»
Attilio Fontana e Luca Zaia (Ansa)
Nel day after dell’approvazione dell’Autonomia, è la soddisfazione a prevalere nel centrodestra. Anche i settori che avevano manifestato disagio, e cioè una parte degli eletti meridionali (segnatamente quelli calabresi) di Forza Italia, sembrano essere tornati a più miti consigli e dichiarano di sentirsi rassicurati dalle garanzie fornite dal segretario Antonio Tajani. Grande la gioia in casa Lega, accompagnata però dalla consapevolezza che si tratta di una legge complessa, con una fase attuativa molto lunga. L’attribuzione di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario sulla maggior parte delle 23 materie individuate dal ddl è sottoposta all’individuazione dei Lep, i livelli che stabiliscono la soglia minima delle prestazioni. Finché il governo non avrà adottato i decreti legislativi che fissano i Lep (entro 24 mesi), non sarà possibile procedere al negoziato tra le singole Regioni e lo Stato, che a sua volta costituisce un processo complesso. Ragion per cui a Via Bellerio sono tutti convinti che nella nottata tra martedì e mercoledì sia stato fatto solo il primo step del percorso.
Tra i più impazienti di «inaugurare» il ddl Calderoli, il governatore del Veneto Luca Zaia, che assieme al suo allora omologo lombardo e compagno di partito dell’epoca, il compianto Roberto Maroni, indisse la consultazione referendaria per interpellare i cittadini delle due Regioni circa la volontà di ottenere maggiori attribuzioni, ottenendo un risultato netto a favore del sì. Zaia, infatti, ha già annunciato di voler avviare il negoziato con il governo per ottenere subito più autonomia su nove materie che non sono sottoposte a Lep, quindi trattabili sin da ora. Inoltre, il governatore ha citato alcuni dati del rapporto Crea sanità 2024, presentato ieri, che a suo avviso «fornisce alcuni esiti che, di fatto, smentiscono i presagi di sventura paventati con l’approvazione dell’autonomia differenziata». «Ci dice ad esempio», ha sottolineato, «che le Regioni del Sud, fatto questo molto positivo, negli ultimi cinque anni sono migliorate del 75,9% in media, contro il 44,9% del Nordest, il 40,9% del Nordovest e il 37,4% del Centro». Secondo Zaia «ne esce una bella sorpresa, e cioè che le Regioni in piano di rientro, quelle più in difficoltà, hanno un Isp di 0,40, mentre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia si fermano allo 0,36 rispetto allo 0,40 delle altre. Se il Crea ha ragione, e non ho motivo di dubitarne, significa che l’autonomia in sanità, quando con i dovuti tempi verrà definita, porterà benefici per tutti».
Sulla stessa lunghezza il governatore lombardo Attilio Fontana, per il quale «fare polemica sulla legge Calderoli è veramente la dimostrazione della malafede». «Chi non la vuole», ha spiegato, «ed è contento di andare avanti in questo modo vada avanti in così. Sono tutte polemiche strumentali e pretestuose. Far discendere delle conseguenze dall’approvazione della legge Calderoli è veramente la dimostrazione che in Italia si deve parlare per fare polemica, non per fare una costruttiva proposta migliorativa ma solo per cercare di strappare qualche squallido consenso».
Dal siciliano Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, è arrivato un appello: «Il Sud deve smettere di continuare a piangere», ha detto, «Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle Regioni settentrionali. Ma per fare questo dobbiamo liberarci dalla teoria della questione meridionale».
In Fratelli d’Italia nessuna voce fuori dal coro: il partito del premier è infatti compattamente a favore della legge, e anche dentro Forza Italia la «fronda» calabrese sembra rientrare. Per quanto riguarda Fdi, il vicecapogruppo alla Camera Augusta Montaruli ha puntato i riflettori su chi, nello schieramento opposto, si era pronunciato a favore di maggiori prerogative per le Regioni e poi ha preferito fare dietrofront per ragioni di opportunità politica: «Viene da domandarsi se lo Stefano Bonaccini che oggi ipotizza crepe della maggioranza sull’autonomia e disdegna la misura sia la stessa persona che voleva l’autonomia differenziata senza che fossero individuati i Lep o, ancora, quello che ha sottoscritto la pre intesa per il trasferimento di alcune competenze statali all’Emilia-Romagna con il governo Gentiloni».
Come detto, dopo la sfuriata di mercoledì, il governatore azzurro della Calabria, Roberto Occhiuto, e i parlamentari più vicini a lui (che non hanno votato il provvedimento) sembrano aver corretto in parte il tiro: il coordinatore calabrese del partito Francesco Cannizzaro ha specificato che «non c’è nessuna fronda», mentre è tornato sull’argomento Tajani: «Si tratta di una riforma» ha detto, «che va nella giusta direzione, ci sono legittime preoccupazioni nel Sud del Paese che però saranno fugate dall’applicazione dei nostri ordini del giorno proprio a garanzia del Meridione».
Sul fronte dell’opposizione, continuano gli attacchi alla maggioranza. Michele Emiliano parla di «secessione mite», mentre il M5s ha scritto a Sergio Mattarella per chiedergli di non firmare la «riforma Spacca Italia».
Sul tavolo ci sono 94 miliardi l’anno
Dove trovare i soldi per finanziare l’autonomia regionale approvata dal Parlamento. Attorno a questo snodo si gioca lo scontro sulla alla nuova legge. Si tratta infatti di garantire i Lep, livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta cioè di tutti quei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
In parole semplici: dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i Lep comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono. Dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. Ma come si determinano i Lep e, soprattutto, quanto costano? Lo spiega il ministro Roberto Calderoli, padre della legge, al Corriere delle Alpi. «Su 20 Regioni in Italia», dice, «ce ne sono sette, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che presentano un residuo fiscale. Si tratta della differenza tra quello che il sistema - Stato, Comuni, Province e Regioni - spende in quella Regione rispetto a qualunque tipo di entrate in quella stessa Regione. Se hai il segno meno, vuol dire che spendi meno rispetto a quello che ti entra. L’ultra gettito è 94 miliardi di euro. Queste sette Regioni danno alle altre Regioni che hanno una capacità contributiva inferiore, 62 miliardi l’anno, perché 32 se li tiene lo Stato».
Il problema è come dividere questo tesoro. «Bisogna metterlo in un bel vaso trasparente dove vedo però chi li versa, chi li prende tra Stato e Regioni e soprattutto che fine fanno, chi li spende» dice Calderoli. Oggi questa perequazione viene fatta dal Mef e dalla Ragioneria attraverso dei flussi finanziari. Vengono buttati in una centrifuga e nessuno sa più nulla. Quindi vorrei far diventare fondo perequativo questi residui fiscali con un principio solidaristico di chi ha maggiore capacità fiscale verso le altre regioni». Progetto buono sulla carta ma difficile da attuare in pratica. secondo Stefano Bonaccini , presidente della Regione Emilia-Romagna, questa procedura finirà per esaltare l’egoismo delle Regioni più ricche. A suo parere «applicare i fiscali è l’anticamera di nuove fratture territoriali». Le aree più ricche infatti saranno spinte a stringere i cordoni della borsa ampliando le spese pur di non restituire i risparmi allo Stato che poi li metterà nel «vaso trasparente» pensato da Calderoli.
Per non parlare del rischio di una giungla di normative con cui le imprese dovranno fare i conti aumentando i costi. Dice il ministro: «Confindustria nazionale mi ha presentato un quesito rispetto all’energia, che parzialmente condivido. Deciderò quando andrò ad attribuire quella singola materia alle Regioni. La Regione Toscana ad esempio mi chiede la competenza sul geotermico. Perché a loro che hanno la produzione del 40 per cento di cui beneficia solo lo Stato non deve andare nulla? Il mio progetto è attribuire una royalty alla Toscana come abbiamo fatto con gli impianti di estrazione in Basilicata, in cui il cittadino non paga luce e gas. Si attribuisce quella entrata alla Regione che produce quella risorsa e che si accolla anche l’impatto ambientale per l’estrazione. E quella regione gestisce». Ma il problema non finisce qui. Come si definiscono i Lep? Questa è una questione annosa, di cui si parla da parecchio tempo. L’articolo 3 del disegno di legge sull’autonomia differenziata indica la procedura per risolvere questo problema e determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Assicura Calderoli: «Il quadro normativo sarà pronto entro l’estate, il successivo passaggio sarà definire il costo e il fabbisogno standard Per fine anno una buona parte di quelle materie Lep le avremo normate. Le Regioni possono però subito cominciare a trattare sulle nove materie non Lep, che non sono secondarie: Protezione civile, professioni, ordinamento sportivo. Poi procederanno con le altre».
Nel determinare i Lep il governo dovrà seguire i principi e i criteri fissati dalla prima legge di bilancio del governo Meloni, quella per il 2023, approvata alla fine del 2022. Questa legge di bilancio ha istituito la «cabina di regia », presieduta dal presidente del Consiglio e composta da alcuni ministri. Questo organismo ha vari compiti, tra cui l’individuazione delle materie riferibili ai Lep. Per supportare il lavoro della cabina di regia, a marzo 2023 il ministro Calderoli ha nominato il «comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (Clep), con 61 esperti presieduti dall’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese.
Entro due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, l’esecutivo dovrà stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, ossia quei provvedimenti con cui il governo può legiferare dopo aver ricevuto la delega dal Parlamento. In questo caso, la delega è stata data dal Parlamento proprio con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’autonomia differenziata.
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Fi smorza la polemica innescata dal governatore calabrese. Zaia e Fontana brindano. Musumeci: «Il Sud smetta di piangere». E il M5s chiede a Mattarella di non firmare.Si tratta dei «residui passivi» che le Regioni più ricche ora restituiscono allo Stato. In futuro potrebbero finire in un «vaso trasparente» prima di essere distribuiti.Lo speciale contiene due articoli.Nel day after dell’approvazione dell’Autonomia, è la soddisfazione a prevalere nel centrodestra. Anche i settori che avevano manifestato disagio, e cioè una parte degli eletti meridionali (segnatamente quelli calabresi) di Forza Italia, sembrano essere tornati a più miti consigli e dichiarano di sentirsi rassicurati dalle garanzie fornite dal segretario Antonio Tajani. Grande la gioia in casa Lega, accompagnata però dalla consapevolezza che si tratta di una legge complessa, con una fase attuativa molto lunga. L’attribuzione di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario sulla maggior parte delle 23 materie individuate dal ddl è sottoposta all’individuazione dei Lep, i livelli che stabiliscono la soglia minima delle prestazioni. Finché il governo non avrà adottato i decreti legislativi che fissano i Lep (entro 24 mesi), non sarà possibile procedere al negoziato tra le singole Regioni e lo Stato, che a sua volta costituisce un processo complesso. Ragion per cui a Via Bellerio sono tutti convinti che nella nottata tra martedì e mercoledì sia stato fatto solo il primo step del percorso.Tra i più impazienti di «inaugurare» il ddl Calderoli, il governatore del Veneto Luca Zaia, che assieme al suo allora omologo lombardo e compagno di partito dell’epoca, il compianto Roberto Maroni, indisse la consultazione referendaria per interpellare i cittadini delle due Regioni circa la volontà di ottenere maggiori attribuzioni, ottenendo un risultato netto a favore del sì. Zaia, infatti, ha già annunciato di voler avviare il negoziato con il governo per ottenere subito più autonomia su nove materie che non sono sottoposte a Lep, quindi trattabili sin da ora. Inoltre, il governatore ha citato alcuni dati del rapporto Crea sanità 2024, presentato ieri, che a suo avviso «fornisce alcuni esiti che, di fatto, smentiscono i presagi di sventura paventati con l’approvazione dell’autonomia differenziata». «Ci dice ad esempio», ha sottolineato, «che le Regioni del Sud, fatto questo molto positivo, negli ultimi cinque anni sono migliorate del 75,9% in media, contro il 44,9% del Nordest, il 40,9% del Nordovest e il 37,4% del Centro». Secondo Zaia «ne esce una bella sorpresa, e cioè che le Regioni in piano di rientro, quelle più in difficoltà, hanno un Isp di 0,40, mentre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia si fermano allo 0,36 rispetto allo 0,40 delle altre. Se il Crea ha ragione, e non ho motivo di dubitarne, significa che l’autonomia in sanità, quando con i dovuti tempi verrà definita, porterà benefici per tutti».Sulla stessa lunghezza il governatore lombardo Attilio Fontana, per il quale «fare polemica sulla legge Calderoli è veramente la dimostrazione della malafede». «Chi non la vuole», ha spiegato, «ed è contento di andare avanti in questo modo vada avanti in così. Sono tutte polemiche strumentali e pretestuose. Far discendere delle conseguenze dall’approvazione della legge Calderoli è veramente la dimostrazione che in Italia si deve parlare per fare polemica, non per fare una costruttiva proposta migliorativa ma solo per cercare di strappare qualche squallido consenso». Dal siciliano Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, è arrivato un appello: «Il Sud deve smettere di continuare a piangere», ha detto, «Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle Regioni settentrionali. Ma per fare questo dobbiamo liberarci dalla teoria della questione meridionale».In Fratelli d’Italia nessuna voce fuori dal coro: il partito del premier è infatti compattamente a favore della legge, e anche dentro Forza Italia la «fronda» calabrese sembra rientrare. Per quanto riguarda Fdi, il vicecapogruppo alla Camera Augusta Montaruli ha puntato i riflettori su chi, nello schieramento opposto, si era pronunciato a favore di maggiori prerogative per le Regioni e poi ha preferito fare dietrofront per ragioni di opportunità politica: «Viene da domandarsi se lo Stefano Bonaccini che oggi ipotizza crepe della maggioranza sull’autonomia e disdegna la misura sia la stessa persona che voleva l’autonomia differenziata senza che fossero individuati i Lep o, ancora, quello che ha sottoscritto la pre intesa per il trasferimento di alcune competenze statali all’Emilia-Romagna con il governo Gentiloni». Come detto, dopo la sfuriata di mercoledì, il governatore azzurro della Calabria, Roberto Occhiuto, e i parlamentari più vicini a lui (che non hanno votato il provvedimento) sembrano aver corretto in parte il tiro: il coordinatore calabrese del partito Francesco Cannizzaro ha specificato che «non c’è nessuna fronda», mentre è tornato sull’argomento Tajani: «Si tratta di una riforma» ha detto, «che va nella giusta direzione, ci sono legittime preoccupazioni nel Sud del Paese che però saranno fugate dall’applicazione dei nostri ordini del giorno proprio a garanzia del Meridione». Sul fronte dell’opposizione, continuano gli attacchi alla maggioranza. 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In parole semplici: dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i Lep comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono. Dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. Ma come si determinano i Lep e, soprattutto, quanto costano? Lo spiega il ministro Roberto Calderoli, padre della legge, al Corriere delle Alpi. «Su 20 Regioni in Italia», dice, «ce ne sono sette, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che presentano un residuo fiscale. Si tratta della differenza tra quello che il sistema - Stato, Comuni, Province e Regioni - spende in quella Regione rispetto a qualunque tipo di entrate in quella stessa Regione. Se hai il segno meno, vuol dire che spendi meno rispetto a quello che ti entra. L’ultra gettito è 94 miliardi di euro. Queste sette Regioni danno alle altre Regioni che hanno una capacità contributiva inferiore, 62 miliardi l’anno, perché 32 se li tiene lo Stato». Il problema è come dividere questo tesoro. «Bisogna metterlo in un bel vaso trasparente dove vedo però chi li versa, chi li prende tra Stato e Regioni e soprattutto che fine fanno, chi li spende» dice Calderoli. Oggi questa perequazione viene fatta dal Mef e dalla Ragioneria attraverso dei flussi finanziari. Vengono buttati in una centrifuga e nessuno sa più nulla. Quindi vorrei far diventare fondo perequativo questi residui fiscali con un principio solidaristico di chi ha maggiore capacità fiscale verso le altre regioni». Progetto buono sulla carta ma difficile da attuare in pratica. secondo Stefano Bonaccini , presidente della Regione Emilia-Romagna, questa procedura finirà per esaltare l’egoismo delle Regioni più ricche. A suo parere «applicare i fiscali è l’anticamera di nuove fratture territoriali». Le aree più ricche infatti saranno spinte a stringere i cordoni della borsa ampliando le spese pur di non restituire i risparmi allo Stato che poi li metterà nel «vaso trasparente» pensato da Calderoli. Per non parlare del rischio di una giungla di normative con cui le imprese dovranno fare i conti aumentando i costi. Dice il ministro: «Confindustria nazionale mi ha presentato un quesito rispetto all’energia, che parzialmente condivido. Deciderò quando andrò ad attribuire quella singola materia alle Regioni. La Regione Toscana ad esempio mi chiede la competenza sul geotermico. Perché a loro che hanno la produzione del 40 per cento di cui beneficia solo lo Stato non deve andare nulla? Il mio progetto è attribuire una royalty alla Toscana come abbiamo fatto con gli impianti di estrazione in Basilicata, in cui il cittadino non paga luce e gas. Si attribuisce quella entrata alla Regione che produce quella risorsa e che si accolla anche l’impatto ambientale per l’estrazione. E quella regione gestisce». Ma il problema non finisce qui. Come si definiscono i Lep? Questa è una questione annosa, di cui si parla da parecchio tempo. L’articolo 3 del disegno di legge sull’autonomia differenziata indica la procedura per risolvere questo problema e determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Assicura Calderoli: «Il quadro normativo sarà pronto entro l’estate, il successivo passaggio sarà definire il costo e il fabbisogno standard Per fine anno una buona parte di quelle materie Lep le avremo normate. Le Regioni possono però subito cominciare a trattare sulle nove materie non Lep, che non sono secondarie: Protezione civile, professioni, ordinamento sportivo. Poi procederanno con le altre». Nel determinare i Lep il governo dovrà seguire i principi e i criteri fissati dalla prima legge di bilancio del governo Meloni, quella per il 2023, approvata alla fine del 2022. Questa legge di bilancio ha istituito la «cabina di regia », presieduta dal presidente del Consiglio e composta da alcuni ministri. Questo organismo ha vari compiti, tra cui l’individuazione delle materie riferibili ai Lep. Per supportare il lavoro della cabina di regia, a marzo 2023 il ministro Calderoli ha nominato il «comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (Clep), con 61 esperti presieduti dall’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese. Entro due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, l’esecutivo dovrà stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, ossia quei provvedimenti con cui il governo può legiferare dopo aver ricevuto la delega dal Parlamento. In questo caso, la delega è stata data dal Parlamento proprio con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’autonomia differenziata.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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