2024-05-23
Con l’auto elettrica raddoppiano i pedoni investiti
Un lettore, dopo aver addolcito la pillola dicendomi che mi stima moltissimo, l’altro ieri mi ha rifilato una stilettata invitandomi a non pubblicare «cose prive di verità». Si riferiva al mio editoriale di sabato scorso, in cui davo conto dei risultati di una ricerca dell’Agenzia lombarda per la protezione dell’ambiente sull’inquinamento a Milano. Riassumo in breve, per chi si fosse perso l’articolo, il nocciolo della questione. Secondo l’Arpa, più dei motori endotermici, a rendere irrespirabile l’aria del capoluogo sono le particelle rilasciate dai freni e dagli pneumatici. Il che, per chi ha presente il peso di un’auto elettrica rispetto a quelle a benzina o diesel, significa una sola cosa e cioè che le vetture con batteria non rilasciano emissioni perché prive del tubo di scappamento, ma rischiano di inquinare come e forse più dei veicoli tradizionali perché, appunto, si portano appresso qualche quintale in più.Ora, capisco il fascino di un’automobile silenziosa, che non rilascia fumi tossici, che è super scattante e spesso riesce a battere anche le fuoriserie, però che le vetture alimentate con una spina inquinino di più è una verità. E non mi riferisco soltanto al fatto che l’elettricità è ancora in massima parte prodotta con centrali a gas, per lo meno nel nostro Paese, e nemmeno alla questione irrisolta dello smaltimento delle batterie e al danno all’ambiente che si produce estraendo i materiali che servono a costruire il pacco al litio che le fa viaggiare. No, penso anche al tema del peso e delle conseguenze che 200 o 300 chili in più hanno sulle strade nazionali o sui parcheggi. Pensate a quelli dei centri commerciali a più piani e spesso fuori terra e immaginate che siano posteggiate un centinaio di vetture o forse più e poi fatevi una domanda: la soletta sopporterà il peso di 20 o 30 tonnellate in più? Beh, è un quesito che all’estero, con la diffusione dei veicoli a batteria, cominciano a porsi. Come vedete tralascio la questione delle infrastrutture necessarie ad alimentare questo tipo di macchine. Se si vuole che l’intera mobilità sia elettrica, servono centinaia di migliaia di colonnine a ricarica rapida e questo, oltre a richiedere un’implementazione della potenza da impegnare, richiede anche un ampliamento della rete di distribuzione, con ciò che ne consegue. Insomma, parlare delle vere - e sottolineo vere - ricadute sulla vita delle persone della diffusione dell’auto con la spina, non mi pare una «cosa priva di senso».Ovviamente il lettore è libero di pensare che io sia un vecchio barbagianni che non ama le novità ed è attaccato al passato. Tuttavia, mi permetto di dire che io amo l’innovazione e anzi sono pronto a provare ogni nuova diavoleria tecnologica, auto elettrica compresa, come ho fatto e faccio ogni qual volta me ne si presenta la possibilità. Però non mi faccio incantare dalle parole facili e dall’ambientalismo di facciata, perché preferisco andare al sodo. E in questo caso di sodo c’è molto, ma non pende sempre a favore delle tesi degli ecologisti duri e puri. A tal proposito vi cito il risultato di un altro recente studio, che questa volta compare su una rivista che fa parte dei periodici del gruppo del British medical journal, una specie di Bibbia per medici e scienziati, che ha indagato le conseguenze della circolazione di auto elettriche o ibride sulle strade della Gran Bretagna. Il risultato è un’analisi corposa sulla sicurezza dei pedoni a seguito della diffusione dei veicoli a batteria. Ve la faccio breve: nel periodo dal 2013 al 2017, i tassi di incidenti per 100 milioni di miglia sono stati di 5,16 per quanto riguarda le vetture con la spina, mentre per quelle classiche, a benzina o diesel, si scende a quota 2,4. In altre parole, le collisioni delle macchine a combustione interna sono meno della metà e, nel dettaglio, significa che sulle strade urbane i pedoni hanno un rischio di essere investiti da auto elettriche che è maggiore di almeno tre volte rispetto a quello di essere travolti da veicoli a motore endotermico. Vi chiedete da che cosa sia dato questo pericolo. La risposta è semplice: il rumore delle vie in città copre quello dell’auto elettrica in arrivo e dunque il pedone che attraversa la strada rischia di non accorgersi. Del resto, uno studio commissionato dalla Us National Highway Transportation Safety Agency in 16 Stati americani aveva già certificato che le vetture a batteria rappresentano un pericolo per i pedoni calcolato nel 35 per cento in più rispetto a quelle a motore. Lo so, la macchina elettrica è bella, scattante e silenziosa: ma, come certi vaccini, provoca qualche effetto collaterale e nasconderlo non è una cosa buona.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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