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2022-10-04
«Attacco atomico? La Nato sarebbe divisa»
Ansa
Come reagirà Vladimir Putin di fronte alle recenti debacle militari? Come potrà contrastare la controffensiva ucraina che ormai interessa anche i territori recentemente annessi? C’è chi crede che prima del gelido inverno che tra poco arriverà in Ucraina il presidente russo troverà il modo di uscire dal conflitto «accontentandosi» di quello che gli ucraini non riconquisteranno. Ovviamente per farlo servirà un grande sforzo narrativo, tuttavia, i mezzi non gli mancano di sicuro. Ma davvero il Vladimir Putin che abbiamo visto solo qualche giorno fa intonare il tradizionale «urrah» in onore dei soldati al fronte potrebbe accettare di rinunciare alla sua «operazione militare speciale»?
Se c’è una cosa che il presidente russo ha sempre fatto nel corso della sua vita è alzare il tiro quando si trovava in difficoltà, una postura che ha utilizzato anche in questo conflitto fino all’escalation delle annessioni che di fatto segnano la volontà di andare fino in fondo. Quindi chi si illude che Putin si accontenterà di una scappatoia per tornarsene a Mosca si sbaglia di grosso e lo stesso errore fanno coloro che credono che uomini come il leader ceceno Razman Kadyrov possano condizionarlo. Più passano i giorni e più le opzioni russe appaiono limitate, considerato anche che i cinesi nella recente riunione di Samarcanda (Uzbekistan), si sono praticamente defilati.
Da qui i sospetti dell’Occidente, che teme sempre più che il presidente russo, se messo con le spalle al muro anche dai suoi fedelissimi (tra i quali non sono pochi coloro che vogliono la guerra totale), alla fine utilizzerà l’arma nucleare tattica «per proteggere la sicurezza nazionale». Di che armi stiamo parlando?
Secondo stime recenti l’esercito russo ha a disposizione più di duemila bombe tattiche nucleari, che hanno un raggio di azione limitato, circa uno-due chilometri, ma che hanno comunque un impatto a dir poco devastante. Si tratta di ordigni che possono essere montati sui missili Iskander, con una gittata fino a 500 chilometri, oppure trasportate dai caccia russi. Secondo una nostra fonte all’interno degli apparati di Difesa degli Stati Uniti la questione non è più «Se userà l’arma atomica tattica», ma «Quando e dove lo farà».
Qui gli indizi puntano sull’area vicino alla città di Odessa. Del tema ha parlato l’ex generale David Petraeus, già capo della Cia, che in una intervista ad Abc rispondendo ad una domanda su cosa accadrebbe se Putin usasse l’arma nucleare, ha detto: «Solo per darvi un’ipotesi, risponderemmo guidando uno sforzo della Nato - che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero». Ma secondo Petraeus: «deve esserci una risposta, ma non necessariamente nucleare contro nucleare, per evitare appunto una escalation nucleare». Anche l’intelligence ucraina teme l’attacco nucleare e nel nel Paese si diffondono via social prontuari di emergenza che dicono: «Procuratevi un ricevitore radio perché potrebbe essere l’unico modo per rimanere in contatto. Attendete messaggi ufficiali e seguite le istruzioni senza farvi prendere dal panico. Avete non più di 15 minuti dall’impatto per cercare un rifugio sotterraneo come una stazione della metro o un parcheggio. Nel caso non possiate scendere in un rifugio salite al decimo piano di un edificio e cercate una stanza isolata, possibilmente un bagno. Procuratevi una valigia con tutti i beni necessari, come acqua, cibo in scatola, torce, vestiti, radio e un kit di primo soccorso con pasticche allo iodio» Persino la Nato non nasconde più le sue preoccupazioni suo possibile utilizzo da parte di Mosca delle armi nucleari tattiche tanto che il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ne ha parlato in un’intervista alla Nbc nella quale ha detto che: «Qualsiasi uso di armi nucleari avrà conseguenze serie per la Russia». Gli scenari possibili in seguito a un attacco nucleare russo possono riassumersi in tre ipotesi.
La prima vedrebbe una risposta convenzionale di Kiev, su indicazione Nato, a obiettivi in territorio russo: magari, gli stessi da cui sono partiti gli ordini atomici. La seconda, una risposta convenzionale direttamente per mano della Nato, che tuttavia aprirebbe a una guerra termonucleare. La terza ipotesi, la peggiore ma la meno probabile, vede l’attacco nucleare da parte della Nato.
Ma siamo davvero a un passo dalla catastrofe? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni occorre fare una premessa fondamentale: «Nessuno, a occidente come ad oriente, può avere certezze sulla gestione di un evento così drammatico e dei suoi esiti dal punto di vista politico, militare e sociale. Infatti, dalla scoperta dell’energia nucleare a oggi, non ci sono precedenti d’impiego di ordigni nucleari tattici, nonostante sia la Nato che il Patto di Varsavia li annoverassero nei loro rispettivi arsenali. Bisogna pertanto diffidare da chi manifesta eccessive sicurezze al riguardo ed essere molto cauti nel configurare scenari di risposta che sicuramente sono allo studio ma niente affatto scontati». Quindi vista la situazione parlare di una reazione dell’Alleanza atlantica come tale è azzardato? Secondo il generale Boni: «Non solo non sussisterebbero le basi giuridiche per un intervento, ma difficilmente si raggiungerebbe un consenso su questa ipotesi in quanto ogni forma di contatto diretto con le forze della Federazione Russa sotto bandiera Nato aprirebbe le porte a scenari davvero apocalittici. E non basterebbe giocare sull’equivoco della legittimità giuridica dei territori annessi da Mosca con il referendum per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale una risposta militare di tale livello dalle conseguenze imprevedibili. Ricordiamoci, in ogni caso, che la capacità nucleare della Nato è costituita dagli arsenali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che difficilmente esporrebbero i propri paesi alla possibilità di una rappresaglia nucleare di qualunque tipo».
La Farnesina convoca Razov: «Referendum farsa, ritiratevi»
Richiesta di revoca dei risultati dei «referendum farsa» ed esortazione a ritirare le forze russe immediatamente, completamente e senza condizioni dal territorio ucraino.
Queste le istanze avanzate dal segretario generale della Farnesina, Ettore Francesco Sequi, all’ambasciatore russo, Sergey Razov, convocato ieri al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Razov è ambasciatore in Italia da ben nove anni. La sua lunga permanenza sulle sponde del Tevere è la testimonianza di come sia riuscito a convincere il ministero degli Esteri di essere il «garante» perfetto di quel «rapporto speciale» che da decenni intercorre tra Mosca e Roma.
Rapporto che l’Italia ha sempre curato attentamente, facendo spesso leva sull’intermediazione di Razov. Questa volta le richieste di Sequi hanno trovato una risposta dura da parte del rappresentante russo. Sequi che ha spiegato di aver convocato l’ambasciatore nel quadro di «un’azione coordinata con altri partner Ue per mandare a Mosca un segnale comune, fermo e inequivocabile», ha focalizzato l’attenzione sul voto tenuto nelle terre occupate dai russi, dal Donbass all’oblast di Kherson, alla regione di Zaporizhzhia, chiarendo che si tratta di «consultazioni che Mosca ha condotto in maniera illegale in violazione di ogni norma del diritto internazionale».
Il segretario generale della Farnesina ha confermato la determinazione italiana ed europea ad «aumentare la pressione nei confronti della Federazione russa affinché cessi l’aggressione», ribadendo il sostegno dell’Italia alla piena sovranità, indipendenza ed integrità territoriale dell’Ucraina. Secondo Sequi «con le sue azioni la Russia mette gravemente a rischio la sicurezza globale»: questo il pensiero espresso a Razov, al quale sono state ricordate le azioni che l’Italia condanna: «L’attacco e l’invasione di un Paese sovrano, la minaccia di impiegare armi nucleari, la mobilitazione militare su larga scala e i tentativi di presentare falsamente il territorio ucraino come appartenente alla Russia minano l’ordine internazionale basato su regole e sono una palese violazione dei principi della Carta dell’Onu e del diritto internazionale», ha affermato Sequi, ribadendo che l’Italia «continuerà a fornire un forte sostegno all’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario». Di fronte alle contestazioni, Razov «ha respinto categoricamente le dichiarazioni della parte italiana e ha esposto le sue posizioni in merito alle questioni che sono state toccate, nello spirito di quanto disposto dal discorso del presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, nella Sala di San Giorgio del Gran Palazzo del Cremlino il 30 settembre». Non c’è spazio nel quale inserirsi rispetto alla strategia delineata da Putin, ha insomma chiarito l’ambasciatore russo. Con Razov, invece, non è stato affrontato il tema del sabotaggio al Nord stream. Intanto anche Berlino si è mossa sulla stessa linea italiana e l’ambasciatore russo in Germania, Sergey Nechayev, è stato convocato presso il ministero degli Esteri tedesco.
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L’impiego da parte di Mosca di armi nucleari potrebbe causare una risposta solo di Kiev o un coinvolgimento del Patto atlantico. Secondo il generale Maurizio Boni, tuttavia, l’ intervento dell’Organizzazione è improbabile: «Francia e Uk non correrebbero tale pericolo».La Farnesina convoca Sergey Razov: «Referendum farsa, ritiratevi». L’ambasciatore russo chiamato al ministero: «Respingiamo le dichiarazioni italiane».Lo speciale comprende due articoli.Come reagirà Vladimir Putin di fronte alle recenti debacle militari? Come potrà contrastare la controffensiva ucraina che ormai interessa anche i territori recentemente annessi? C’è chi crede che prima del gelido inverno che tra poco arriverà in Ucraina il presidente russo troverà il modo di uscire dal conflitto «accontentandosi» di quello che gli ucraini non riconquisteranno. Ovviamente per farlo servirà un grande sforzo narrativo, tuttavia, i mezzi non gli mancano di sicuro. Ma davvero il Vladimir Putin che abbiamo visto solo qualche giorno fa intonare il tradizionale «urrah» in onore dei soldati al fronte potrebbe accettare di rinunciare alla sua «operazione militare speciale»? Se c’è una cosa che il presidente russo ha sempre fatto nel corso della sua vita è alzare il tiro quando si trovava in difficoltà, una postura che ha utilizzato anche in questo conflitto fino all’escalation delle annessioni che di fatto segnano la volontà di andare fino in fondo. Quindi chi si illude che Putin si accontenterà di una scappatoia per tornarsene a Mosca si sbaglia di grosso e lo stesso errore fanno coloro che credono che uomini come il leader ceceno Razman Kadyrov possano condizionarlo. Più passano i giorni e più le opzioni russe appaiono limitate, considerato anche che i cinesi nella recente riunione di Samarcanda (Uzbekistan), si sono praticamente defilati. Da qui i sospetti dell’Occidente, che teme sempre più che il presidente russo, se messo con le spalle al muro anche dai suoi fedelissimi (tra i quali non sono pochi coloro che vogliono la guerra totale), alla fine utilizzerà l’arma nucleare tattica «per proteggere la sicurezza nazionale». Di che armi stiamo parlando? Secondo stime recenti l’esercito russo ha a disposizione più di duemila bombe tattiche nucleari, che hanno un raggio di azione limitato, circa uno-due chilometri, ma che hanno comunque un impatto a dir poco devastante. Si tratta di ordigni che possono essere montati sui missili Iskander, con una gittata fino a 500 chilometri, oppure trasportate dai caccia russi. Secondo una nostra fonte all’interno degli apparati di Difesa degli Stati Uniti la questione non è più «Se userà l’arma atomica tattica», ma «Quando e dove lo farà». Qui gli indizi puntano sull’area vicino alla città di Odessa. Del tema ha parlato l’ex generale David Petraeus, già capo della Cia, che in una intervista ad Abc rispondendo ad una domanda su cosa accadrebbe se Putin usasse l’arma nucleare, ha detto: «Solo per darvi un’ipotesi, risponderemmo guidando uno sforzo della Nato - che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero». Ma secondo Petraeus: «deve esserci una risposta, ma non necessariamente nucleare contro nucleare, per evitare appunto una escalation nucleare». Anche l’intelligence ucraina teme l’attacco nucleare e nel nel Paese si diffondono via social prontuari di emergenza che dicono: «Procuratevi un ricevitore radio perché potrebbe essere l’unico modo per rimanere in contatto. Attendete messaggi ufficiali e seguite le istruzioni senza farvi prendere dal panico. Avete non più di 15 minuti dall’impatto per cercare un rifugio sotterraneo come una stazione della metro o un parcheggio. Nel caso non possiate scendere in un rifugio salite al decimo piano di un edificio e cercate una stanza isolata, possibilmente un bagno. Procuratevi una valigia con tutti i beni necessari, come acqua, cibo in scatola, torce, vestiti, radio e un kit di primo soccorso con pasticche allo iodio» Persino la Nato non nasconde più le sue preoccupazioni suo possibile utilizzo da parte di Mosca delle armi nucleari tattiche tanto che il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ne ha parlato in un’intervista alla Nbc nella quale ha detto che: «Qualsiasi uso di armi nucleari avrà conseguenze serie per la Russia». Gli scenari possibili in seguito a un attacco nucleare russo possono riassumersi in tre ipotesi. La prima vedrebbe una risposta convenzionale di Kiev, su indicazione Nato, a obiettivi in territorio russo: magari, gli stessi da cui sono partiti gli ordini atomici. La seconda, una risposta convenzionale direttamente per mano della Nato, che tuttavia aprirebbe a una guerra termonucleare. La terza ipotesi, la peggiore ma la meno probabile, vede l’attacco nucleare da parte della Nato. Ma siamo davvero a un passo dalla catastrofe? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni occorre fare una premessa fondamentale: «Nessuno, a occidente come ad oriente, può avere certezze sulla gestione di un evento così drammatico e dei suoi esiti dal punto di vista politico, militare e sociale. Infatti, dalla scoperta dell’energia nucleare a oggi, non ci sono precedenti d’impiego di ordigni nucleari tattici, nonostante sia la Nato che il Patto di Varsavia li annoverassero nei loro rispettivi arsenali. Bisogna pertanto diffidare da chi manifesta eccessive sicurezze al riguardo ed essere molto cauti nel configurare scenari di risposta che sicuramente sono allo studio ma niente affatto scontati». Quindi vista la situazione parlare di una reazione dell’Alleanza atlantica come tale è azzardato? Secondo il generale Boni: «Non solo non sussisterebbero le basi giuridiche per un intervento, ma difficilmente si raggiungerebbe un consenso su questa ipotesi in quanto ogni forma di contatto diretto con le forze della Federazione Russa sotto bandiera Nato aprirebbe le porte a scenari davvero apocalittici. E non basterebbe giocare sull’equivoco della legittimità giuridica dei territori annessi da Mosca con il referendum per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale una risposta militare di tale livello dalle conseguenze imprevedibili. 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Queste le istanze avanzate dal segretario generale della Farnesina, Ettore Francesco Sequi, all’ambasciatore russo, Sergey Razov, convocato ieri al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Razov è ambasciatore in Italia da ben nove anni. La sua lunga permanenza sulle sponde del Tevere è la testimonianza di come sia riuscito a convincere il ministero degli Esteri di essere il «garante» perfetto di quel «rapporto speciale» che da decenni intercorre tra Mosca e Roma. Rapporto che l’Italia ha sempre curato attentamente, facendo spesso leva sull’intermediazione di Razov. Questa volta le richieste di Sequi hanno trovato una risposta dura da parte del rappresentante russo. Sequi che ha spiegato di aver convocato l’ambasciatore nel quadro di «un’azione coordinata con altri partner Ue per mandare a Mosca un segnale comune, fermo e inequivocabile», ha focalizzato l’attenzione sul voto tenuto nelle terre occupate dai russi, dal Donbass all’oblast di Kherson, alla regione di Zaporizhzhia, chiarendo che si tratta di «consultazioni che Mosca ha condotto in maniera illegale in violazione di ogni norma del diritto internazionale». Il segretario generale della Farnesina ha confermato la determinazione italiana ed europea ad «aumentare la pressione nei confronti della Federazione russa affinché cessi l’aggressione», ribadendo il sostegno dell’Italia alla piena sovranità, indipendenza ed integrità territoriale dell’Ucraina. Secondo Sequi «con le sue azioni la Russia mette gravemente a rischio la sicurezza globale»: questo il pensiero espresso a Razov, al quale sono state ricordate le azioni che l’Italia condanna: «L’attacco e l’invasione di un Paese sovrano, la minaccia di impiegare armi nucleari, la mobilitazione militare su larga scala e i tentativi di presentare falsamente il territorio ucraino come appartenente alla Russia minano l’ordine internazionale basato su regole e sono una palese violazione dei principi della Carta dell’Onu e del diritto internazionale», ha affermato Sequi, ribadendo che l’Italia «continuerà a fornire un forte sostegno all’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario». Di fronte alle contestazioni, Razov «ha respinto categoricamente le dichiarazioni della parte italiana e ha esposto le sue posizioni in merito alle questioni che sono state toccate, nello spirito di quanto disposto dal discorso del presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, nella Sala di San Giorgio del Gran Palazzo del Cremlino il 30 settembre». Non c’è spazio nel quale inserirsi rispetto alla strategia delineata da Putin, ha insomma chiarito l’ambasciatore russo. Con Razov, invece, non è stato affrontato il tema del sabotaggio al Nord stream. Intanto anche Berlino si è mossa sulla stessa linea italiana e l’ambasciatore russo in Germania, Sergey Nechayev, è stato convocato presso il ministero degli Esteri tedesco.
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Femminismo è il vezzoso nome dato alla misandria occidentale, e la misandria è stato il mezzo per distruggere nel giro di due generazioni l’invincibile società occidentale giudaico-cristiana: le donne sempre vittime, i maschi sempre carnefici e soprattutto nemici. La «vera donna» si sente sorella di sconosciute, incluse cantanti mediocri che guadagnano cifre astronomiche mostrando la biancheria intima o la sua assenza, ma non deve avere linee di collaborazione o anche solo umana simpatia con il marito o il compagno. Il femminismo occidentale non è difesa delle donne, è misandria, odio per gli uomini. Il femminismo misandrico è un movimento creato a tavolino, con lo scopo di distruggere la famiglia, che è un’unità affettivo/economica con una sua intrinseca potenza: rende le persone non isolate, e quindi meno malleabili, tali da avere la forza di opporsi al potere dello Stato o del parastato. Il secondo scopo è abbattere i salari buttando sul mercato milioni di lavoratrici. Il terzo scopo è annientare le aree di lavoro non tassabile. Le donne a casa loro fanno lavori non tassabili: cucire, cucinare, costruire giocattoli, creare tende e vestiario, fare conserve, allevare bambini. Ora il loro lavoro è sostituito da supermercati, orrendi cibi precotti, con tutti i danni dei cibi processati, vestiario «made in China» fatto da schiavi sottopagati e soprattutto educatrici e insegnanti.
A ogni interazione madre-figlio, il cervello del bambino piccolo crea miliardi di sinapsi. Ogni interazione con l’estranea cui è affidato mentre mamma si sta facendo sfruttare da qualcuno in un posto di lavoro - e deve farlo perché il salario di papà è troppo basso - fabbrica molte meno sinapsi. Per i bambini, essere affidati a estranei al di sotto dei tre anni è un danno neurobiologico. Chi nega questa affermazione sta mentendo. Il bambino impara la regolazione delle emozioni sulla madre, ma per poter completare questo processo la madre deve essere presente. Con l’estranea cui è stato affidato, il processo non può realizzarsi. Inoltre, per quell’estranea il bambino è lavoro. Ci sono persone che amano il loro lavoro, altre che lo detestano: nel caso delle educatrici, quello che è detestato è il bambino. Ogni tanto bisogna mettere le videocamere per scoprire bambini picchiati o umiliati. La madre lavoratrice deve occuparsi del lavoro e quando alla sera torna a casa stanca e nervosa deve occuparsi del bambino, che alla sera, dopo ore e ore con estranee, è stanco e nervoso. Il peso è micidiale.
Le donne non mettono più al mondo figli. Il femminismo misandrico è stato creato per abbattere la natalità. Quando il bambino è malato, la mamma non può stare con lui. La presenza della madre fabbrica endorfine che potenziano il sistema immunitario. La sua assenza fabbrica cortisolo, ormone da stress che abbatte il sistema immunitario. Per poter essere affidato alle estranee del nido, il bambino deve essere sottoposto a un esavalente che in molte altre nazioni è vietato. Il 70% delle morti improvvise in culla avviene nella settimana successiva all’iniezione dell’esavalente. Perché le madri possano serenamente lavorare è stato creato il latte in polvere, pessimo prodotto che sostituisce il cibo perfetto dal punto di vista nutrizionale e immunologico che è il latte materno. È statisticamente dimostrata la differenza cognitiva e la migliore salute dei bambini allattati al seno. Dopo i tre anni un bambino potrebbe restarsene benissimo a casa sua; se proprio lo si vuole mandare all’asilo, sarebbe meglio non superare le due ore al giorno. Quando ha sei anni, il bambino dovrebbe andare in una scuola quattro ore, dalle 8.30 alle 12.30. Se la classe è fatta da bambini in maggioranza sereni e tutti della stessa madrelingua, come negli anni Cinquanta, quattro ore sono sufficienti.
Il bambino, messo sotto stress dalla mancanza cronica della madre, consegnato allo Stato per un numero spaventoso di ore, diventa un perfetto recipiente per la propaganda.
Le femministe hanno conquistato il diritto al lavoro. Il lavoro è una maledizione biblica. Anche l’aborto è una maledizione biblica e pure di quello hanno conquistato il diritto. Nella Cappella Sistina, Michelangelo ha rappresentato il momento in cui il serpente corrompe Eva con la mela: il serpente ha un volto di donna. Un’ intuizione geniale. Le donne hanno meno testosterone: questo le rende più accoglienti, permette la maternità, ma le rende meno capaci di battersi. Noi siamo meno capaci di combattere, cediamo più facilmente alla propaganda. Il vittimismo isterico del femminismo misandrico è stata la tentazione con cui le donne hanno annientato la invincibile civiltà giudaico-cristiana. Abbiamo ancora una generazione, forse una e mezza. Creperemo di denatalità e scemenze: tra due generazioni al massimo saremo una repubblica islamica. Il potere è stato tolto al pater familias, che era sporco brutto e cattivo, ma era comunque uno cui di quella donna e quei bambini importava, ed è stato consegnato allo Stato, una macchina burocratica cieca e stolida. Lo Stato decide quanti vaccini un bambino deve fare, mentre gli Ordini dei medici applicano la legge Lorenzin radiando tutti coloro che si permettono di parlare della criticità di questi farmaci. Lo Stato decide cosa un bambino deve mangiare: le orrende mense scolastiche dove si mangia pessimo cibo statale sono obbligatorie. Digitate su Google le parole mensa scolastica e tossinfezioni alimentari e troverete dati interessanti. I dati che mancano sono i danni su danni sul lungo periodo degli oli di bassa qualità, della conserva di pomodoro comprata dove costava meno (spesso sono pomodori coltivati in Cina con fertilizzanti pessimi). Lo Stato decide come il bambino deve vivere e se la famiglia si permette di farlo vivere felice in un bosco, lo Stato interviene. Lo Stato decide cosa il bambino deve pensare, perché l’etica gliela insegnano i docenti, quasi sempre femmine, che sono impiegati statali che eseguono gli ordini, le circolari, fanno corsi di aggiornamento Lgbt e hanno criminalizzato i ragazzi non vaccinati per il Covid.
Grazie al femminismo misandrico, in Italia, la disparità tra padre e madre è clamorosa: i padri sono esseri inferiori. La donna ha potere di vita e morte sul concepito, un potere osceno e criminale. Si considera criminale un padre che ha picchiato suo figlio, ma non si considera criminale una donna che ha fatto macellare il suo bambino nel suo ventre. Il potere che ha creato il femminismo misandrico vuole gli aborti, li adora. Se hai abbandonato il cane sei un bastando, se hai fatto uccidere tuo figlio nel tuo ventre sei un’eroina della libertà. Per far uccidere il bambino nel suo ventre, la donna ha bisogno di un medico, che diventa quindi un medico che sopprime vite umane. Il feto è vivo ed è umano. Chi lo sopprime, sta sopprimendo vite umane. Se la donna vuole abortire, il padre non può opporsi. La donna può abortire, ma il padre non può rifiutarsi di pagare gli alimenti, deve assumersi la responsabilità economica fino alla maggiore età (e spesso oltre), eredità garantita al figlio, un terzo del patrimonio che deve essere accantonato. La donna può rendere suo figlio orfano di padre: può partorirlo, disconoscerlo e impedire che il padre lo riconosca. Il padre, per riconoscere il figlio, deve arruolare uno o più avvocati, pagarli e imbarcarsi in una guerra giudiziaria lunga e dall’esito incerto. Mentre le donne sono normalmente aggredite da immigrati islamici, l’invasione che sostituisce il deficit demografico dei bambini abortiti, al punto che non si possono più fare manifestazioni in piazza come quelle di Capodanno, quando l’uomo è bianco e occidentale, la parola della donna in tribunale vale più di quella dell’uomo.
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Roberto Speranza (Ansa)
Sull’edizione del 7 marzo del 2023, Francesco Borgonovo riportava un eloquente scambio di messaggi tra l’allora presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, e il ministro Roberto Speranza, che si esprimeva così: «Dobbiamo chiudere le scuole. Ne sono sempre più convinto». Ma il giorno seguente Brusaferro notava: «Per chiusura scuola Cts critico». E il ministro incalzava: «Così ci mandate a sbattere». Dopo una serie di ulteriori scambi, Brusaferro cedeva: «Va bene. Domani bisognerà pensare a illustrare come il parere riporti principi ed elementi di letteratura e modellistica lasciando al Consiglio dei ministri le scelte». Tradotto: prima si prendeva la decisione, poi si trovava l’appiglio «scientifico».
L’audizione di Miozzo appare indubitabilmente sincera. L’esperto sottolinea il contesto emergenziale in cui agivano i commissari, mettendo in guardia dai «Soloni del senno di poi». Parla del Cts come punto di riferimento «mitologico», «di fatto chiamato a rispondere a qualsiasi tipo di richiesta e necessità» che «di sanitario avevano ben poco: la distanza tra i tavoli nei ristoranti, il numero di passeggeri all’interno di un autobus, la distanza tra i banchi di scuola». «Che ci azzeccavo io, medico esperto di emergenze internazionali, con la distanza degli ombrelloni al mare?», osserva. «Eppure dovevamo dare un’indicazione, che alla fine, in un modo o nell’altro, veniva fuori con l’intelligenza, con il buonsenso, con la lettura che di volta in volta si faceva del contesto nazionale e internazionale». Dato il vuoto decisionale, in buona sostanza, il Cts si è dovuto far carico di una serie di questioni lontane dalla sua competenza. E sbaglia, spiega Miozzo, chi ci ha visto un «generatore di norme, di leggi, di indirizzi e di potere decisionale, cosa che assolutamente non ha mai avuto»: «Quello che il Comitato elaborava come indicazioni tecnico-scientifiche era offerto al governo, che lo doveva tradurre in atti normativi». L’equivoco si verificò solo perché alcuni passaggi venivano copiati tali e quali nelle leggi.
Miozzo ribadisce a più riprese che il Cts forniva solo pareri sulla base di assunti scientifici necessariamente - visto il contesto - in divenire. La dinamica, però, appare chiaramente invertita: se un organo subisce pressioni politiche (fatto testimoniato sopra) e viene interpellato su questioni che esulano dalle proprie competenze, è perché esso viene usato per sottrarre decisioni politiche al dibattito democratico. Una strategia che non riguarda solo il Covid: in pandemia ha conosciuto il suo culmine, ma è iniziata ben prima e proseguita ben dopo: l’ideologia green ne è una dimostrazione plastica. E anche il prezzo di queste scelte scellerate, per usare le parole di Miozzo, lo abbiamo pagato e lo pagheremo ancora in futuro. Se si parla tanto di Covid, in fondo, è puramente per una questione di metodo.
Miozzo avanza almeno un’altra considerazione degna di nota quando spiega che il piano pandemico del 2006 era una «lettera morta negli archivi della nostra amministrazione». Nessuno lo conosceva, «non era mai stata fatta un’esercitazione e non era stato fatto l’acquisto di beni di pronto soccorso e di Dpi. Non c’era nulla». Una responsabilità che imputa ai ministri precedenti e non a Speranza. Ai fini del buon funzionamento della democrazia, è fondamentale stabilire le responsabilità: a tagliare i fondi alla sanità per un decennio, in nome di una presunta austerità espansiva richiesta dall’«Europa», sono stati governi sostenuti dalla sinistra che oggi bercia contro l’attuale esecutivo. Lo dicono i dati, lo raccontano le condizioni in cui ci siamo trovati ad affrontare la pandemia. Almeno e limitatamente all’impreparazione del piano pandemico, possiamo anche assolvere Speranza. Ma non possiamo assolvere il Partito democratico dall’aver ucciso la sanità italiana.
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A mettere nero su bianco qualche dato in grado di smontare le ultime illusioni sui vantaggi del motore a batteria, è l’Adiconsum che periodicamente fa un report sull’andamento delle tariffe di ricarica. Lo stato dell’infrastruttura è ancora carente. I punti di ricarica sono 70.272 di cui un 10% non è attivo. La maggioranza dei punti (53.000) è in corrente alternata (Ac) con potenza inferiore a 50 Kw mentre le ricariche ultra veloci sono meno di 5.000. Intraprendere un percorso in autostrada è da temerari: la copertura delle aree di servizio è ancora al 48% e ci sono solo 1.274 punti. Essere a secco di elettricità e beccare un paio di stazioni di servizio sprovviste di colonnine apre scenari da incubo. Quindi, nella pianificazione di un percorso, bisognerebbe anche avere contezza della distribuzione delle ricariche.
Ma veniamo ai costi. Il prezzo unico nazionale a novembre scorso era pari a 0,117 euro il Kwh, in aumento del 5% rispetto a ottobre 2025. I prezzi medi alla colonnina sono per la Ac (lenta e accelerata) di 0,63 euro al Kwh (in aumento di 1 centesimo rispetto a ottobre), per la veloce (Dc) di 0,75 euro /Kwh (+1 centesimo rispetto a ottobre) e per la ultra veloce (Hpc) di 0,76 euro/kwh (stazionario). Per le tariffe medie massime si arriva a 0,83 per ricariche Ac, 0,82 per la Dc e 1,01 per Hpc.
Il report di Adiconsum fa un confronto con i carburanti fossili e evidenza che la parità di costo con benzina e diesel si attesta mediamente tra 0,60 e 0,65 euro/kwh. Ma molte tariffe medie attuali, superano questa soglia di convenienza.
Inoltre esistono forti divergenze tra i prezzi minimi e massimi che nella ricarica ultra veloce possono arrivare fino a 1,01 euro /Kwh. L’associazione dei consumatori segnala tra le tariffe più convenienti per la Ac, Emobility (0,25 euro/Kwh) per la Dc, Evdc in roaming su Enel X Way (0,45 euro/Kwh) e per l’alta potenza, la Tesla Supercharger (0,32 euro/Kwh). La conclusione del report è che c’è un rincaro, anche se lieve delle ricariche più diffuse ovvero Ac e Dc e il consiglio dell’Adiconsum, è che a fronte dell’alta variabilità dei prezzi è fondamentale utilizzare le app dedicate per verificare quale operatore offre il prezzo più basso sulla singola colonnina.
Questo vuol dire che mentre all’estero, come ad esempio in Germania, si fa il pieno utilizzando semplicemente il bancomat o la carta di credito, come al self service dei distributori, in Italia bisogna scaricare una infinità di app, a seconda del fornitore o del gestore, con la complicazione delle informazioni di pagamento e della registrazione. Chi ha la ventura (o sventura) di aver scelto una full electric, deve fare la gimcana tra le varie app, studiando con la comparazione, la soluzione più vantaggiosa. Un bello stress.
Secondo i dati più recenti di Eurostat e Switcher.ie, mentre la media europea per un pieno si attesta intorno a 14 euro, in Italia la spesa media sale a circa 20,30 euro. Nel nostro Paese, come detto prima, la media di ricarica Ac è di 0,63 euro /Kwh, in Francia e Spagna si scende sotto gli 0,45-0,50 euro /Kwh. La ricarica ultra rapida che nelle nostre colonnine è di media 0,76 euro/Kwh con picchi sopra 1 euro, in Francia si mantiene mediamente intorno a 0,60 euro/Kwh. Il costo dell’energia all’ingrosso in Italia è tra i più alti d’Europa, inoltra l’Iva e le accise sull’energia elettrica ad uso di ricarica pubblica sono meno agevolate rispetto alla Francia dove l’Iva è al 5,5%. Inoltre l’Italia non prevede riduzioni degli oneri di sistema per le infrastrutture ad alta potenza.
C’è un altro elemento di divergenza tra l’Italia e il resto dell’Europa che non incentiva l’acquisto di un’auto elettrica, ed è la metodologia del pagamento. Il nostro Paese è il regno delle app e degli abbonamenti. La ricarica «spontanea» (senza registrazione) è rara e spesso molto costosa. In paesi come Olanda, Danimarca e Germania, il pieno è gestito più come un servizio di pubblica utilità «al volo». Con il regolamento europeo Afir, nel 2025 è diventato obbligatorio per le nuove colonnine fast permettere il pagamento con carta di credito/debito tramite Pos. In Nord Europa questa pratica è già la norma, riducendo la necessità di avere dieci app diverse sul telefono. Inoltre in Paesi tecnologicamente avanzati (Norvegia, Germania), è molto diffuso il sistema Plug & Charge: colleghi il cavo e l’auto comunica direttamente con la colonnina per il pagamento, senza bisogno di tessere o smartphone. In Italia, questa tecnologia è limitata quasi esclusivamente alla rete Tesla.
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