2022-10-04
«Attacco atomico? La Nato sarebbe divisa»
L’impiego da parte di Mosca di armi nucleari potrebbe causare una risposta solo di Kiev o un coinvolgimento del Patto atlantico. Secondo il generale Maurizio Boni, tuttavia, l’ intervento dell’Organizzazione è improbabile: «Francia e Uk non correrebbero tale pericolo».La Farnesina convoca Sergey Razov: «Referendum farsa, ritiratevi». L’ambasciatore russo chiamato al ministero: «Respingiamo le dichiarazioni italiane».Lo speciale comprende due articoli.Come reagirà Vladimir Putin di fronte alle recenti debacle militari? Come potrà contrastare la controffensiva ucraina che ormai interessa anche i territori recentemente annessi? C’è chi crede che prima del gelido inverno che tra poco arriverà in Ucraina il presidente russo troverà il modo di uscire dal conflitto «accontentandosi» di quello che gli ucraini non riconquisteranno. Ovviamente per farlo servirà un grande sforzo narrativo, tuttavia, i mezzi non gli mancano di sicuro. Ma davvero il Vladimir Putin che abbiamo visto solo qualche giorno fa intonare il tradizionale «urrah» in onore dei soldati al fronte potrebbe accettare di rinunciare alla sua «operazione militare speciale»? Se c’è una cosa che il presidente russo ha sempre fatto nel corso della sua vita è alzare il tiro quando si trovava in difficoltà, una postura che ha utilizzato anche in questo conflitto fino all’escalation delle annessioni che di fatto segnano la volontà di andare fino in fondo. Quindi chi si illude che Putin si accontenterà di una scappatoia per tornarsene a Mosca si sbaglia di grosso e lo stesso errore fanno coloro che credono che uomini come il leader ceceno Razman Kadyrov possano condizionarlo. Più passano i giorni e più le opzioni russe appaiono limitate, considerato anche che i cinesi nella recente riunione di Samarcanda (Uzbekistan), si sono praticamente defilati. Da qui i sospetti dell’Occidente, che teme sempre più che il presidente russo, se messo con le spalle al muro anche dai suoi fedelissimi (tra i quali non sono pochi coloro che vogliono la guerra totale), alla fine utilizzerà l’arma nucleare tattica «per proteggere la sicurezza nazionale». Di che armi stiamo parlando? Secondo stime recenti l’esercito russo ha a disposizione più di duemila bombe tattiche nucleari, che hanno un raggio di azione limitato, circa uno-due chilometri, ma che hanno comunque un impatto a dir poco devastante. Si tratta di ordigni che possono essere montati sui missili Iskander, con una gittata fino a 500 chilometri, oppure trasportate dai caccia russi. Secondo una nostra fonte all’interno degli apparati di Difesa degli Stati Uniti la questione non è più «Se userà l’arma atomica tattica», ma «Quando e dove lo farà». Qui gli indizi puntano sull’area vicino alla città di Odessa. Del tema ha parlato l’ex generale David Petraeus, già capo della Cia, che in una intervista ad Abc rispondendo ad una domanda su cosa accadrebbe se Putin usasse l’arma nucleare, ha detto: «Solo per darvi un’ipotesi, risponderemmo guidando uno sforzo della Nato - che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero». Ma secondo Petraeus: «deve esserci una risposta, ma non necessariamente nucleare contro nucleare, per evitare appunto una escalation nucleare». Anche l’intelligence ucraina teme l’attacco nucleare e nel nel Paese si diffondono via social prontuari di emergenza che dicono: «Procuratevi un ricevitore radio perché potrebbe essere l’unico modo per rimanere in contatto. Attendete messaggi ufficiali e seguite le istruzioni senza farvi prendere dal panico. Avete non più di 15 minuti dall’impatto per cercare un rifugio sotterraneo come una stazione della metro o un parcheggio. Nel caso non possiate scendere in un rifugio salite al decimo piano di un edificio e cercate una stanza isolata, possibilmente un bagno. Procuratevi una valigia con tutti i beni necessari, come acqua, cibo in scatola, torce, vestiti, radio e un kit di primo soccorso con pasticche allo iodio» Persino la Nato non nasconde più le sue preoccupazioni suo possibile utilizzo da parte di Mosca delle armi nucleari tattiche tanto che il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ne ha parlato in un’intervista alla Nbc nella quale ha detto che: «Qualsiasi uso di armi nucleari avrà conseguenze serie per la Russia». Gli scenari possibili in seguito a un attacco nucleare russo possono riassumersi in tre ipotesi. La prima vedrebbe una risposta convenzionale di Kiev, su indicazione Nato, a obiettivi in territorio russo: magari, gli stessi da cui sono partiti gli ordini atomici. La seconda, una risposta convenzionale direttamente per mano della Nato, che tuttavia aprirebbe a una guerra termonucleare. La terza ipotesi, la peggiore ma la meno probabile, vede l’attacco nucleare da parte della Nato. Ma siamo davvero a un passo dalla catastrofe? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni occorre fare una premessa fondamentale: «Nessuno, a occidente come ad oriente, può avere certezze sulla gestione di un evento così drammatico e dei suoi esiti dal punto di vista politico, militare e sociale. Infatti, dalla scoperta dell’energia nucleare a oggi, non ci sono precedenti d’impiego di ordigni nucleari tattici, nonostante sia la Nato che il Patto di Varsavia li annoverassero nei loro rispettivi arsenali. Bisogna pertanto diffidare da chi manifesta eccessive sicurezze al riguardo ed essere molto cauti nel configurare scenari di risposta che sicuramente sono allo studio ma niente affatto scontati». Quindi vista la situazione parlare di una reazione dell’Alleanza atlantica come tale è azzardato? Secondo il generale Boni: «Non solo non sussisterebbero le basi giuridiche per un intervento, ma difficilmente si raggiungerebbe un consenso su questa ipotesi in quanto ogni forma di contatto diretto con le forze della Federazione Russa sotto bandiera Nato aprirebbe le porte a scenari davvero apocalittici. E non basterebbe giocare sull’equivoco della legittimità giuridica dei territori annessi da Mosca con il referendum per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale una risposta militare di tale livello dalle conseguenze imprevedibili. Ricordiamoci, in ogni caso, che la capacità nucleare della Nato è costituita dagli arsenali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che difficilmente esporrebbero i propri paesi alla possibilità di una rappresaglia nucleare di qualunque tipo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/attacco-atomico-la-nato-sarebbe-divisa-2658381125.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-farnesina-convoca-razov-referendum-farsa-ritiratevi" data-post-id="2658381125" data-published-at="1664835088" data-use-pagination="False"> La Farnesina convoca Razov: «Referendum farsa, ritiratevi» Richiesta di revoca dei risultati dei «referendum farsa» ed esortazione a ritirare le forze russe immediatamente, completamente e senza condizioni dal territorio ucraino. Queste le istanze avanzate dal segretario generale della Farnesina, Ettore Francesco Sequi, all’ambasciatore russo, Sergey Razov, convocato ieri al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Razov è ambasciatore in Italia da ben nove anni. La sua lunga permanenza sulle sponde del Tevere è la testimonianza di come sia riuscito a convincere il ministero degli Esteri di essere il «garante» perfetto di quel «rapporto speciale» che da decenni intercorre tra Mosca e Roma. Rapporto che l’Italia ha sempre curato attentamente, facendo spesso leva sull’intermediazione di Razov. Questa volta le richieste di Sequi hanno trovato una risposta dura da parte del rappresentante russo. Sequi che ha spiegato di aver convocato l’ambasciatore nel quadro di «un’azione coordinata con altri partner Ue per mandare a Mosca un segnale comune, fermo e inequivocabile», ha focalizzato l’attenzione sul voto tenuto nelle terre occupate dai russi, dal Donbass all’oblast di Kherson, alla regione di Zaporizhzhia, chiarendo che si tratta di «consultazioni che Mosca ha condotto in maniera illegale in violazione di ogni norma del diritto internazionale». Il segretario generale della Farnesina ha confermato la determinazione italiana ed europea ad «aumentare la pressione nei confronti della Federazione russa affinché cessi l’aggressione», ribadendo il sostegno dell’Italia alla piena sovranità, indipendenza ed integrità territoriale dell’Ucraina. Secondo Sequi «con le sue azioni la Russia mette gravemente a rischio la sicurezza globale»: questo il pensiero espresso a Razov, al quale sono state ricordate le azioni che l’Italia condanna: «L’attacco e l’invasione di un Paese sovrano, la minaccia di impiegare armi nucleari, la mobilitazione militare su larga scala e i tentativi di presentare falsamente il territorio ucraino come appartenente alla Russia minano l’ordine internazionale basato su regole e sono una palese violazione dei principi della Carta dell’Onu e del diritto internazionale», ha affermato Sequi, ribadendo che l’Italia «continuerà a fornire un forte sostegno all’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario». Di fronte alle contestazioni, Razov «ha respinto categoricamente le dichiarazioni della parte italiana e ha esposto le sue posizioni in merito alle questioni che sono state toccate, nello spirito di quanto disposto dal discorso del presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, nella Sala di San Giorgio del Gran Palazzo del Cremlino il 30 settembre». Non c’è spazio nel quale inserirsi rispetto alla strategia delineata da Putin, ha insomma chiarito l’ambasciatore russo. Con Razov, invece, non è stato affrontato il tema del sabotaggio al Nord stream. Intanto anche Berlino si è mossa sulla stessa linea italiana e l’ambasciatore russo in Germania, Sergey Nechayev, è stato convocato presso il ministero degli Esteri tedesco.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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