Secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza (Acn) è l'industria manifatturiera del nostro Paese a essere il principale bersaglio delle cybergang. Non va meglio per le pubbliche amministrazioni locali: dopo Francia, Germania e Gran Bretagna, l'Italia è il più colpito in Europa.
Secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza (Acn) è l'industria manifatturiera del nostro Paese a essere il principale bersaglio delle cybergang. Non va meglio per le pubbliche amministrazioni locali: dopo Francia, Germania e Gran Bretagna, l'Italia è il più colpito in Europa. Il Computer Security Incident Response Team (Csirt) dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha pubblicato un nuovo rapporto mensile sui rischi e le minacce digitali del nostro Paese. Il rapporto di novembre fornisce un quadro della situazione nazionale. Segnala un aumento di incidenti rispetto a ottobre con un conseguente incremento delle vittime, ma soprattutto spiega come da un punto di vista geografico, le zone più interessate dal fenomeno risultano essere i grandi distretti industriali del Nord Italia. E questo è dovuto soprattutto a fatto che in questa zona c’è una maggiore presenza di imprese operanti nel settore manifatturiero. Ma il problema non sono solo i privati. I settori più colpiti sono le pubbliche amministrazioni locali, ma anche università e centri di ricerca. L’aumento nel settore Pubblica Amministrazione locale è stato determinato principalmente dagli attacchi condotti ai danni dei siti web di diversi piccoli comuni, rivendicati dal collettivo hacker Nofawkx-al. Il gruppo è noto per aver portato avanti, in passato, una serie di attacchi per veicolare messaggi a sostegno di cause politiche come quella legata all’indipendenza del Kosovo. Per di più mese di novembre sono ripresi gli attacchi DDoS nei confronti dei soggetti italiani condotti da gruppi hacktivisti filorussi, dopo un’interruzione di circa cinque mesi. Questi attacchi hanno colpito diverse società del settore dei trasporti con impatti limitati. Nello stesso periodo anche la Svezia ha subito un’intensificazione dei DDoS, ad opera dei medesimi gruppi, avviati a seguito della sua adesione alla Nato avvenuta a marzo. Di rilievo anche quanto accaduto nella Corea del Sud, oggetto di una serie di attacchi DDoS da parte di NoName057(16) innescati dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri e del Presidente della Repubblica di Corea riguardanti la possibilità di fornire armamenti all’Ucraina. Le offensive hanno colpito siti governativi, enti finanziari e istituzioni pubbliche, determinando impatti sull’operatività dei servizi. I gruppi più attivi a livello globale per numero di rivendicazioni sono stati NoName057(16) e CyberArmyofRussia_Reborn. I gruppi più attivi per numero di rivendicazioni Ransomware sono stati DragonForce e HuntersInternational. «La piaga del ransomware continua ad affliggere tutte le economie avanzate e anche il nostro paese, quarto in Europa, dopo Gran Bretagna, Francia e Germania, per numero di attacchi» spiega in una nota l'Acn. Spesso le realtà colpite non denunciano e stimare la percentuale di vittime che concordano il pagamento del riscatto è difficile. Ciononostante, secondo l’analisi condotta da Enisa ( Agenzia dell'Unione europea per la cibersicurezza) e contenuta nel report “Threat Landscape for Ransomware Attacks” pubblicato nel 2022, circa il 62% delle vittime avrebbe negoziato con gli attaccanti per la corresponsione del riscatto. Non bisogna poi dimenticare come ci sia stata anche un evoluzione delle strategie offensive e delle tecniche di attacco che hanno portato ad una riorganizzazione dell’ecosistema criminale, sostenuto dalla progressiva specializzazione degli attaccanti e da una loro ristrutturazione in ransomware gang. Va ricordato come il ransomware sia una tipologia di minaccia che ha lo scopo di cifrare i dati del soggetto colpito in modo da comprometterne la disponibilità, integrità e riservatezza. I criminal hacker hanno perfezionato le metodologie di raccolta informativa e profilazione dei bersagli. Queste attività, denominate “Big Game Hunting” (Bgh),consentono alle ‘ransomware gang’ di selezionare gli obiettivi in base al loro potenziale economico e alla loro presumibile capacità di corrispondere riscatti significativi , calibrando così le richieste estorsive in funzione della solidità finanziaria dell'obiettivo. Secondo il “Incident Response Report 2024”8 di Palo Alto Networks, nel 2023 il valore stimato dei riscatti richiesti è aumentato di circa il 7% rispetto al 2022 mentre nel 2023 il valore del riscatto effettivamente pagato equivale in termini di valore mediano a circa il 34% del valore originariamente richiesto nello stesso anno da parte degli attori criminali.Il rapporto contiene anche un’analisi della minaccia in Italia, e offre una sintetica evidenza della sua distribuzione temporale e geografica, oltre che dei settori colpiti più frequentemente. Lo scopo del ransomware è quello di richiedere alla vittima un riscatto in cryptovalute per riottenere l’accesso ai propri dati comunicandolo attraverso una ransom note. In alcuni casi i dati, prima di essere cifrati, vengono esfiltrati in modo da offrire all’attaccante uno strumento in più di ricatto nei confronti della vittima. Un primo esempio di attacco ransomware viene fatto risalire al 1989, quando 20.000 floppy disks contenenti il malware “PC Cyborg” vennero distribuiti ai partecipanti della conferenza organizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’Aids, cifrando le informazioni presenti sui sistemi vittima e richiedendo il pagamento di un riscatto. Per questo motivo, l’attacco è noto come “AIDS Trojan”.La nascita di criptovalute, come Bitcoin nel 2008 e Monero nel 2014, ha introdotto un’infrastruttura finanziaria che garantiva agli attaccanti maggiore segretezza e costi di transizione significativamente più bassi. Purtroppo lo sviluppo delle criptovalute ha permesso la crescita del fenomeno e lo sviluppo di campagne ransomware di massa quali Wannacry, responsabile nel 2017 dell’infezione di oltre 200.000 computer in 150 paesi, e NotPetya, responsabile nello stesso anno dell’attacco contro oltre 2.000 organizzazioni, di cui la maggior parte in Ucraina.
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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