2025-03-23
Assolta altra «vittima» di Amara: «Il fatto non sussiste»
Per la Corte d’Appello di Roma Nicola Russo, ex magistrato del Consiglio di Stato accusato dal faccendiere, non ha pilotato sentenze.Si è sgretolato un altro castello di sabbia costruito da Piero Amara, l’ex avvocato che con le sue propalazioni è riuscito a portare per mano più di un inquirente ma che, come è già accaduto molte volte, non ha retto alla prova del giudizio.Il 10 marzo scorso la Corte di Appello di Roma, quarta sezione penale, ha assolto per la seconda volta Nicola Russo, ex magistrato del Consiglio di Stato accusato di aver pilotato alcune sentenze, con la formula «perché il fatto non sussiste». E, così, le accuse che avevano prodotto un capo d’imputazione per «corruzione in atti giudiziari» si sono dissolte di colpo, portandosi dietro le dichiarazioni di Amara che aveva cercato di vendere la sua versione dei fatti come una delle tante rivelazioni che avrebbero scosso il sistema, confortato dall’ex sodale ed ex collega di studio, l’avvocato Giuseppe Calafiore.Un copione già visto: dichiarazioni sparate nel ventilatore giudiziario, in cerca di qualcuno disposto a crederci. Entrambi, infatti, avevano accusato Russo di aver incassato denaro per emettere sentenze favorevoli a noti gruppi imprenditoriali per contenziosi milionari. La seconda assoluzione arriva dopo che la Corte di cassazione aveva annullato la prima, emessa il 24 aprile 2023, a causa di un difetto di motivazione, rinviando la decisione a un’altra sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio. Pur cambiando, per decisione della Suprema corte, i giudici chiamati a valutare in Appello le accuse di Amara, il giudizio di totale inattendibilità del «collaboratore» non è cambiato. Segno evidente che di vera collaborazione non si è trattato.La prima Procura che ha concesso credibilità ai due avvocati siciliani, trasformati in gole profonde, è stata quella di Roma (all’epoca diretta da Giuseppe Pignatone), che ha fornito ad Amara una sorta di patente da collaboratore a 24 carati. Il riconoscimento di questa affidabilità ha accreditato Amara anche con la Procura di Milano (allora guidata da Francesco Greco) per le altrettanto inattendibili dichiarazioni rese contro il presidente di Eni Claudio Descalzi e sulla cosiddetta Loggia Ungheria. Amara nel frattempo, con il sistema giudiziario che si affannava a inseguire le sue rivelazioni, ha giovato di una serie di benefici premiali. Tanto da patteggiare con la Procura di Roma la pena per nove imputazioni di corruzione in atti giudiziari, una di corruzione propria, una di associazione a delinquere, 14 di emissioni di fatture inesistenti e undici di dichiarazione fraudolenta, per un totale di ben 36 reati contestati, a soli 3 anni di reclusione.Uno sconto degno di una svendita di fine stagione. Al quale si è aggiunto il patteggiamento, sempre con la Procura di Roma, per la bancarotta della società P&G srl (una bancarotta patrimoniale monstre da oltre 1 milione di euro) a 6 mesi, in assenza di sequestri o confische. In primo grado, il tribunale di Roma, nel settembre 2020, aveva condannato Russo (che l’anno precedente era finito perfino ai domiciliari) a 11 anni di reclusione. In Appello, invece, le dichiarazioni accusatorie, sono state valutate «negativamente» sia «in relazione al contenuto oggettivo del relativo narrato» nonché «alla forza logica dei riscontri esterni valorizzati in primo grado a sostegno e conferma delle propalazioni». Tradotto: il teorema faceva acqua da tutte le parti.Della presunta collaborazione di Amara restano, quindi, i benefici giudiziari dei quali ha goduto il presunto «pentito», oltre al denaro ricavato dai reati e reinvestito in attività all’estero, tra queste uno stabilimento petrolchimico in Iran, finanziato con i soldi soffiati all’Eni. Una parabola perfetta: da grande accusatore a grande beneficiato. E, ancora una volta, nessun pm è stato chiamato a pagare per i propri errori e le vite rovinate dalle accuse di questo collaboratore coccolato per mesi dai magistrati e a cui era stato evitato il carcere con queste parole, scritte da un noto magistrato: «Chiedere adesso la misura per bancarotta significa uscire dal perimetro dell’accordo originario […]». Ovvero, un patto siglato con un bugiardo. Ma la Procura aveva una precisa priorità: «Ricordiamoci che dobbiamo affrontare un dibattimento con Amara teste di accusa […]. In questo contesto una misura cautelare per Amara mi sembra un atto che ci indebolirebbe».Anche per questo motivo l’ex avvocato ha potuto spargere fandonie per molto altro tempo.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)