
Per cambiare qualcosa nel nostro imbalsamato Paese occorre tornare a frequentare la gente della strada, rifuggendo le fantasiose categorie di sinistra che mirano solo a decostruire la società, a partire dalla famiglia.Come fare a cambiare qualcosa in un Paese con un parlamento già morto e imbalsamato per legge? Per giunta in un sistema irrigidito e inamovibile di potentati comunque saldamente insediati nelle massime istituzioni del Paese, come hanno notato anche commentatori molto diversi tra loro, da Angelo Panebianco sul Corriere della sera a Martino Cervo e Marcello Veneziani su La Verità? A uno sguardo tranquillamente selvatico, nel senso di vicino alla vitalità della natura (che oltretutto torna ad essere vista ed amata), parrebbe che la prima mossa consista nello stare alla larga dalle categorie che la stessa cupola propone ogni giorno: dal fascismo/antifascismo a odio/accoglienza, paura/serenità e via vagheggiando da un concetto all'altro, tutti rigorosamente astratti, mai verificati nella realtà. Per non parlare poi delle mitomanie dei leader autonominati tali, e dei loro «sotto», vice, aspiranti, sostituti. Labirinti senza sbocco, coi loro specchi deformanti, come quelli dei giostrai di una volta, che tuttavia appaiono seri e affidabili professionisti se confrontati coi «giuseppi» di adesso.Rimarrà comunque prezioso il lavoro-base, la battaglia elettorale, regione dopo regione e voto dopo voto. Chi lo farà (come finora, stoicamente, Matteo Salvini) va considerato un eroe, perché è un faticoso remare contro l'instancabile politica della panna montata, presentata come buona e attraente, e pesantissima da digerire. L'ascolto attento dei territori, infatti, non è una montatura mediatica ma un lavoro solido, indispensabile per lasciar parlare il paese e mostrarne il vero volto, visto che nelle «democrazie totalitarie» (come la nostra) si usa (pericolosamente) rimandare il più possibile le elezioni nazionali, anche quando è chiarissimo che il Paese ha cambiato completamente idea. Come, appunto, accade in Italia dove quello che due anni fa era il primo partito oggi è ridotto a un decimo di ciò che fu, ma i parlamentari rimangono su. Prima o poi le elezioni, comunque, arriveranno e bisogna arrivarci né con la cupola né con i dignitari bolliti dei partiti ma con la gente della strada. Per farlo però occorre allora lasciare al progressismo vaneggiante il dibattito isterico, con le sue smorfie da emoticon al posto di sentimenti e conoscenze autentiche, e riprendere le vecchie categorie-base della politica, tipo: libertà/oppressione, sovranità/colonialismo, democrazia/autoritarismo, lavoro/disoccupazione, sicurezza/rischio, proprietà/esproprio. Cose vere, non soap opere da cervelli e social in crisi di idee e sradicati dal mondo. I «progressisti» non vogliono parlare delle cose reali perché da tempo non sanno più che pesci pigliare (sardine a parte: per quelle metti la rete e loro ci vanno, ma non è un granché). Non accade solo in Italia: in Inghilterra questo fuoritempismo ha portato alla disfatta dei laburisti e di Jeremy Corbyn che ha fatto la figura del matto, con costernazione dei militanti più fedeli. Il fatto è che il marxismo è morto da almeno trent'anni (la caduta dell'Urss), e il comunismo in tutto il mondo è praticato solo da dittature feroci. A volte intelligenti e pericolose, come in Cina, spesso feroci e basta, come in Sud America, ma mai attraenti. Senza una visione del mondo e programmi d'azione da essa ispirati, il progressismo delle vecchie sinistre ha finito col dedicarsi alla «decostruzione», lo smontaggio della realtà esistente che da sempre attrae le società decadenti.La pratica preferita diventa allora la character assassination, la diffamazione e produzione di odio verso il «capro espiatorio», la vittima designata per fregare gli avversari, come accaduto in Italia negli anni passati con Silvio Berlusconi, e oggi con la mostrificazione di Matteo Salvini. Sul piano programmatico poi le iniziative decostruttive demoliscono ciò che c'è e funziona. Innanzitutto lo stesso corpo della società, attraverso una politica di immigrazione dequalificata e incontrollata, abbandonata alle mani delle mafie sia nel trasporto che all'arrivo, e lasciata poi operare in attività altamente distruttive verso la popolazione come lo spaccio, di cui una serie di norme garantiste (più volte denunciate dalle forze di polizia) impedisce poi la punizione. Anche il diritto viene fatto a pezzi, come quando Nicola Zingaretti riserva il 10% degli alloggi popolari a chi li occupa illegalmente.La decostruzione dell'esistente (il dissolvimento della società) si realizza poi demolendo direttamente le strutture dove si forma l'affettività. A partire dalla famiglia: Bibbiano è solo l'ultimo esempio della politica anaffettiva perseguita da decenni su tutto il territorio nazionale. Dunque bambini allo Stato dall'asilo in poi: programma Bonaccini. Si continua poi con costumi, linguaggio e sessualità, stili di vita e libertà di espressione (che viene ridotta e manipolata). Si tratta di campi ormai codificati e delegati alle normative e iniziative Lgbt, e gradualmente integrati in pratiche, norme e leggi confusive, repressive e devastanti, in particolare verso i minori. Reagire con programmi autentici e reali alla demolizione di un'intera società tocca quindi ai conservatori, cioè a quelli che si impegnano a rafforzare e far crescere ciò che vive, invece di indebolirlo e distruggerlo. È il loro compito, da dovunque essi provengano sinistra, destra o centro (termini oggi non più così significativi). In Inghilterra, tradizionale potenza marinara, ciò ha significato recuperare la sovranità nazionale uscendo dalle maglie strette dell'Ue. In Italia e altrove potrebbe forse significare invece impegnarsi con determinazione a cambiare quest'Europa. Un aspetto però è comunque visibile già oggi, e non può essere abbandonato: la valorizzazione dei diversi territori, culture, e tradizioni del Paese, base dell'esistente. In Italia i conservatori (Lega in prima fila) sono impegnati nella difesa delle Regioni e della loro autonomia, con l'opposizione dei 5 stelle e degli aspetti più ritardatari e burocratizzati del Pd. In Inghilterra Boris Johnson (che i nostri giornali descrivevano impegnato a reprimere le diverse culture) ha tenuto qualche giorno fa in tv un «Discorso al Paese» in cui ha spiegato che il suo governo farà della Gran Bretagna il «Regno Unito di quattro Nazioni: Galles, Inghilterra, Scozia e Irlanda del nord». Un progetto su cui è impegnato da tempo, come richiesto dalla trasformazione attuale degli Stati, già nota a chi non sia ideologicamente fermo alla forma «unitaria» imposta nell'800 (prima era già così, da sempre). Gli Stati più vivaci e vitali sono fatti da culture, terre, tradizioni, storie, vocazioni diverse, e non c'è ragione al mondo di non valorizzarle, alleggerendo così tutti dal peso e costo di amministrazioni elefantiache, lontane dai territori. Realismo, autonomie, alleggerimento burocratico e mobilitazione delle risorse più profonde: quelle delle ricche diversità che ci sono già nel Paese. Una politica delle cose e delle persone, altrimenti dimenticate da un parlamento mummificato.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





