2020-08-02
Arrivano le liste di proscrizione Lgbt: «Con questi omofobi non si discute»
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
Alla vigilia dell'inizio dei lavori in Aula i paladini del ddl Zan alzano il livello dello scontro. Gabriele Piazzoni (Arcigay): «Nessun dialogo con gli oppositori». E il dem che firma il testo fa i nomi: Simone Pillon, Massimo Gandolfini, Matteo Salvini e Giorgia Meloni.Il ddl Zan inizierà il suo iter alla Camera, lo sappiamo, solo domani. Eppure già c'è chi fa le prove generali di imbavagliamento mostrando quanto la cultura Lgbt, che tanto ama accreditarsi come dialogante, nei fatti sia allergica a ogni confronto con chicchessia. Prova di tale intolleranza la si è avuta grazie alla disinvoltura con cui, nelle scorse ore, esponenti di prima piano della galassia arcobaleno hanno inappellabilmente bollato alcuni come «omofobi», rafforzando così tutti i timori sulla portata liberticida del ddl Zan.Un esempio è quello di Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, il quale, intervistato su Gay.it a proposito dei 40 anni dell'associazione da lui guidata, si è lasciato andare a considerazioni sulla norma contro l'omotransfobia ben poco tranquillizzanti. Infatti, da un lato Piazzoni ha ripetuto il solito ritornello rassicurante secondo cui la libertà di opinione non viene «mai messa in discussione da questa legge», ma, dall'altro, si è contraddetto sottolineando che «non ci possono essere compromessi con chi questa legge semplicemente non la vuole».Per evitare fraintendimenti, il segretario di Arcigay è stato ancora più esplicito, aggiungendo che, «per dirla in parole semplici, non si può discutere con gli omofobi i contenuti di una legge contro l'omofobia». Avete letto bene: il massimo esponente di un'associazione Lgbt che vanta un esercito di 33.000 iscritti e oltre 70 sedi territoriali - e che quindi è il primo sponsor del ddl Zan -, ha rimarcato l'impossibilità di «discutere con gli omofobi», senza nemmeno scomodarsi, ça va sans dire, e chiarire in che cosa poi consisterebbe l'omofobia degli oppositori a tale iniziativa legislativa. Ora, anche sorvolando sulla perenne indeterminatezza del termine omofobia - destinato, se passasse la legge Zan, a pendere come una spada di Damocle sui promotori della famiglia naturale - è un po' difficile, con tutto il rispetto, accettare rassicurazioni sulla libertà di opinione da chi classifica come persone «con cui non si può discutere» chi la pensa in modo diverso. Certo, si può sempre ipotizzare che Piazzoni si sia espresso in modo infelice, facendo trasparire istanze intolleranti che in verità non gli appartengono.Sfortunatamente, però, a confermare la smania di una parte del mondo omosessuale - quella più aggressiva e politicizzata - di applicare il bavaglio ai dissidenti, ci ha pensato lui, Alessandro Zan in persona, il fautore della legge che porta il suo nome. Il riferimento, qui, è a quanto detto nelle scorse ore dal deputato dem in seno al Padova pride village, dove è intervenuto insieme a Monica Cirinnà e al giurista Angelo Schillaci per ricordare che «la libertà di opinione è un principio sacrosanto sancito dalla Costituzione». Già, peccato che poco dopo l'onorevole abbia scandito poco signorilmente i nomi dei critici del suo ddl, «Pillon, Gandolfini, Salvini e Meloni» - elencati a mo' di lista di proscrizione -, tacciandoli tutti quanti di omofobia. All'indirizzo di costoro e di quanti ne sposano i medesimi valori, Zan ha difatti sostenuto che «questi personaggi politici sono dei vigliacchi, perché non hanno il coraggio di dire “noi siamo omofobi e vogliamo cancellare questa legge". Spostano l'attenzione su un altro focus, senza avere il coraggio di dire esattamente quello che sono». Anche qui parole durissime come, anzi più di quelle di Piazzoni; e, come quelle del segretario di Arcigay, parole che tirano in ballo l'omofobia senza però definirla minimamente. Affermare che il matrimonio è un istituto naturale fondato sull'unione tra un uomo e una donna è omofobico? Rammentare che nasciamo maschi o femmine e siamo, in ragione di tale dimorfismo - e non già perché ingabbiati in stereotipi -, orientati ad attitudini e ruoli ben distinti tra i sessi significa discriminare? C'è qualcosa di male nel considerare inaccettabile rifilare a dei bambini favolette Lgbt dove i personaggi «cambiano sesso» con nonchalance? Denunciare l'utero in affitto come un crimine abominevole, che umilia la dignità della donna e mercifica i neonati riducendoli a oggetto di compravendita, costituisce per caso una manifestazione di odio? Ecco, se davvero ritiene che «la libertà di opinione» sia «un principio sacrosanto», Zan avrebbe potuto chiarire uno, almeno uno di questi interrogativi, dato che è proponente di una legge con riflessi penali, peraltro seri. Invece, come abbiamo visto, ha preferito divagare alla grande, accusando i critici della sua norma di essere «omofobi» e di voler deviare «l'attenzione su un altro focus, senza avere il coraggio di dire esattamente quello che sono». Anche se qui, a ben vedere, a spostare «l'attenzione su un altro focus» sono proprio esponenti Lgbt come Piazzoni e Zan, i quali pretendono che la gente li stia a sentire quando negano di voler introdurre un bavaglio anche, se nel farlo, elencano i nomi dei presunti «omofobi» e li additano al pubblico ludibrio, chiarendo che con loro «non si può discutere». Decenza, questa sconosciuta.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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