2018-06-14
Arresti per lo stadio della Roma. La giunta Raggi adesso traballa
In custodia 9 persone, fra cui il palazzinaro Luca Parnasi e Paolo Ferrara, capogruppo M5s in Campidoglio. L'accusa è associazione a delinquere con finalità di corruzione. I giallorossi: «Società estranea».La Lega trema per 3 milioni dal Lussemburgo. Segnalazione di Bankitalia. I pm di Genova chiedono una rogatoria per stabilire se sia il «tesoro» di Francesco Belsito.Lo speciale contiene due articoli.Al centro c'è il tanto silenzioso quanto chiacchierato avvocato Luca Lanzalone, genovese noto in terra ligure con il soprannome «Americano», perché da procuratore legale volò a New York per completare il tirocinio, e nell'inchiesta ribattezzato mister Wolf, il risolutore di problemi del film Pulp fiction. I grillini romani vicini all'ex assessore all'Ambiente del Campidoglio, Paola Muraro, l'avevano guardato con diffidenza sin dal giorno dell'incarico ricevuto dalla sindaca Virginia Raggi: sedere al tavolo delle trattative per la costruzione del nuovo stadio della Roma. E ora che sono scattate le manette, apriti cielo. Eppure l'ultima inchiesta romana sembra raccontare il solito cliché, vecchio come il cucco, delle indagini sui palazzinari: soldi in contanti, assunzioni e consulenze come mazzette. Raccontata così potrebbe essere una storia da ambientare a Roma in un'epoca qualsiasi. Se non fosse che il focus è sulle tangenti mosse per costruire il nuovo stadio dell'As Roma. «Una corruzione sistemica e pulviscolare», la definisce la Procura capitolina che, ieri mattina, ha ottenuto dal gip l'ok per privare della libertà nove persone. I carabinieri del nucleo investigativo sono andati da sei indagati con l'ordinanza di custodia cautelare in carcere e poco dopo hanno notificato altri tre provvedimenti giudiziari di arresti domiciliari. Si tratta del vicepresidente del consiglio regionale del Lazio, Adriano Palozzi, coordinatore di Forza Italia nella provincia di Roma (ai domiciliari), l'imprenditore del settore del mattone Luca Parnasi (in carcere), il presidente di Acea e consulente del M5s Lanzalone (ai domiciliari), l'ex assessore regionale Michele Civita del Pd (ai domiciliari). Gli indagati sono in tutto 27 ma alcuni nomi sono ancora coperti da segreto. Di certo ci sono anche il capogruppo pentastellato in consiglio comunale, Paolo Ferrara; il consigliere comunale di Forza Italia Davide Bordoni e il presidente dell'ordine degli avvocati romani Mauro Vaglio (candidato non eletto dai pentastellati alle politiche). È considerato un uomo vicino a Luigi Di Maio. Nelle intercettazioni viene descritto così da un collaboratore di Parnasi: «Questo Mauro non mi piace. Ho già fotografato che non è uno di qualità!». Ma Parnasi lo riprende: «No, però è uno vicino ai Cinque stelle. Quindi va da sé...». L'imprenditore appare come uno che sa come muoversi agevolmente negli ambienti della politica, anche quella pentastellata.L'As Roma, invece, ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Ielo, è estranea. E infatti il direttore generale della società, Mauro Baldisoni, ieri mattina è caduto dal pero: «Non sappiamo ancora nulla». E James Pallotta, il presidente del club giallorosso intercettato indirettamente nell'inchiesta, ha ribadito che «la Roma non c'entra». In alcune telefonate si parla di Giovanni Malagò, che Parnasi definisce «un suo grande amico». E dell'immobiliarista Sergio Scarpellini (che aveva portato all'arresto di Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Virginia Raggi). Proprio dall'attività investigativa su Scarpellini si è sviluppata l'inchiesta legata alla modifica del primo progetto dello stadio, che prevedeva una riduzione delle cubature degli immobili extra. In quel momento gli interessi del costruttore Parnasi sono rimasti impressi sui nastri delle intercettazioni. «Io spenderò qualche soldo sulle elezioni, che poi (...) vedremo come vanno girati ufficialmente con i partiti politici eccetera. È importante, perché in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare», disse l'imprenditore titolare della Eurnova, la società che acquistò i terreni dell'ippodromo dalla società Sais a Tor di Valle, dove dovrebbe sorgere la nuova struttura. Ma la conversazione che fa da spartiacque tra il vecchio approccio dei palazzinari alla politica e quello del terzo millennio è quella in cui l'imprenditore spiega che l'investimento è «molto moderato rispetto al passato», quando spendeva ben altre cifre. «Manco te racconto però la sostanza», dice in una delle intercettazioni, «che la mia forza è quella che alzo il telefono (...)». E a telefono spunta la prima Repubblica. A proposito di un presidente del Consiglio di Stato l'avvocato Claudio Santini dice a Parnasi: «Era capo di gabinetto di Emilio Colombo, che aveva come capo della segreteria Giampaolo D'Andrea (ex sottosegretario di Stato e poi capo di gabinetto di Franceschini nel governo di Matteo Renzi, ndr)... capisci che...». L'interlocutore non lo lascia concludere e dice: «Hai fatto scopa». Parnasi avrebbe promesso a Lanzalone consulenze per 100.000 euro e garantito il suo aiuto nella ricerca di una casa e di uno studio a Roma. Prima dell'indicazione per il vertice della municipalizzata dell'energia era stato il consulente di fiducia pentastellato a portare avanti una mediazione, con l'amministrazione Raggi e lo stesso Parnasi, che aveva fatto sbloccare il progetto. Per la Regione, invece, il consulente che si occupò della questione Michele Civita, allora assessore all'Urbanistica, al quale il gruppo Parnasi aveva promesso l'assunzione del figlio. Alle trattative con l'imprenditore aveva partecipato anche Ferrara: secondo l'accusa avrebbe ricevuto da Parnasi un progetto per la riqualificazione del lungomare di Ostia. Per l'attuale vicepresidente del Consiglio Regionale, Palozzi, l'imprenditore avrebbe erogato fatture per operazioni inesistenti pari a 25.000 euro.Ma è su «Wolf» Lanzalone che sono puntati i riflettori. Parnasi, riferendosi a lui in una conversazione con Luigi Bisignani, quel Bisignani fra gli uomini più potenti d'Italia, dice: «È lui che ha risolto lo stadio». L'imprenditore si rivolge all'ex giornalista perché c'è un problema: Dagospia ha pubblicato un articolo su Lanzalone che loro ritengono sia da rettificare. «Mi ero intitolato», dice Parnasi, «la possibilità di dargli una mano. Troverai una persona con cui devi avere rapporti, perché se vuoi mediare alcune posizioni importanti...». Allora c'è «Wolf» Lanzalone, il risolutore di problemi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arresti-per-lo-stadio-della-roma-la-giunta-raggi-adesso-traballa-2577831480.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-lega-trema-per-3-milioni-dal-lussemburgo" data-post-id="2577831480" data-published-at="1757634268" data-use-pagination="False"> La Lega trema per 3 milioni dal Lussemburgo Una segnalazione arrivata subito dopo le elezioni del 4 marzo da una fiduciaria del Lussemburgo, recapitata a Banca d'Italia e, da lì, finita sul tavolo dei magistrati liguri che indagano sul caso del «tesoretto» scomparso della Lega. Da questi elementi ha ripreso vigore l'inchiesta della Procura di Genova, ancora a caccia dei 48 milioni di euro spariti nel nulla, per i quali il fondatore del partito, Umberto Bossi, è stato condannato la scorsa estate (in primo grado) insieme all'ex tesoriere del partito, Francesco Belsito. Ora i pubblici ministeri lavorano su un'ipotesi di riciclaggio e nel mirino sono finiti 3 milioni di euro recentemente trasferiti dal granducato lussemburghese alla Sparkasse di Bolzano. Nessun illecito, ma gli inquirenti vogliono capire se il denaro sia riferibile in qualche modo a persone vicino alla Lega, ipotizzando che la somma in questione possa essere una parte del tesoretto scomparso. Le indagini, che fino ad ora di quel denaro (finito speso secondo gli esponenti della Lega in attività politiche) avrebbero fatto riapparire solo 2 milioni di euro, sembravano ormai destinate all'archiviazione ed ecco che, invece, mercoledì mattina i militari della Guardia di Finanza e gli ispettori della Banca d'Italia avrebbero perquisito la sede centrale della Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano, su richiesta della Procura di Genova, mentre contemporaneamente i pubblici ministeri hanno aperto una rogatoria indirizzata al Lussemburgo, per poter conoscere i dettagli e gli spostamenti di quella somma, alla ricerca di una radice comune che darebbe la svolta all'indagine. Gli elementi a quanto pare sono tutti qui, tanto che gli inquirenti ancora non hanno iscritto nomi sul registro degli indagati e, negli ambienti investigativi, c'è anche chi ipotizza che potrebbe persino trattarsi di una «polpetta avvelenata», creata ad arte dopo il successo elettorale del partito di Matteo Salvini, per tentare di difendere interessi che la Lega al governo potrebbe minacciare. Secondo la segnalazione, comunque, i 3 milioni di euro, partiti da un istituto lussemburghese (il granducato è da qualche tempo nel mirino dei controlli europei sui trasferimenti) sarebbero arrivati alla Sparkasse di Bolzano. Niente di particolarmente sospetto, se non fosse che la Sparkasse era entrata già a suo tempo nelle indagini dei pubblici ministeri genovesi, come istituto in cui sarebbero stati depositati dalla Lega diversi milioni di euro, nel 2013. Secondo le ipotesi investigative, all'epoca, ad indicare la Sparkasse come istituto di riferimento sarebbero stati Domenico Aiello, avvocato di fiducia di Roberto Maroni, all'epoca presidente dell'Organismo di vigilanza della banca, e il suo collega Gerhard Brandstatter, presidente in quel periodo della Fondazione Sparkasse e nominato in seguito presidente della banca. Nessuno due risulta indagato o coinvolto nell'inchiesta a qualche titolo, tuttavia Aiello, tempo fa, in un'intervista aveva parlato di «un conto in Sparkasse» successivamente chiuso e «seguito dal trasferimento del residuo in Banca Intesa nel 2014». Il conto aveva avuto vita breve: aperto nell'estate del 2013 e chiuso all'inizio del 2014, aveva attirato su di sé l'attenzione. Da qui l'interesse particolare degli investigatori per la banca di Bolzano. Nel passaggio dei 3 milioni di euro in sé stesso - registrato nei mesi scorsi - non c'è nulla di illegale. Ma dopo la condanna in primo grado inflitta a Umberto Bossi (a 2 anni e 6 mesi) e quella dell' l'ex tesoriere Belsito (a 4 anni e 10 mesi) per truffa ai danni del Parlamento per i rimborsi elettorali, l'idea dei pubblici ministeri è che che qualcuno abbia cercato di sottrarre alla giustizia quel denaro, ricavato da un reato. Se i 3 milioni di euro nel mirino degli investigatori risultassero fare parte di quel denaro scomparso, ecco che l'ipotesi sarebbe quella del riciclaggio. Finora non risultano nomi nel registro degli indagati. A quanto pare, però, nei giorni scorsi, oltre alla visita delle Fiamme Gialle nella sede principale di Sparkasse, perquisizioni sarebbero state condotte dai finanzieri anche a Milano e a Collecchio, in provincia di Parma. Alessia Pedrielli
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