2025-11-18
L’intesa bipartisan nella lotta agli stupri rende colpevoli fino a prova contraria
Si rischia una norma inapplicabile, con effetti paradossali sui rapporti sessuali ordinari e persino all’interno delle coppie.Grazie all’accordo «bipartisan» Meloni-Schlein è stato approvato in commissione giustizia della Camera, il 12 novembre scorso, il progetto di legge a firma dell’onorevole Laura Boldrini e altri, recante quello che, dopo la probabile approvazione definitiva in Aula, dovrebbe diventare il nuovo testo dell’articolo 609 bis del codice penale, in cui è previsto il reato di violenza sessuale. Esso si differenzia dal precedente essenzialmente per il fatto che viene a essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito nella vigente formulazione della norma), ma anche quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneCiò dà luogo a problemi interpretativi di non scarso rilievo. Appare, infatti, assai difficile immaginare come possa considerarsi dissenziente o non validamente consenziente, e pertanto vittima di reato, un soggetto che non sia stato sopposto ad alcuna violenza, minaccia, inganno e non si trovi in condizione di soggezione all’altrui autorità o in condizioni di inferiorità fisica o psichica.Due appaiono, quindi, le possibili ipotesi interpretative. La prima è che l’introduzione della nuova previsione di reato sia del tutto inutile e, pertanto, destinata, in pratica, alla disapplicazione, non potendosi parlare di mancato o invalido consenso quando non sussista alcuna delle condizioni ora menzionate. La seconda è che, volendosi ricercare un’autonoma sfera di applicabilità della nuova previsione, essa vada individuata immaginando che l’atto sessuale venga posto in essere a fronte di una puramente labiale manifestazione di dissenso, non seguita da alcuna forma di resistenza, se non, addirittura, a fronte di un atteggiamento che sia, fin dall’inizio, soltanto di muta passività. Ipotesi, queste, nelle quali, finora, sarebbe stato da ravvisarsi un tacito consenso con esclusione, quindi, della configurabilità del reato. In sostanza, verrebbe, in tal modo, ad assumere carattere di reato ogni atto sessuale che non fosse preceduto da un consenso formale ed espresso prestato dal partner. È molto probabile che tale seconda interpretazione sia proprio quella che, secondo gli autori del progetto di legge in questione, dovrebbe essere adottata, in adesione a quanto si afferma essere previsto dalla Convenzione di Istambul contro tutte le forme di violenza nei confronti delle donne, stipulata l’11 maggio 2011 e resa esecutiva in Italia con legge n. 77 del 2013. Il che, però, non sembra esatto. Se è vero, infatti, che tale Convenzione, all’articolo 36, prevede che debba costituire violenza sessuale ogni atto sessuale «non consensuale», è altrettanto vero che non viene poi chiarito in che cosa debba consistere la non consensualità, per cui è più che ragionevole pensare che essa si fondi sull’implicito presupposto che vi sia stata una qualche forma di costrizione o di illecito condizionamento tale da escludere o rendere invalido il consenso. Presupposto che è appunto quello esplicitato già nell’attuale formulazione dell’articolo 609 bis del codice penale. Già essa è, quindi, da ritenersi perfettamente attuativa della Convenzione, senza alcun bisogno dell’aggiunta che, con il progetto di legge in discorso, si vorrebbe introdurre e che, se interpretata nel modo anzidetto, darebbe luogo alla paradossale conseguenza per cui, escludendosi la validità del consenso tacito, sarebbero quasi sempre a rischio di illiceità i normali rapporti sessuali, ivi compresi quelli tra coniugi o tra soggetti stabilmente conviventi. Ma i paradossi non finiscono qui. La previsione, infatti, che il consenso, oltre che «libero» debba anche essere «attuale» importerebbe, secondo i primi commenti, che esso debba permanere per tutto il corso del rapporto sessuale. Ne deriva che commetterebbe reato anche il soggetto che non interrompesse immediatamente il rapporto al manifestarsi del sopravvenuto dissenso del partner. Il che, per la verità, si trova già affermato, sulla base della norma ancora vigente, in talune pronunce della Corte di cassazione. In esse, però, si dà per implicito presupposto quello che la prosecuzione del rapporto sia comunque effettuata in uno dei modi espressamente previsti perché il reato possa dirsi configurato: vale a dire mediante costrizione fisica o psichica ovvero mediante abuso di autorità o delle condizioni di inferiorità della persona offesa. Stando alla nuova formulazione, invece, la prosecuzione del rapporto in presenza di sopravvenuto dissenso verrebbe a costituire reato anche in mancanza di alcuna delle suddette condizioni. Il che appare contrario al più elementare buon senso, tanto più in quanto non sarebbe neppure richiesto che a sostegno del sopravvenuto dissenso venisse addotta una qualsivoglia motivazione. Chi volesse, quindi, nella vigenza di quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato, intraprendere la perigliosa via di un rapporto sessuale dovrebbe, per mettersi relativamente al sicuro, fare in modo che esso si svolgesse in presenza di testimoni (se possibile, meglio ancora, di un notaio) o fosse video e audio registrato dall’inizio alla fine, sì da poter documentare, a fronte di eventuali denunce, la presenza e la costante permanenza del consenso del partner. Infatti, anche un preventivo atto di consenso scritto non costituirebbe garanzia sufficiente, dal momento che anch’esso potrebbe essere, in corso d’opera, revocato verbalmente o «per facta concludentia». E prova di una tale revoca potrebbe essere anche la pura e semplice affermazione del partner, attesa la regola che, in materia penale, può costituire prova a carico dell’imputato anche la sola dichiarazione resa, in veste di testimone di sé stessa, dalla vera o presunta persona offesa. Può essere, tuttavia, divertente osservare, a questo punto, che, a stretto rigore, anche la donna potrebbe rischiare di essere incriminata per violenza sessuale. La norma, infatti, tanto nell’attuale quanto nell’eventuale, futura formulazione, prevede che il reato possa essere commesso da «chiunque» e, quindi, anche da una donna. E tale ipotesi potrebbe, ad esempio, verificarsi qualora l’uomo, volendo evitare di rendere incinta la donna, manifestasse, nel corso del rapporto, l’intento di praticare il «coitus interruptus» e la donna, in qualche modo, glielo impedisse, facendo sì che il rapporto proseguisse fino al suo totale compimento. Chissà cosa direbbero, in tal caso, la onorevole Boldrini e gli altri che, con lei, hanno sostenuto la nuova legge.
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