2018-07-05
Arrestato a Messina l’ex giudice Mineo che il Bullo voleva al Consiglio di Stato
Il magistrato del Cga siciliano Giuseppe Mineo s'impegnò ad aggiustare un maxi risarcimento di 115.000 euro a favore dell'ex governatore Raffaele Drago.Basta scorta a casa Boschi, resta a Maria Elena. Tolta la vigilanza fissa alla villa dove vivono genitori, fratello e cognata dell'ex ministra. Lo speciale contiene due articoli.Quando l'ex presidente del consiglio Matteo Renzi propose Giuseppe Mineo come giudice del Consiglio di Stato, ossia il massimo organo della giustizia amministrativa, si crearono non pochi imbarazzi. Quel giudice che secondo Renzi aveva, tranne che per l'età, tutte le carte in regola per ricoprire quell'incarico così delicato, in realtà si portava sulle spalle ben due nomine politiche da giudice dell'organo che nella Regione a statuto speciale ricopre le stesse funzioni del Consiglio di Stato, ossia il Consiglio di giustizia amministrativa siciliana, una delle quali targata Raffaele Lombardo (ex presidente della Regione). Poi si scoprì che era stato sanzionato per il ritardo con cui depositava le decisioni e la nomina saltò. Ora i magistrati di Messina, scoprendo che tentava di sovvertire le sentenze, hanno ampliato il suo curriculum. E Mineo, protagonista della seconda puntata dell'inchiesta che il 6 febbraio 2018 portò all'arresto di 15 persone, tra le quali gli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara (difensore anche dell'Eni), ieri è finito dietro le sbarre. L'accusa: «Corruzione in atti giudiziari». Delfino di Pietro Barcellona, che fu insigne giurista, filosofo e poi anche deputato comunista, Mineo è professore associato di diritto privato all'università di Catania. Nel 2010 approda al Consiglio di giustizia amministrativa siciliana e ne esce qualche mese fa, con la nomina che il Comune di Vittoria gli ha fatto a capo del nucleo di valutazione dei dirigenti dell'ente e delle performance dell'amministrazione. Avrebbe dovuto controllare la regolarità contabile e amministrativa del Comune. Funzioni che, però, secondo il gip di Messina, Maria Militello, lo rendono particolarmente esposto ad accordi corruttivi. Secondo la toga «ha mostrato di essere avvezzo a una particolare professionalità a delinquere, in spregio alla funzione ricoperta». E infatti le esigenze cautelari sono basate su questa valutazione: «Nulla potrebbe contenere la disinvoltura con la quale Mineo ha piegato la funzione giurisdizionale ad interessi privati». Ma cosa ha combinato di così grave il pupillo renziano da attirarsi bacchettate così pesanti da una collega? Mineo avrebbe chiesto una tangente di 115.000 euro da destinare all'ex governatore della Sicilia Raffaele Drago, che in quel periodo non viveva un buon momento e poi è deceduto: avrebbe dovuto affrontare di lì a poco un intervento in Malesia ed era stato condannato in via definitiva a tre anni per peculato perché si era appropriato dei fondi della presidenza senza rendicontarli. In particolare, secondo l'accusa, la corruzione sarebbe avvenuta per «determinare, nella qualità di giudice relatore, il collegio del Consiglio di giustizia amministrativa ad assumere contra legem decisioni favorevoli alle imprese Open land srl e Am group srl nell'ambito di contenziosi amministrativi con il Comune e la Sovrintendenza di Siracusa». Inoltre Mineo avrebbe rivelato informazioni riservate sui procedimenti facendosi così erogare su un conto a Malta, intestato ad Alessandro Ferraro, i 115.000 euro. Il secondo protagonista di questo capitolo dell'inchiesta è proprio Ferraro, finito ai domiciliari. Dai giudici viene indicato come «tramite tra malavita catanese e siracusana». Ma nella vita Ferraro è soprattutto noto per essere uno stretto collaboratore degli avvocati Calafiore e Amara, quest'ultimo, socio di Andrea Bacci, il ristrutturatore della casa dell'ex premier, in passato socio d'affari di babbo Tiziano Renzi.Sul conto maltese, tra il 16 maggio e il 29 luglio 2016, Ferraro riceve otto bonifici. La coincidenza inquietante è che proprio in quei giorni il governo Renzi indica Mineo per il posto al Consiglio di Stato. Era quella nomina, secondo l'accusa, il compenso per la sentenza da pilotare nel procedimento per il risarcimento che nel 2016 rischiò di mandare in default il Comune e la Sovrintendenza di Siracusa. Nel primo caso, l'oggetto del contenzioso era un permesso per demolire e poi ricostruire un centro commerciale. Nel secondo caso, invece, c'era il no alla Am group per la realizzazione di 71 villette a schiera nell'area a ridosso delle mura di Dionisio a Siracusa. Grazie agli interventi dei due azzeccagarbugli Calafiore e Amara, per valutare i vincoli archeologici, secondo l'accusa, i giudici nominarono come consulente tecnico un ingegnere aerospaziale. Con la perizia favorevole all'impresa il gioco era ormai fatto. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi. E il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa Claudio Zucchelli si mette di traverso. Con una email sostiene l'improcedibilità di entrambi i ricorsi. Il tentativo di sovrastimare il risarcimento del danno, quindi, fallisce. In più, secondo il gip, «la destinazione solidaristica delle somme per l'amico Drago» non salva Mineo. E non gli evita il carcere, per due motivi ben precisi: «L'elevato importo non era certo destinato tutto a coprire i costi della malattia e avrebbe potuto aiutare l'amico fraterno con un prestito invece di fare mercimonio dell'attività giurisdizionale ricoperta».Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arrestato-a-messina-lex-giudice-mineo-che-il-bullo-voleva-al-consiglio-di-stato-2583836771.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="basta-scorta-a-casa-boschi-resta-a-maria-elena" data-post-id="2583836771" data-published-at="1757694124" data-use-pagination="False"> Basta scorta a casa Boschi, resta a Maria Elena Villa Boschi a Laterina non è più Fort Knox. La casa rosada di tre piani, dove vivono i genitori dell'ex ministra Maria Elena, il fratello e la cognata, è tornata a essere l'abitazione di una famiglia quasi normale. La vigilanza fissa è stata abolita su decisione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Nel 2016 la Prefettura e la Questura avevano dichiarato area sensibile il cottage di famiglia dell'ex ministra a causa di una protesta di truffati di Banca Etruria che il 28 febbraio avevano deviato dal corteo regolarmente autorizzato ed erano andati a fare una chiassata davanti al bel casolare dove è cresciuta Maria Elena Boschi. La questione divenne un affare di Stato. Dal ministero dell'Interno in giù i responsabili della sicurezza sul territorio furono chiamati a rispondere per quell'intollerabile manifestazione. Per settimane ci fu un via vai di generaloni, come sottolineò l'allora questore, Enrico Moja, con La Verità. Il prefetto, per giustificare un innalzamento del livello di protezione, evidenziò la fibrillazione esistente sul territorio per le vicende di Etruria e la possibile iscrizione sul registro degli indagati del babbo per la bancarotta dell'istituto. In quel periodo Il questore propose un sistema di videosorveglianza e una nuova recinzione che sarebbero costati circa 100.000 euro. Ma alla fine si optò per una vigilanza fissa davanti alla casa e per una vigilanza dinamica dedicata in occasione della presenza del ministro a Laterina. Venne prevista anche un'ulteriore vigilanza generica radiocollegata (una pattuglia che passava a controllare) e un servizio di vigilanza a orari convenuti presso i luoghi occasionalmente e abitualmente frequentati dai familiari. Il 18 giugno scorso il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza ha deliberato di togliere la vigilanza fissa davanti all'abitazione con decorrenza dall'1 luglio. Permangono la vigilanza dinamica, quando la Boschi torna a casa, e la vigilanza generica quando lei è assente. Quest'ultimo è un servizio dedicato prettamente al padre, il quale nel 2016 era stato considerato a rischio per via delle vicissitudini giudiziarie e dell'attenzione mediatica intorno alla sua persona. Ad abbassare la tensione non è stato solo l'addio di Maria Elena agli incarichi governativi, ma anche la promessa del nuovo governo di risarcire gli sbancati di Etruria. Inoltre ad Arezzo la posizione processuale di Pier Luigi Boschi sembra essere migliorata: la Procura non ha chiesto il suo rinvio a giudizio nei vari procedimenti che lo coinvolgevano e questo lascia prevedere una prossima archiviazione. A protezione di Maria Elena, nonostante la sua esposizione sia molto inferiore a prima, resta una tutela di quarto livello, cioè una macchina con autista e un uomo di scorta. Giacomo Amadori