2024-05-28
Armi contro Mosca, la Nato scarica il capo
La boutade del norvegese crea malumori anche dentro l’Alleanza: la sua sortita viene definita «inusuale». Il trattato istitutivo è chiaro: non spetta a lui decidere la linea politica e l’unione non ha natura offensiva.Il segretario della Nato scaricato dalla Nato: uno spettacolo imbarazzante, che a Mosca si staranno gustando con i popcorn in mano e che, con quel pelino di «prudenza» in più invocata pure da Giorgia Meloni, si sarebbe potuto evitare.Jens Stoltenberg ha chiesto ai Paesi membri dell’Alleanza - soprattutto agli Stati Uniti - di lasciare che l’Ucraina usi le loro armi per colpire la Russia. L’improvvida uscita ha scatenato un coro di proteste, da Roma a Berlino fino a Madrid: tutti sono preoccupati che, all’escalation verbale, segua qualche pericoloso incidente sul terreno. Alla fine, la stessa organizzazione ha sentito il bisogno di gettare acqua sul fuoco: fonti diplomatiche del Patto atlantico, ieri, hanno definito «inusuale» la sortita del funzionario norvegese. «Il suo ruolo», hanno commentato dal quartier generale di Bruxelles, «non è quello di dare le linee guida agli alleati». Una pesante e finora inaudita sconfessione del capo politico della Nato, che in mattinata aveva già smorzato i toni: spetta alle singole nazioni, aveva ammesso, «decidere se togliere le restrizioni» sull’impiego dei missili.cosa prevede l’articolo 5Prima ancora delle considerazioni strategiche, bisogna tenere conto dei vincoli giuridici che limitano la Nato. Il cui trattato istitutivo chiarisce anzitutto quali siano gli scopi dell’unione: la «difesa collettiva» e la «salvaguardia della pace e della sicurezza». L’Alleanza, dunque, non ha una natura offensiva; non può sferrare un attacco contro una potenza ostile, nemmeno per interposti eserciti di Paesi terzi. Ecco perché Stoltenberg ha riconosciuto che le regole d’ingaggio sull’utilizzo del materiale bellico dipendono da chi lo ha fornito; ed ecco perché ha dovuto specificare che «il diritto all’autodifesa» dell’Ucraina «include il diritto di colpire obiettivi militari legittimi all’esterno dei confini». Il lancio degli Atacms sull’oblast di Belgorod, insomma, non sarebbe un attacco alla Russia, bensì un tentativo di schermare l’Ucraina dai raid nemici.L’ex contrammiraglio Massimo Annati, collaboratore di Rivista italiana difesa, conferma che aver consegnato alla resistenza degli equipaggiamenti, o consentire dei bombardamenti all’interno della Federazione, non ci trasforma in belligeranti. «Non ci compromette nemmeno la presenza di addestratori o consiglieri in Ucraina», che i francesi, si è appreso ieri, sono pronti a mandare. «Ma sarebbe diverso se spedissimo dei combattenti». Il segretario generale dell’Organizzazione nordatlantica ci ha tenuto a ribadirlo: «Non inviamo truppe Nato per prendere parte al conflitto né a terra, né nello spazio con aerei». Dopodiché, la palla passa al Cremlino: a Vladimir Putin non conviene il confronto totale con l’Occidente, ma a furia di reciproche provocazioni, si può perdere il controllo della situazione. Il verdetto ultimo su chi sia coinvolto nella guerra è politico, non tecnico. Tuttavia, anche sull’eventuale invio di soldati, è bene chiarirsi le idee. Un Paese Nato prende un’iniziativa del genere? Bene: se un russo spara sui suoi militari, poi quello Stato non può appigliarsi all’articolo 5 del trattato, che vincola ogni membro a intervenire in soccorso degli alleati. Il testo parla di «un attacco armato […] in Europa o nell’America settentrionale», quindi di un tentativo di invasione. L’articolo 6 aggiunge che «per attacco armato contro una o più delle parti si intende un attacco armato» pure «contro la forze, le navi o gli aeromobili di una delle parti», purché essi si trovino nel Vecchio continente, in Nordamerica, nel Mediterraneo, o «in qualsiasi altra regione d’Europa nella quale, alla data di entrata in vigore del presente trattato, siano stanziate forze di occupazione di una delle parti». E di certo, nel 1949 non c’erano eserciti occidentali a Kiev, all’epoca territorio Urss. La vera novità è quella annunciata da Stoltenberg all’Economist: la clausola di mutua assistenza potrebbe scattare per i cyberattacchi. Non servirebbero modifiche al trattato, benché esso citi solo l’attacco «armato». «La Nato non valuta il mezzo impiegato, bensì l’effetto dell’azione di guerra», spiega alla Verità Annati. «Un’offensiva hacker è equiparabile a qualunque altro strumento bellico e, se essa provoca danni ingenti, è legittimo valutare una reazione con armi convenzionali». «come un notaio»Ipotizziamo, ora, che gli uomini di Vladimir Putin riescano a sfondare e che l’Ucraina si ritrovi sull’orlo del tracollo. Uno scenario che le cancellerie europee e la Casa Bianca considerano inaccettabile. La Nato sarebbe autorizzata a intervenire? «Da solo, il segretario generale», prosegue l’esperto di Rid, «non è in grado di prendere questa decisione. Dovrebbe riunirsi il Comitato militare, i cui componenti sono espressione dei governi» e il cui presidente eletto è l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il quale s’insedierà a gennaio 2025. L’indirizzo politico dell’Organizzazione è invece appannaggio del Consiglio nordatlantico, formato da rappresentanti permanenti e all’uopo integrato dalla presenza di ministri degli Esteri, ministri della Difesa e capi di Stato.Visti i mal di pancia dei funzionari dell’Alleanza e gli autodafé di Stoltenberg, è dubbio che l’organizzazione e il suo attore protagonista, gli Usa, intendano spingersi tanto in là. Ieri, è trapelata la notizia che a Bruxelles starebbero pensando a una no fly zone sull’Ucraina occidentale. Vero o no, pare che lo smembramento della nazione aggredita sia un’ipotesi concreta in prospettiva dei negoziati: rinunciare alle zone occupate in cambio dell’integrazione euroatlantica di Kiev. Sull’esito delle trattative, l’ultima parola non dovrebbe spettare al segretario generale. «La sua funzione», conclude Annati, «è simile a quella di un notaio». Basta non finisca come con i «notai» del Quirinale…
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