2019-05-13
Nella corsa al nucleare i sauditi fanno passi da gigante
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La recente minaccia dell'Iran di uscire parzialmente dall'accordo sul nucleare può avere varie spiegazioni: potrebbe trattarsi dell'ultimo atto di un regime ormai al collasso, della reazione a pressioni interne o del tentativo di scardinare l'isolamento internazionale dovuto alle sanzioni statunitensi. L'annuncio della Repubblica islamica potrebbe essere inserito anche all'interno di un quadro più complesso: quello di una vera e propria strategia della deterrenza perseguita in seno allo scacchiere mediorientale.Il medio Oriente sta conoscendo ormai da tempo una vera e propria corsa al nucleare, che vede intervenire attori di primo piano: a partire da Russia e Stati Uniti.Innanzitutto non è esattamente chiaro quale sia la posizione di Mosca sulle ultime mosse annunciate dal presidente iraniano Hassan Rohani. In un primo momento, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, sembrava essersi mostrato piuttosto guardingo, dicendo di aspettarsi dei chiarimenti su questa svolta. Poche ore dopo, tuttavia, lo stesso Lavrov ha siglato un protocollo con Teheran sulla facilitazione dell'ottenimento dei visti, con l'obiettivo di rafforzare ulteriormente i legami tra i due Paesi. Segno di come allora, forse, Mosca non fosse poi così all'oscuro dei recenti progetti iraniani. Non è del resto un mistero che il ritiro degli Stati Uniti dal trattato sul nucleare abbia provocato un profondo avvicinamento geopolitico ed economico tra il Cremlino e la Repubblica islamica. E non sarà un caso che, lo scorso agosto, l'Iran abbia ripreso i colloqui con la Russia per costruire una nuova centrale nucleare in grado di generare fino a 3.000 megawatt di elettricità. D'altronde, l'interesse nucleare di Vladimir Putin si estende anche alle aree del Mar Rosso. Poche settimane fa, Russia ed Etiopia hanno siglato una roadmap triennale per stabilire una cooperazione per la costruzione di una centrale nucleare nello Stato africano. Non solo il Cremlino sta cercando quindi di rafforzare la propria presenza nucleare in Africa e Medio Oriente (la Russia fornisce, tra l'altro, reattori anche alla Turchia). Ma, più in generale, si assiste a una concorrenza sempre più serrata con gli Stati Uniti nella realizzazione di centrali proprio in quest'area.In un simile quadro, lo Zio Sam - almeno sino a oggi - ha perso non poco terreno. E proprio per questo Washington sta adesso cercando di incrementare l'esportazione di energia nucleare, sostenendo le sue aziende. In particolare, la Casa Bianca sta tentando di spingere i propri partner a non stringere accordi in materia con la Cina e - ovviamente - con la Russia. Del resto, per estendere la propria influenza nel settore nucleare, gli Stati Uniti devono ricorrere alla Sezione 123 dell'Atomic energy act del 1954: questo dispositivo stabilisce la necessità di un accordo di cooperazione come prerequisito per eventuali intese nucleari tra Washington e altri Stati. La norma riconosce dei criteri di non proliferazione che devono essere verificati dal Dipartimento di Stato americano, dopodiché il Congresso ha novanta giorni di tempo per rilevare eventuali irregolarità. In caso di mancata opposizione esplicita da parte del Campidoglio, l'accordo consegue forza di legge. Negli ultimi anni, lo Zio Sam ha firmato ex novo intese di questo tipo con gli Emirati Arabi Uniti (nel 2009) e con il Vietnam (nel 2014). Dal febbraio del 2018, è invece in discussione la stipulazione di un accordo con l'Arabia Saudita. Si tratta tuttavia di negoziati che stanno suscitando alcune polemiche. Stando a quanto riportato da Reuters, lo scorso marzo, il segretario all'Energia americano, Rick Perry, avrebbe approvato sei autorizzazioni segrete ad alcune aziende per vendere tecnologia e assistenza nucleari all'Arabia Saudita.Il Congresso non ha accolto troppo favorevolmente questa notizia: innanzitutto il Partito democratico ha chiesto all'amministrazione di conoscere i nomi delle società americane coinvolte. Inoltre, più in generale, svariati deputati statunitensi temono che la condivisione di tecnologia nucleare con la monarchia di Riad rischi di trasformare nuovamente il Medio Oriente in una pericolosissima polveriera. E anche se i sauditi hanno sempre sostenuto di voler sviluppare la propria capacità nucleare per scopi meramente energetici ed economici, qualche dubbio continua comunque ad essere nutrito. Anche perché è stato lo stesso principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ad aver detto - nel 2018 - che il regno avrebbe realizzato armi nucleari, nel caso in cui l'Iran (suo acerrimo rivale) lo avesse fatto. Tant'è che - almeno sino ad oggi - Riad si è rifiutata di accettare i paletti americani sull'arricchimento dell'uranio. In questo quadro già non poco complesso, non va dimenticato che - a inizio aprile - immagini satellitari di Google Earth abbiano mostrato che il primo reattore nucleare saudita, recentemente annunciato, sarebbe già in fase avanzata di costruzione. Nella fattispecie, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, dovrebbe essere completato al massimo entro un anno. Rispetto a tutto questo, la Casa Bianca sta assumendo un atteggiamento abbastanza ambivalente. Se - come abbiamo visto - Perry sembrerebbe fautore della linea morbida verso Riad, il segretario di Stato Mike Pompeo si è invece detto categoricamente contrario ad accettare che la petromonarchia possa realizzare armi nucleari (magari per minacciare Israele). Senza comunque dimenticare che - come recentemente riportato dal Carnagie middle east center - i sauditi potrebbero disporre già di armi nucleari grazie all'aiuto del Pakistan.Il punto è che l'iperattivismo nucleare saudita sta suscitando profonde preoccupazioni dalle parti di Teheran. L'Iran è infatti convinto che - nonostante le dichiarazioni di facciata - gli Stati Uniti stiano segretamente aiutando Riad a dotarsi dell'arma nucleare. La situazione si sta facendo quindi sempre più incandescente. E, in quest'ottica, è allora possibile che le recenti minacce di Rohani abbiano l'obiettivo di innescare una strategia di deterrenza in chiave anti-saudita.Per quanto burrascoso il contesto possa essere, non bisogna tuttavia credere che, nel gioco delle influenze internazionali in Medio Oriente, ci sia una rigida distinzione tra il blocco statunitense e quello russo. Non è infatti soltanto lo Zio Sam ad avere legami nucleari con Riad. Il regno ha intenzione di fabbricare due reattori commerciali. E, attualmente, i contractor in lizza sono aziende provenienti da Stati Uniti, Francia, Cina, Corea del Sud e Russia. Senza infine dimenticare che l'Arabia Saudita abbia firmato accordi con la China national nuclear corporation per l'esplorazione delle riserve di uranio nel proprio territorio. Mosca e Pechino stanno quindi cercando di inserirsi anche nella rete delle alleanze americane. E intanto la corsa al nucleare in Medio Oriente continua. Che la deterrenza possa portare finalmente stabilità nell'annoso caos locale, resta tuttavia ancora da dimostrare.