2024-08-20
L’appello antifascista del tedesco «Spiegel» è così paranoico che sembra fascista
La campagna del partito tedesco Alternative für Deutschland per le elezioni nel Brandeburgo (Ansa)
Il settimanale grida (ancora) al ritorno del pericolo bruno. Ma il tono è rabbioso e non ci aiuta a comprendere il presente.Der Spiegel si interroga nel suo ultimo numero (17 agosto 2024) sul fascismo: sta ritornando? E se sì, come e perché? Domanda ricorrente nella ex intellighenzia di sinistra, che avendo perso per sempre la capacità di leggere e capire Marx, Lenin, Lukács, Gramsci, si abbandona ai grandi interrogativi retorici sul futuro dell’umanità: come salvarla dalle fauci del Leviatano che si affaccia sulla scena del mondo? Fascismo no, antifascismo sì.Lothar Gorris e Tobias Rapp, gli autori dell’articolo, scrivono sul fascismo un po’ alla tedesca, o, meglio, al ritmo della nuova Germania, decaduta e decadente. Niente più Begriffe, i classici concetti dell’idealismo, ma raccontini edificanti. E così ecco le storie di quegli scrittori recenti, molti americani (non hanno dimenticato, i tedeschi, che la guerra l’hanno persa): Robert Kagan, il neocon anti-Trump che vuole esportare la democrazia americana nel mondo arabo e poi in Cina; Jason Stanley, autore di un libro recente su Come funziona il fascismo; Timothy Snyder, del New York Times, qui spacciato per «uno dei più importanti intellettuali d’America» e specializzato nell’attaccare la Russia e Putin, descritto nei suoi articoli come il fascista per antonomasia. Paradossalmente, però, questo Snyder sembra anche quasi un intellettuale vecchia maniera, perché vuole insegnarci che il fascismo ha molte facce, che è «dialettico» e sa camuffarsi: insomma il fascismo è ciò che Snyder ci dice essere, di volta in volta a suo insindacabile giudizio, fascismo. Un po’ come il sindaco antisemita di Vienna, Lüger: «ebreo è chi io dico che è ebreo». Ovviamente, Snyder è un ammiratore di Zelensky, il quale non mancò, ricevendolo nel 2022 a Kiev, di dire che sia lui sia la moglie avevano studiato il suo libro su La tirannia.Snyder ha inventato per Putin un neologismo: lo zar è uno «schizo-fascista», perché agisce da fascista dicendo di essere antifascista (termine da tener presente: quanti schizo-antifascisti abbiamo per esempio in Italia? Antifascisti che agiscono da fascisti?). Essendo Putin, per questo intellettuale da operetta, un fascista, se l’Ucraina non dovesse vincere il mondo cadrebbe per decenni in una fase di profonda oscurità. Ipse dixit. Per fortuna molti colleghi di Snyder in America (che resta un grande Paese) lo considerano un paranoico (così ci ricordano gli stessi giornalisti dello Spiegel). Non a caso, per Snyder il grande fautore del fascismo in America, più che Trump, sarebbe Elon Musk. Ma anche Kagan, sulla stessa linea, paventa l’avvento del fascismo in America: con Trump il sistema costituzionale «in verità verrebbe distrutto».Sulla stessa linea di Kagan e Snyder, Jason Stanley, di Yale, che imbastisce banalità sul ritorno del fascismo riducibili, in due parole, al «terrore per la sessualità» che sarebbe proprio dei fascisti, in particolare della sessualità dei trans e degli omosessuali. Antenato del fascista Trump sarebbe il Ku Klux Klan. Non c’è bisogno di commentare, tranne che ricordare che «Stanley ha amici che lo considerano un isterico».Dall’America si passa a Londra, per parlare con Paul Mason, teorico del fascismo come «processo» caratterizzato dalla «paura della libertà» e come un movimento storico continuo che inevitabilmente impone un contro-movimento. La modernità sarebbe dominata da questo eterno processo pendolare: fascismo/antifascismo. Il ragionamento di Mason è piuttosto divertente, perché i presupposti del fascismo sarebbero unicamente i fatti: se c’è una crisi economica, una guerra o qualunque cosa accada di non proprio positivo, questi sono i presupposti del fascismo. Come dire, anche qui, che il mondo è dominato dal fascismo, che sarebbe semplicemente un risultato della storia, anzi la storia stessa (che appunto è cattiva) e dall’antifascismo, che sarebbe il movimento «buono» di liberazione dalla storia (pardon: dal fascismo); dove c’è da chiedersi: liberazione dal fascismo verso un altro fascismo? Per questo Mason (antifa militante), comunque, la storia oggi si svolge tra i buoni e i cattivi su internet: la guerra è quella dei cosiddetti «odiatori» (altro termine per dire «fascisti»), che impongono una reazione antifascista. Su questa stessa linea della guerra civile «in rete», Natascha Strobl, tedesca, che virtualizza la guerra civile successiva alla Prima guerra mondiale in Italia e in Germania: la guerra è oggi la stessa, solo che si fa sulla rete e gli antifascisti devono imparare a farla come si deve.Altri autori intervistati si pongono più o meno sullo stesso piano, cercando di capire quanto fascismo c’è per esempio nel populismo e quanto fascismo nella «democrazia illiberale» di Orbán. A parte Jan-Werner Müller, un politologo serio che si pone delle domande legittime benché discutibili sulle forme del populismo e sulla genesi del fascismo, l’immagine complessiva che vien fuori da questo articolo è quella di un pericolo più che alle porte, in buona parte già in casa (da Trump a Le Pen e Meloni, da Orbán a Modi e Björn Höcke in Germania). Il fascismo è con noi, ci osserva e aspetta il momento buono per afferrarci e fare piazza pulita degli «antifascisti». Che cosa questo poi significhi praticamente né gli articolisti dello Spiegel né i loro intervistati ce lo dicono, lasciandoci con la convinzione sempre più radicata che buona parte della politica non saprebbe cosa dire (pensare è un’attività troppo complessa) se non ci fosse lo spettro del fascismo incombente. La sinistra, in effetti, continua a sopravvivere solo grazie all’antifascismo, sia esso teorico o «militante».C’è ovviamente da chiedersi se, per caso, il fascismo, non quello storico, ma quello degli antifascisti, non stia proprio dalle loro parti: l’antifascismo produce e pratica il fascismo come presupposto dell’antifascismo. Perché se ancora fascismo può avere un senso nel XXI secolo come prassi, questa prassi sta nella insofferenza per l’altro, per chi non la pensa secondo lo schema stabilito, per chi non è altrettanto «antifascista». Viviamo in un’epoca di decadenza e quindi non è da meravigliarsi di questa autoreferenzialità: la verità sta con chi sta con me (basta guardare certi talk-show televisivi, dove il conduttore benpensante politicamente corretto toglie subito arcigno/a la parola a chi non la pensa come lui/lei). Chi non sta con me è cattivo e non dice mai la verità.Recentemente ho sentito un professore della Sapienza parlare di «costituzionalismo antifascista» come la via d’uscita dall’impasse culturale della sinistra. Cosa possa questo significare non è chiaro: forse che l’art. 3 della costituzione andrebbe riscritto sottolineando che non fanno parte degli «uguali» tutelati dalla legge i cosiddetti «fascisti», che ovviamente sarebbero tutti coloro qualificati come tali dagli antifascisti.Purtroppo, il fascismo, come fenomeno storico, è stato una cosa seria e, direi, seria proprio perché all’epoca la sinistra era una cosa seria. Il fascismo, dal mio punto di vista, è nato a sinistra e in gran parte è rimasto un fenomeno le cui radici erano lì, non certo per i «compagni in camicia nera» di Togliatti o perché un Bombacci, già amico del Mussolini socialista, fondatore del Partito comunista (e negli anni Trenta di una rivista intitolata La Verità), sia poi finito a Salò, ma perché storicamente il fascismo fu la reazione (analoga benché non omologa alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia) - sia pure per molti aspetti perversa - all’emergere del dispotismo dell’economico e alla crisi del politico nella storia del mondo. Da questo punto di vista, storico-spirituale, l’antifascismo dei giorni nostri è una banalizzazione sia del fascismo come fenomeno storico, sia della sua opposizione (democratica, liberale o marxista che fosse). L’articolo dello Spiegel ne è una conferma a tutto campo. Una conferma indiretta la danno proprio gli autori quando intervistano Philip Manow, un politologo tedesco che a differenza degli altri sa porre il problema nella sua oggettività, che non è il populismo, ma la democrazia liberale nelle sue intime debolezze e antinomie. Manow ha tra l’altro l’onestà di ammettere che la giuridicizzazione della politica, la presunta grande idea antifascista della sinistra, nasconde in realtà altri, gravi rischi, che non vengono quindi dal «fascismo», ma esattamente dalla sterilizzazione della dialettica politica nella democrazia cosiddetta liberale. Altro che fascismo!Vi sono ovviamente e comunque pericoli seri nel mondo d’oggi, pericoli non solo per le guerre in corso, ma per la libertà di pensiero, di espressione, per la cultura, per la conservazione della lingua, persino per la sopravvivenza dignitosa della grande maggioranza dell’umanità; certamente, però, non è con l’antifascismo, teorico o militante, che i rischi e i pericoli della post-modernità decadente potranno essere se non risolti, per lo meno conosciuti e riconosciuti, cosa che sarebbe già da sé un grande passo in avanti.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.