2020-11-26
Anzianità e conteggi sovrastimati. Le ipotesi sulla super letalità in Italia
Con un tasso di decessi del 3,5% siamo settimi a livello mondiale. Il drammatico impatto potrebbe essere dovuto all'età avanzata della popolazione e ai criteri diversi tra Paesi per calcolare le morti da Covid.Esistono dei primati del quale nessuno vorrebbe mai vantarsi. Quello conquistato dall'Italia ai tempi del Covid, purtroppo, riguarda la percentuale dei decessi. Un trend che nelle ultime settimane sembra non conoscere rallentamenti: solo ieri sono stati ben 722 i morti fatti registrare nel bollettino giornaliero. Cifra che fa balzare il totale complessivo a 52.306 decessi dall'inizio della pandemia. Con una letalità pari al 3,5% il nostro Paese si posiziona al settimo posto assoluto nella classifica mondiale, e può guardare dall'alto tutti i partner europei. A precederla di un gradino in realtà ci sarebbe il Regno Unito, ma il nostro tasso di morti su milione di abitanti è di gran lunga superiore (861 contro 821). Realtà che non se la passano affatto bene sono molto più in basso di noi: dal Belgio (2,8%) alla Francia (2,3%), alla Germania («appena» 1,5%). Sul panorama internazionale, stanno meglio di noi (con un dato pari al 2%) anche i tanto vituperati Stati Uniti. L'interrogativo è assai delicato e divide gli esperti: per quale motivo l'Italia, che possiede un sistema sanitario avanzato e capillare, sta scontando effetti tanto negativi anche nella seconda ondata? Non esistono risposte definitive a questo quesito. Con tutta probabilità, anzi, ci vorrà del tempo per chiarire le reali cause dell'impatto nefasto del coronavirus sulla mortalità del nostro Paese. Nel frattempo tuttavia si può provare a fornire una possibile chiave di lettura. Guardando la classifica, innanzitutto, si nota che i Paesi centroamericani in vetta scontano un deficit di tamponi rispetto al nostro. Ciò comporta senza dubbio una forte sottostima dei casi. Se Messico, Ecuador, Bolivia e anche Iran avessero lo stesso numero di casi per milione di popolazione dell'Italia, la letalità risultante sarebbe inferiore a quella nostrana. Paese che vai, politica di test che trovi, e questo fattore contribuisce a influenzare il risultato finale. Ma per alcuni Stati che, sia per ragioni di natura politica che di mera disponibilità economica, hanno deciso di limitare il numero di tamponi, ce ne sono molti altri che al contrario ne fanno un uso piuttosto generoso. Mentre in Italia il rapporto test per milione di abitante è pari a circa 343.000, nel Regno Unito supera i 600.000, ma ci superano anche in Irlanda, Belgio e Spagna. Stiamo parlando in tutti i casi di Paesi che fanno i conti con una letalità più alta della media. Occorre chiedersi perciò se al netto di queste oscillazioni siamo in presenza o meno di un «caso italiano». C'è da dire che la nostra popolazione presenta delle peculiarità in grado di renderla più suscettibile a una pandemia come quella attualmente in corso. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato dall'Istituto superiore di sanità, l'età media dei pazienti deceduti per Covid è pari a 80,3 anni (nel trimestre in corso addirittura di 81 anni). Sul totale di 41.737 decessi al 18 novembre, il 28% appartenevano alla fascia 70-79 anni, il 45% a quella 80-89 anni, e il 21% agli over 90. Solo 5 decessi su 100 interessano persone più giovani di 70 anni. Come se non bastasse, il 65% dei morti aveva tre o più patologie, e appena il 3% nessuna malattia pregressa. Per dirla in altri termini, il Covid aggredisce molto più facilmente una popolazione anziana e, di conseguenza, più «acciaccata» come quella italiana. Possiamo ipotizzare almeno due fattori che negli ultimi anni hanno aggravato ulteriormente questa condizione. Primo. L'Italia non è solo un Paese anziano, ma in continuo e costante invecchiamento. Basandosi sui dati Istat relativi alla popolazione residente, si scopre che dal 2012 ad oggi la fascia over-65 è passata dal 19,6% al 21,9%; quella degli over-80 dal 5,4% al 6,5%; infine, gli over-90 dallo 0,7% all'1%. Secondo. Fatta eccezione per il picco di mortalità del 2015, siamo reduci da stagioni influenzali piuttosto blande, quantomeno le ultime due. Il combinato disposto di questi due fenomeni ha contribuito alla formazione di un «pool» di anziani più suscettibile all'attacco del coronavirus. Per quanto rappresenti ancora un dato parziale, il monitoraggio dell'eccesso di mortalità parla chiaro. Un dato che comprende sia i morti per Covid che per qualsiasi altra causa. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato dal ministero della Salute, a ottobre in Italia si è registrato un sensibile incremento dei decessi sia al nord (+22%), che al centro-sud (+23%). Difficile giustificare un andamento simile senza ricollegare lo stesso all'impennata di casi, e dunque di decessi, in corso durante questa seconda ondata. Rimane solo un dubbio. E cioè che, senza per questo negare il dramma in atto, l'Italia adotti criteri più «generosi» che portino a sovrastimare la conta effettiva dei decessi legati al Covid. L'aveva già ipotizzato a marzo il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi, e ora lo conferma anche il professor Graziano Onder, geriatra del Gemelli e responsabile del rapporto sulla mortalità pubblicato periodicamente dall'Iss: «Mentre da noi tutti coloro che muoiono e risultano positivi al tampone vengono classificati come decessi per Covid, non è così in altri Paesi».