2020-11-13
«Andreotti insegna». Per il gip falsati i processi ad Aspi
Giovanni Castellucci (Ansa)
I manager avrebbero mentito per tenersi buono Giovanni Castellucci. Battute sulle barriere difettose: «Le ha fatte Piano? A onda?». A leggere l'ordinanza di custodia cautelare che ha privato della libertà l'ex ad di Autostrade e di Atlantia Giovanni Castellucci, disponendo gli arresti domiciliari per lui e per altri due ex top manager e l'interdizione per altri tre pezzi da 90 del gruppo, il silenzio sembra essere il leitmotiv che accompagna le condotte di alcuni dei protagonisti dell'ultima inchiesta della Procura di Genova. L'indagine ruota attorno alla installazione di barriere fonoassorbenti difettose. Per gli investigatori risulta significativa una conversazione Whatsapp tra Castellucci e Berti. Con il secondo che invia all'ad le foto dei pannelli ancorati male, piegati verso la carreggiata o verso l'esterno. E Castellucci che risponde in modo ironico: «Grazie, le barriere le ha progettate Renzo Piano? A onda?». Per il gip è la prova che Castellucci fosse «consapevole della problematica delle barriere».Secondo gli inquirenti ci sono stati silenzi nei processi, testimonianze condizionate, strategie per «raddrizzare» le indagini, omissioni per vantare crediti nei confronti di chi stava ai piani più alti. Su queste accuse il gip ha fondato le esigenze cautelari. Castellucci, per esempio, viene definito uno «spregiudicato» che riusciva a condizionare i suoi ex collaboratori nonostante ormai fosse fuori dalle aziende dei Benetton. Per gli inquirenti è significativa un'intercettazione telefonica tra Michele Donferri Mitelli, ex responsabile manutenzioni di Autostrade per l'Italia, e Paolo Berti, ex direttore centrale operativo del gruppoDonferri dispensa consigli al collega Berti all'indomani della sentenza per la strage di Avellino: 40 morti per un bus volato giù da un viadotto della A16. Berti rimediò una condanna a 5 anni, Castellucci fu assolto. «Andreotti insegna», dice Donferri Mitelli. Da quanto emerge, secondo gli inquirenti Berti a processo avrebbe tenuto la bocca chiusa, «per difendere la linea aziendale», sottolinea il gip. Una condotta che avrebbe contribuito all'assoluzione di Castellucci. L'ex numero uno, quindi, che sarebbe stato interessato a far mantenere quell'impostazione a Berti, nonostante la pesante condanna, anche nelle successive fasi del giudizio, avrebbe incaricato Donferri di tenere buono il collega e di «rassicurarlo», scrive il gip, «del suo futuro aiuto». L'ambasciata è questa: «Ti vuole dire questo messaggio (Castellucci ndr, ndr)... ti aiuterà per tutta la vita». Berti, insomma, avrebbe dovuto ingoiare il rospo per ottenere vantaggi futuri. E in azienda, stando alle metafore usate da Donferri, ci sarebbe già stato un esempio: «Mollo si è salvato perché stava attaccato al suo treno... e allora attaccate pure tu a 'sto cazzo di treno... e, soprattutto, fai tesoro dell'attuale momento...». Anche Donferri, però, ci avrebbe tenuto al silenzio del collega. Con Berti e Castellucci non condivide il processo di Avellino, ma l'inchiesta sulla strage del ponte Morandi (43 vittime). Berti, insomma, a quel punto avrebbe vantato un grosso credito. «Questo glielo devi far pesare, come l'ho fatto pesare io oggi», ammonisce Donferri, che aggiunge: «Il tuo obiettivo è salvaguardare il rapporto con lui, è l'unica speranza che hai... da qui al futuro... perché ti darà tutto». Berti a quel punto sembra aver capito. E qualche giorno dopo comincierebbe a far pesare la questione. È ancora una volta a telefono con Donferri. E, riferendosi a Castellucci, dice: «È uno che meritava una botta di matto, dove io mi alzavo la mattina, andavo ad Avellino e dicevo la verità, così l'ammazzavo, credimi... era l'unica soddisfazione che avevo». Ma non è solo il profilo di Castellucci a finire sotto l'ascia del gip. Di Donferri, per esempio, il giudice scrive che «le modalità della condotta, sintomatiche di una personalità estremamente negativa», erano a «vantaggio di logiche utilitaristiche della struttura societaria di appartenenza». Donferri, all'indomani del proprio licenziamento, avrebbe sottratto, all'insaputa di Aspi, documentazione relativa al Polcevera. La finalità? «Sviare le indagini» per il gip. È lo stesso Donferri a riferire a telefono di aver appreso dell'esistenza di un verbale della polizia stradale per il cedimento della barriera sul rio Rezza, affluente dell'Entella, a Lavagna (Genova). C'era il rischio che quel verbale arrivasse in Procura. Donferri, però, fa sapere di essere riuscito a «raddrizzare» la questione. «Portati un bel trolley grosso cominciamo... devo comincià a prendere l'archivio là del Polcevera quella è roba mia».Ad Aspi, insomma, secondo il giudice, le «condotte artificiose della realtà» erano all'ordine del giorno. Come quando Castellucci avrebbe determinato, nei dettagli, il contenuto di una nota di Aspi finalizzata a ottenere il dissequestro di alcune barriere autostradali sulla A14. Stando all'accusa, Castellucci aveva la «capacità di pilotare i suoi collaboratori, anche indagati, condizionandone le dichiarazioni». Mentre Donferri avrebbe cercato di ottenere trattamenti di favore da parte delle forze dell'ordine. In vista dell'interrogatorio di Castellucci per il crollo del ponte Morandi, Donferri chiama il generale dei carabinieri Franco Mottola. E gli chiede «se poteva dare qualche indicazione a Genova [...] poveraccio (riferendosi a Castellucci, ndr) perché non vorrei che lo trattassero male...». Donferri teme la presenza dei giornalisti. E comincia un'attività di pressing su Mottola. Chiama e richiama, chiedendo la presenza di militari. Il generale gli conferma di aver «sensibilizzato in modo forte» sia il comandante provinciale sia il comandante della legione Liguria. Poi aggiunge: «Mi hanno detto, purtroppo non possiamo andare là se no facciamo scoppiare un casino». Ma Mottola non è l'unico ufficiale presente nella rubrica telefonica di Donferri. C'è anche il generale Carmelo Brugio, comandante interregionale della divisione Culquaber, al quale l'indagato chiede notizie su un'indagine dei carabinieri forestali. Per il gip Donferri ha una «straordinaria capacità di esercitare forti pressioni». E, a quanto pare, non solo sui suoi colleghi.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco