2024-11-05
Crisanti ammette di non capirci... nulla
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)
Il senatore dem riconosce che del Covid «non ne sapevamo molto» e aggiunge che ora «comprendo solo il 30% delle leggi che voto». Poi dice perfino che formare tanti medici è sbagliato perché «sono un costo». E nonostante la mega villa si vanta di girare in autobus.Il Covid è passato, alcuni effetti collaterali no. Andrea Crisanti, per esempio, una delle virostar che durante la pandemia cinese più si sono distinte nel terrorismo psicologico ad ampio spettro, grazie alla lungimiranza del Pd oggi ce lo ritroviamo come senatore. Ma si annoia. Si confonde. Gli capita di non capire quel che deve votare. Poi si desta e freme. Pensa, dice lui, «a un altrove», «a quali gambe dare a un emendamento» che non sta in piedi. Comunque li vota. Vota così. Vota come gli viene. Vota quel che capisce. Come scienziato andava per tentativi, come legislatore anche. Fu spacciato come medico degli italiani e, ora, fa il medico delle leggi. Con licenza di ammettere, a babbo morto, che faceva tanti orrendi pronostici «ma non ne sapevamo poi molto». Ah bene, che piacere scoprirlo oggi. Quando lo dicevamo noi, passavamo per terrapiattisti e no vax. Si deve ringraziare la suddetta noia che prova a Palazzo Madama, se il microbiologo patavino si è confessato con Il Fatto Quotidiano, sottoponendosi al trattamento di Antonello Caporale. Uno di quegli intervistatori che farebbe passare per un mezzo idiota anche Einstein e che ha una tattica micidiale: più che porre domande, butta lì una mezza frase più o meno sensata e l’intervistato, finendola, si cucina da solo. Per esempio, alludendo alle fatiche parlamentari del Crisanti, il giornalista scolpisce un verso degno di Giuseppe Ungaretti: «Ci si annoia a morte brancolando nel buio». E lo sciagurato completa: «Come le ho detto, il 30% delle volte è buio totale». Ma bravo il Professore. Com’era quel vecchio adagio di Luigi Einaudi? «Conoscere per deliberare», ecco. Ma ricominciamo da capo, dal Covid, da quell’Italia serena e operosa che ancora non sapeva nulla della pandemia degli ancor più operosi cinesi e, soprattutto, ignorava l’esistenza del Crisanti. Il Crisanti-crisantemo che a un certo punto, con gli obitori pieni e i telegiornali che trasmettevano immagini di lugubri cortei militari con le bare dei civili, fece alcuni studi e scoprì che il virus lo trasmettevano bellamente anche gli asintomatici. E quindi bisognava fare tamponi a tappeto anche su chi non ha sintomi, a costo di andare contro le linee guida dell’Oms. Oppure, ma questo il Crisanti mai lo disse, tanto valeva evitare i lockdown e cercare di marcare ciò che non era marcabile. «Ai tempi del Covid i suoi pronostici facevano venire una fifa blu», alza la palla l’intervistatore. «Non sapevamo molto. E l’approssimazione è un carattere della scienza. Non mi sono mai negato il diritto di dirlo», ammette il libero Senatore in libero Stato. Ah però. Approssimazione e conoscenze incomplete? Sì, un po’ si era capito, vedendo come si arrabattava il Comitato tecnico scientifico che consigliava il ministro Roberto Speranza e le piroette quotidiane, in tv, di una gran messe di virologi e infettivologi e persino di fisici (come Roberto Battiston) ed esperti di aviaria (come Ilaria Capua). Ma soprattutto, visto che oggi Crisanti ammette la faccenda dell’approssimazione, perché invece siamo stati bombardati per mesi da granitiche certezze e lezioncine arroganti? Comunque, è grazie a questa celebrità acquisita sul campo (e con i sistemi di cui sopra) che oggi abbiamo Crisanti in Senato con la casacca del Pd. E però, a parte l’ottimo stipendio e il futuro vitalizio, che vitaccia! Riferisce onestamente il Professore: «In aula capisco il 30% delle leggi che voto. Il resto è totalmente inaccessibile alla mente, oppure è noia». Insomma, per sua stessa ammissione vota spesso a casaccio e «tutto il resto è noia», come cantava Franco Califano. Il virologo poi, per spiegare che comunque ci sono temi dei quali capisce, fa l’esempio delle norme che riducono il numero chiuso a Medicina, care al suo Pd e, probabilmente, agli studenti. Lui è contrario e lo spiega così. Chi non brinderà «è il contribuente! Uno studente in Medicina costa alla collettività 150.000 euro. Con la specializzazione il conto sale di altri 250.000 euro». Ma il senatore non dovrebbe preoccuparsi unicamente del fatto che si formino dei medici eccellenti, in numero adeguato e capaci di offrire il miglior servizio possibile ai cittadini? Per non dire del fatto che quando spara quelle cifre sui costi «per i contribuenti», dimentica che gran parte di quelle spese di studio le sostengono le famiglie degli studenti di medicina. E a proposito di soldi, ormai se si parla del compagno Crisanti non si può mai dimenticare che dopo il Covid, insieme alla moglie manager sanitaria, si è regalato una villa palladiana da due milioni di euro nel Vicentino. La cosa non è passata inosservata e ovviamente non c’è nessun problema perché non siamo pauperisti. Noi, perché invece il Crisanti ci tiene da matti a passare per uno di noi. Il giornalista gli fa notare che è noto per «il braccino corto» e lui corregge: «Perché amo la sobrietà?». Dopo di che si vanta di usare l’autobus, «che fa risparmiare tempo e concede un faccia a faccia con gli elettori», di andare sempre in vacanza o all’Elba o in Grecia, e con voli low cost. E poi di comprare i vestiti solo all’outlet. Ma almeno quando passa il tempo sui mezzi pubblici, potrebbe darla una letta a questi maledetti emendamenti che non capisce. O fattura sempre?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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