2022-04-13
L’Ucraina trascina in guerra pure Gesù
Dopo le assurde proibizioni ai ballerini di danzare opere di Ciaikovskij , ora ambasciatore e arcivescovo dei greco-cattolici di Kiev boicottano l’iniziativa di pace del Papa. Che fa portare il Crocifisso durante il Venerdì santo da due donne dei due Paesi in conflitto. Putin insiste: «Operazione inevitabile». Zelensky rifiuta la visita del presidente tedesco.La notizia del ritorno della tradizionale Via crucis del Papa al Colosseo, dopo due anni di assenza a causa della pandemia, è subito attraversata da un’altra passione, quella di Francesco di fronte alla reazione dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede. Con un tweet Andrii Yurash, peraltro accreditato giovedì scorso in udienza papale, fa partire parole che assomigliano a missili di fronte alla notizia che a portare la croce nella tredicesima stazione della Via crucis di venerdì dovrebbero essere due donne, una ucraina e una russa. Insieme, con le loro famiglie.«L’Ambasciata ucraina presso la Santa sede», twitta l’ambasciatore Yurash, «capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe nel portare la croce durante la Via crucis. Ora stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze». Un niet che non comprende un fatto fondamentale, ricordato in un tweet anche dal direttore di Civiltà cattolica, l’ascoltatissimo consigliere del Papa, padre Antonio Spadaro: «Francesco è un pastore non un politico». Ma ieri sono arrivate anche le parole durissime dell’arcivescovo dei greco-cattolici di Kiev, monsignor Sviatoslav Shevchuk, che con Francesco vanta un’amicizia sincera che risale al periodo in cui era ausiliare in Argentina. «Considero questa idea inopportuna e ambigua», ha dichiarato l’arcivescovo, «non tiene conto del contesto di aggressione militare russa contro l’Ucraina».Il dolore del popolo ucraino non è in discussione, ma la deriva che spalma il giudizio sull’aggressione dell’esercito russo su una damnatio per l’intero popolo sembra aver investito anche la più sacra delle celebrazioni cattoliche. Proprio mentre il Vaticano è faticosamente coinvolto in un tentativo di ricomposizione ogni giorno più difficile. Dopo il «caso Nori», con l’incredibile stop ai corsi su Dostoevskij, dopo le surreali cancellazioni dei balletti di Ciaikovskij, l’ondata tocca - e non di striscio - il Santo Padre. Molti, qualcuno anche nella Chiesa, vorrebbero un Francesco con l’elmetto in testa, capace di tuonare facendo nome e cognome dell’aggressore e benedicendo magari le armi inviate a rinfocolare quella che lui ritiene, invece, una guerra «ingiusta». Il cardinale Mauro Gambetti, vicario del Papa per la Città del Vaticano, ha detto in tv che «il Vaticano lavora innanzitutto su un piano trascendente, il nostro impegno è quello della preghiera incessante affinché si metta fine ai conflitti nel mondo». Sembra di scoprire l’acqua calda: negare la possibilità che due donne possano liberamente portare la croce nella Via crucis alla stazione che ricorda proprio la morte di Cristo, somiglia molto alla negazione dell’essenza del cristianesimo. La contestata meditazione della tredicesima stazione è stata scritta, come le altre, da famiglie legate a comunità e associazioni cattoliche di volontariato: «Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione e insegnaci a fare pace, a essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare». Una meditazione non certo «politica». E l’arcivescovo Shevchuk, che soffre con il suo popolo dentro a un bunker, difficilmente può ritenere «ambigue» queste parole.Che tacciano le armi e si lavori a un negoziato è l’unico obiettivo che sembra animare Bergoglio fin da quel 25 febbraio in cui andò in via della Conciliazione a incontrare l’ambasciatore russo. Così come quando ha inviato due suoi cardinali in Ucraina, quando ha parlato in videoconferenza con il Patriarca russo, Kirill, o quando progetta di incontrarlo probabilmente a Gerusalemme a giugno, oppure mette «sul tavolo» la possibilità di un viaggio a Kiev e mostra la bandiera ucraina proveniente da Bucha al termine di un’udienza generale e parla di «crudeltà sempre più orrende». Il Papa, ovviamente, sa chi è l’aggressore e chi l’aggredito, conosce la legittima difesa come parte della dottrina cattolica, ma, come ha detto domenica prima dell’Angelus, chiede che «si ripongano le armi», che si dia inizio a «una tregua pasquale, ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no, una tregua per arrivare alla pace attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene delle gente. Infatti che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».La corsa a maledire tutto ciò che c’è di russo impedisce così di cogliere la prospettiva di una Chiesa che non può, per sua natura, non predicare il perdono come via della pace, soprattutto in occasione della Via crucis. Forse proprio due donne, l’infermiera ucraina Irina e la studentessa russa Albina, che sono fianco a fianco al Campus Biomedico di Roma, possono essere un segno vivo di questa via alternativa. «Quante volte sembra che tu stia dormendo», scriveva il cardinale Joseph Ratzinger nella celebre Via crucis del 2005, rivolgendosi al Signore. «Com’è facile che noi uomini ci allontaniamo e diciamo a noi stessi: Dio è morto. Fa’ che nell’ora dell’oscurità riconosciamo che tu comunque sei lì». Su quel legno in cui anche i carnefici vengono amati, in cui il male non ha l’ultima parola, ma sbatte contro la potenza del perdono divino. Possibile perfino per i russi.