2018-12-17
«Anche noi siamo in guerra. Non abbassiamo la guardia»
Il Generale di Brigata Giuseppe Morabito: «Ci sono jihadisti “tattici", lupi solitari che vanno espulsi oppure condannati al 41 bis. Attenzione alla Puglia: è diventata un ponte con il Medio Oriente».Giuseppe Morabito è Generale di Brigata in ausiliaria e membro del Consiglio direttivo della Nato Defense College Foundation. È stato tra i primi a evidenziare il ruolo delle reti jihadiste nell'immigrazione clandestina, il finanziamento delle organizzazioni del terrore anche per questa via, e il rischio di nuove ondate terroristiche nelle nostre capitali. Ha conversato a tutto campo con La Verità dopo i tragici fatti di Strasburgo. Più che un Generale servirebbe Sigmund Freud: perché ci «dimentichiamo» l'emergenza terroristica, salvo stupirci quando arriva una nuova tragedia? «In tempi normali la notizia tende a scemare, nessuno avverte la sensazione del pericolo. Da un lato, c'è anche un elemento positivo in questo atteggiamento: le persone vogliono vivere. Però occorrerebbe parlarne sempre: si può creare consapevolezza anche senza seminare il panico».È come se scansassimo il problema, ma la guerra continua…«Mi faccia dire che in Italia abbiamo le migliori forze di polizia e di intelligence d'Europa. Detto questo, non c'è dubbio. La guerra purtroppo è in corso: l'altro giorno la Digos ha arrestato a Bari un cittadino somalo - pare - implicato in attività di terrorismo. La guerra c'è, è le forze dell'ordine italiane ci stanno lavorando».C'è un'emergenza particolare?«Direi di considerare con attenzione la situazione in Puglia. Sta diventando una sorta di ponte tra Africa, Medio Oriente e Europa, e ci sono diversi casi di delinquenza variamente connessa con l'immigrazione. Anche uno dei criminali implicati nella tragica vicenda di Desirée Mariottini aveva a che fare con il Cara di Foggia…».Barack Obama non riusciva a pronunciare insieme le tre parole: «radical islamist terrorism», cioè «terrorismo radicale islamista», quando invece…«L'ex presidente americano dovrebbe ricorrere ad ampi giri di parole per non usare quei termini dopo Strasburgo. L'attentatore ventinovenne, Cherif Chekatt, era terrorista, radicalizzato, islamico credente e praticante. La prova è che ha salvato la vita al tassista perché era islamico anche lui, gli ha detto che osservava regolarmente i riti della preghiera. Questo è un ulteriore elemento che prova come il terrorista fosse motivato religiosamente».Ma si può continuare a ripetere «islam religione di pace» o «la religione non c'entra» quando purtroppo le componenti fondamentaliste giocano un ruolo così forte?«Ho conosciuto un'enormità di persone del mondo islamico moderate e stimabili, ovviamente. Ma, pensi al partito nazista, il problema è sempre quello di una minoranza che si trascina dietro una comunità più grande. Sono proprio le popolazioni islamiche sane che più soffrono della vigliaccheria di queste azioni».E le grandi maggioranze islamiche, che ovviamente terroriste non sono, perché non reagiscono? «Qui è il problema. Nella loro società è difficile vedere il male in chi agisce a favore della religione. Capiscono magari il male, ma non sempre arrivano a condannarlo».Lei ha animato un convegno sul rischio di guerriglieri Isis «professionalizzati» in arrivo qui da Siria e Iraq.«Premessa. Ci sono tre livelli di attentato. “Strategico", quando l'Isis organizzava direttamente attacchi qui dai territori conquistati in Siria e Iraq: questo oggi non accade più. “Operativo", quando ci sono qui cellule che si organizzano per conto proprio, con un addestramento limitato: ad esempio spesso non hanno un piano di fuga. E poi “tattico", ed è il caso del lupo solitario, che magari agisce perché motivato da eventi accaduti ai suoi “fratelli" in Siria o altrove. È il caso del terrorista di Strasburgo, che ha confermato questo al tassista. Questi soggetti hanno un addestramento minimo». Torniamo ai «professionisti».«Quando i foreign fighters tornano nelle nostre città, sono considerati eroi dagli islamici più giovani. Mutatis mutandis, un po' come i nostri reduci delle due guerre mondiali: i ragazzi li guardavano con ammirazione. E mi punge vaghezza che alcuni di loro possano essere stati appositamente inviati in Europa come cellule dormienti per condurre poi attentati. Anche qui possiamo individuare tre categorie».Cioè?Gli “irriducibili": quelli che tornano qui, e proseguono la lotta armata. E se finiscono in carcere, cercano di reclutare e indottrinare altri. Al contrario, ci sono i “pentiti", che riconoscono l'errore e tentano di dissuadere i più giovani. E poi una categoria intermedia: quelli che non fanno proselitismo, ma neppure si schierano contro, perché comunque seguono una linea religiosa…».Il carcere diventa un luogo chiave…«Appunto. Un ragazzo a rischio di radicalizzazione, incontrandoli in carcere, li considera eroi, addestratori e maestri. Quasi certamente, è così che si è formato il ventinovenne di Strasburgo».Il terrorista in Francia era stato segnalato come «fiche S». Spesso, dopo un attentato, si dice che il soggetto era già «attenzionato», e c'è già la foto pronta, il nome... Non sarà che a volte si pensa che basti una sorveglianza «soft», come se fosse criminalità tradizionale?«Non sto giustificando la Francia. Ma se hai migliaia di soggetti “attenzionati", non puoi sorvegliarli tutti: ti servirebbero 100.000 poliziotti solo per questo, è impossibile. Tra l'altro, con le proteste dei gilet gialli, era chiaro che le forze dell'ordine fossero massicciamente dedicate ad altro in queste settimane».Diamo un segnale di speranza. Fa notizia l'attentato riuscito, ma non i numerosi attentati sventati preventivamente dall'intelligence.«Non c'è dubbio. Queste attività silenziose non fanno notizia. Io dico che l'elemento chiave è l'espulsione di quelli su cui ci siano gravi sospetti di terrorismo. L'Italia è il primo Paese per espulsioni, e facciamo benissimo: ogni espulsione può essere un attentato prevenuto o evitato».Domanda cruda: la nostra tradizionale «cassetta degli attrezzi» giuridica è sufficiente per questo genere di soggetti o serve altro?«Attenzione, io non penso sia una buona idea adottare misure d'eccezione, o metodi da coercizione di polizia. Noi dobbiamo fare due cose. Primo: a legislazione esistente, aumentare al massimo la possibilità di espellere. Secondo: per chi invece è già condannato, e quindi deve scontare la condanna in Italia in carcere, diventa fondamentale l'isolamento dei terroristi o dei potenziali reclutatori. Serve una sorta di 41bis per questi soggetti».Bisogna fare attenzione anche ai servizi religiosi nelle carceri?«Assolutamente. Gli imam li dobbiamo scegliere noi, non loro».Per anni troppi hanno negato il nesso tra immigrazione e terrore. Lei è stato tra i primi a dire il contrario.«Una certa politica andava contro questa evidenza. Cominciò ad accorgersene Marco Minniti: ammise che c'era la possibilità di infiltrazioni terroristiche tra i migranti. Mi spiego con un esempio».Dica…«La brigata tunisina che faceva parte dell'Isis era di ben 7.000 uomini, numerosissima. Al rientro in Tunisia, è presumibile che molti di questi possano aver cercato di sfruttare i battelli fantasma dalla Tunisia, o di mischiarsi a chi partiva dalla Libia». Immagino che i soldi raccolti con il traffico di persone servano anche per le organizzazioni del terrore. Quanti kalashnikov si comprano con il viaggio di un clandestino? «Veda lei… Un immigrato paga anche 5.000 dollari. Al mercato nero ne bastano meno di 100 per un kalashnikov. E poi chi torna da Iraq e Siria è sopravvissuto a 3-4 anni di combattimento, sono professionisti della guerra. È chiaro che non si mettono a fare gli imbianchini, ma sono pronti a offrirsi come manodopera a qualunque organizzazione criminale che voglia controllare un territorio».C'era chi voleva allargare la concessione della cittadinanza.«Sbagliatissimo. Come puoi mettere sullo stesso piano un immigrato che è qui da tempo, regolare, che lavora, che si è guadagnato quello che ha, con uno appena arrivato in condizioni totalmente diverse? Crei tensione, alimenti una guerra tra poveri. Già hai una classe italiana meno abbiente che è in oggettiva competizione sul lavoro con la classe alta degli immigrati regolari. Se immetti altri che chiedono gli stessi diritti con minor tempo e minor fatica, diventa una miscela esplosiva».Cosa consiglia a chi è oggi al governo?«Primo: contrasto a ogni tipo di criminalità. Secondo: limitare l'immigrazione incontrollata. Terzo: rinvigorire rispetto e sostegno alle forze armate e di polizia. Mi consenta un commento personale dopo la tragica scomparsa di Antonio Megalizzi. Meglio, ho una richiesta speciale. Noi italiani siamo parte della guerra e non spettatori! Non dobbiamo mollare la presa e l'attenzione contro questa forma vigliacca di violenza che colpisce gli indifesi. Tutti dovremmo segnalare ogni comportamento anomalo e mai lasciare soli con il dolore i familiari delle vittime. Mai!».E il Global compact che Roberto Fico vorrebbe far firmare d'urgenza all'Italia?«Non scherziamo. Hai tanti Paesi intorno all'Italia che non lo firmano. Poi hai la Francia che firma ma intanto chiude le sue frontiere. Secondo lei dove restano quelli che arrivano?».
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