2019-12-25
Shopping «instagrammabile» grazie ai negozi pop up
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I negozi temporanei sono la nuova frontiera del marketing. Seducono i Millennials e la Generazione Z a colpi di selfie e così le vendite aumentano del 46%. Dal negozio di Dior dove personalizzare la propria bottiglia di profumo, alla casa di Barbie riprodotta alla Gallerie Lafayette di Parigi. Gli store più famosi nel mese di dicembre. Lo speciale contiene sette articoli e gallery fotografiche.Con il termine «pop up store» si intende uno spazio allestito in maniera provvisoria dove vengono messi in vendita capi di un determinato brand, spesso esclusivamente creati per quel preciso evento. Il mondo della moda, negli ultimi, ha abbracciato questo trend nato negli Stati Uniti e i risultati sono stati più che positivi. Il motivo è semplice. Il consumatore - ormai abituato alla comodità e rapidità degli acquisti online - cerca un'esperienza fisica nuova, ben lontana dalla vecchia idea di negozio. Il pop up store è diventato così una vera e propria arma di marketing, capace di sedurre i clienti più affezionati e intercettarne di nuovi, specialmente nelle ultime generazioni. Il pop up store di solito è un luogo «instagrammabile» dove nulla è lasciato al caso.Con l'apertura di un pop up, un marchio può in media aumentare la sua visibilità del 51%. Il secondo risultato migliore è quello che riguarda proprio le vendite, con una crescita del 46%, al pari del social media engagement. Aprire un pop up può anche essere relativamente economico. Un'inchiesta di Business Insider racconta come il 44% degli intervistati abbia speso meno di 5.000 dollari per la creazione di uno spazio temporaneo. Melissa Gonzales ha dedicato un libro a questo nuovo fenomeno, intitolato «The pop up paradigm: building human connections in a digital age». Nel volume, la fondatrice dell'agenzia di retail strategy The Lionesque, spiega come «i brand vogliono creare momenti che possano ispirare i clienti e fornire materiale a chi vuole postare qualcosa sui social». Sono un esempio, il pop up store aperto da Fendi durante l'ultima settimana della moda a Milano, in collaborazione con l'azienda di gelati Steccolecco. Influencer e visitatori di tutto il mondo hanno riempito le loro pagine Instagram di immagini con la doppia F, tanto che degli oltre 1.000 post recanti il tag #steccolecco la maggior parte si riferiscono alla collaborazione con la maison romana. Un modo per aumentare la «brand identity» e rendere il marchio ancora più riconoscibile ai Millennials e alla Generazione Z che si affaccia per la prima volta sul mercato del lusso. I pop up store svolgono anche l'importante compito di ridare smalto ai maggiori centri commerciali, che più di altre realtà sembrano aver sofferto l'ascesa dell'e commerce. Proprio quest'anno, Selfridges - uno dei più grandi grandi magazzini di Londra - ha ospitato uno spazio dedicato a Prada, dove si potevano acquistare oltre ai capi in nylon emblematici della maison, barrette di cioccolato camouflage firmate Marchesi e piccoli gadget con il logo, come la penna a proiettile. Lo scorso anno, Valentino è invece sbarcato in Giappone dando vita a una collaborazione con il Ginza Six di Tokyo. Per l'occasione kimono, infradito in legno e ventagli sono stati decorati con il logo Vltn, mentre i clienti potevano acquistare felpe, magliette e accessori con coloratissimi personaggi che ricordano gli anime giapponesi. E non sono soltanto i marchi di moda a sfruttare questa nuova strategia. Tra i pop up store di maggiore successo troviamo quello di Pantone aperto a Parigi tre anni fa durante la settimana della moda francese. In vendita c'erano eclair e bibite calde servite in tazze coloratissime. Ma anche le star della musica hanno trovato nei pop up, la migliore strategia per vendere merchandise (e di conseguenza aumentare le vendite di cd, sempre più basse). Per celebrare l'uscita del suo album «Life of Pablo» il rapper Kanye West ha aperto cinque pop up store in giro per il mondo - Amsterdam, Los Angeles, Londra, New York e San Francisco - e ha dichiarato di aver guadagnato oltre un milione di dollari in soli due giorni. Hanno appena chiuso, registrando un risultato altrettanto favorevole, i tre pop up store aperti dal cantante Harry Styles a Los Angeles, New York e Londra. La vendita di qualsiasi capo, dalle felpe con la scritta «tratta le persone con gentilezza» alle tshirt con le foto dell'artista, includeva anche una copia del suo ultimo album «Fine Line». Lo stesso album che ha debuttato al primo posto in classifica con oltre 450.000 copie vendute. Un risultato che lo ha portato ad avere il secondo disco più venduto nel 2019.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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