
Dopo i dati negativi su Pil, inflazione e la sterzata dell'export tedesco, adesso segna il passo l'industria delle quattro ruote. Bruxelles non comprende la crisi in arrivo e lascia il potere a vigilanza e burocrazia.Mentre la campagna elettorale per le Europee si avvicina (ad aprile dovranno essere definite le liste) è sempre più chiaro che il tema di fondo sarà economico. Purtroppo sarà la recessione in arrivo. Gli ultimi dati economici raccontano un peggioramento diffuso. E una flessione negativa dell'inflazione in area solitamente a buona diffusione dei consumi come la Francia. Ad allarmare è stato però l'altro ieri il dato del Pil tedesco e soprattutto dell'export che ha segnato il passo dopo una lunga serie di segni positivi. Ma è la spia che si è accesa ieri a dover mettere definitivamente il Vecchio Continente nella fase «alert». La vendita dell'auto non decolla. A dicembre 2018 le immatricolazioni di nuove auto in Europa, considerando i Paesi europei e quelli dell'Efta, sono calate a 1.038.984 unità, -8,7% rispetto allo stesso mese del 2017. Contro corrente l'Italia dove a dicembre 2018 le immatricolazioni di nuove auto sono aumentate del 2% rispetto allo stesso mese del 2017 a 124.078, ma nel complesso del 2018 sono diminuite a 1.910.025 unità (-3,1% rispetto al 2017). Complessivamente lo scorso anno le immatricolazioni di nuove auto, sempre considerando i Paesi europei e quelli dell'Efta, sono risultate pressoché piatte (-0,04%) rispetto all'intero 2017. Al di là delle cifre, il settore auto nel suo complesso deve essere preso come una cartina al tornasole dell'economia. Garantisce un indotto di peso e una filiera molto lunga. Non a caso appena si è insediato alla Casa Bianca, Donald Trump ha fatto fuoco e fiamme per far riportare negli Usa parte della produzione e dell'assemblaggio dei principali marchi. Al contrario i vertici di Bruxelles dopo la lunga sequenza di campanelli d'allarme sono stati in grado di affidare a Jean Claude Juncker una dichiarazione posticcia sull'Austherity. Che sa tanto di presa in giro più che di auto critica veritiera. L'austerità negli anni della crisi è stata avventata così come sbagliati sono stati gli insulti rivolti dalle istituzioni europee verso i greci per le loro scelte fiscali ha detto Juncker aggiungendo che «durante la crisi del debito, c'è stata dell'austerità avventata, ma non perché volevamo sanzionare chi lavora e chi è disoccupato: le riforme strutturali restano essenziali». Il tempismo è discutibile (visto che si avvicinano le elezioni), ma è criticabile pure l'approccio. Nella disfida tra Ue e Stati Uniti non è più ammissibile utilizzare lo schema suggerito dalla Germania. Il muro contro muro e la minaccia dei dazi non è per nulla positiva per il Vecchio Continente, il quale deve finalmente tirare una linea e porsi nuovi obiettivi economici. In linea con quelli di Trump? Forse. Sicuramente complementari. Al tempo stesso dovremo porci temi complessivi sul manifatturiero, sui servizi e - inutile dirlo - sul settore bancario. L'altro ieri di fronte ai dati non certo positivi dell'eurozona, Mario Draghi, il numero uno della Bce ha paventato l'uso di nuovo del bazooka.«La ragione principale del rallentamento dell'economia», ha spiegato il governatore, «è soprattutto l'incertezza geopolitica», che «mette in discussione i pilastri su cui è stato costruito l'ordine post II Guerra mondiale, mette in discussione la Ue, ha a che fare con la Brexit, la negazione del sistema multilaterale. Alcune cose vanno meglio, altre peggio, il risultato è che per ora l'incertezza proseguirà, cambia natura, e ha un costo che è minor fiducia». Di conseguenza, «l'attuale posizione è già molto accomodante, ma se ci fosse una recessione, la Bce avrebbe gli strumenti necessari, ha concluso Draghi replicando alle domande degli europarlamentari. Il tema della vigilanza dovrebbe rientrare tra i temi di revisione dell'Ue. Un esempio del fatto che il passo debba cambiare lo possiamo trarre dalle posizioni di Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue. A ottobre e novembre dello scorso anno, il politico italiano disse di ingaggiare uno scontro con la vigilanza bancaria per bloccare l'applicazione dell'Addendum. Ne seguì un battibecco con Daniele Nouy che Tajani cercò di stoppare alzando la bandiera del predominio della politica. «Qualcuno, sbagliando, ha interpretato la mia scelta di rivolgersi alla Bce sui crediti deteriorati come una scelta tecnica. Invece è stata una decisione politica. Deve essere il luogo della rappresentanza, il Parlamento europeo, assieme al Consiglio, a scrivere le leggi, non possono farlo funzionari, tecnocrati che non sono eletti e non rispondono a nessuno», ha detto il presidente l'11 novembre del 2017. La scorsa settimane sono arrivate alle banche le lettere con gli Addendum modificati. Nel senso che la valutazione dei tempi di cessione dei crediti deteriorati avviene banca per banca. Peggio ancora. In pratica, la trattativa di cui più volte si è vantato Tajani se c'è stata non ha coinvolto la Nouy. I risultati si vedono oggi e il presidente tace. Forse un cambio di passo serve veramente.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.
Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.






