2023-02-09
Anche il Congogate era un bluff. Archiviata l’indagine contro Eni
Dopo il fallimento dell’inchiesta nigeriana, un altro buco nell’acqua della Procura.Dopo il fallimento del processo sul caso Eni Nigeria, con la roboante (e mai esistita) tangente da 1,3 miliardi di euro, la Procura della Repubblica di Milano registra un nuovo fallimento giudiziario. Il 2 febbraio scorso, infatti, il pm Giovanni Polizzi ha chiesto l’archiviazione di ben 8 persone sul caso Eni Congo, compreso il filone in cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi rispondeva di omessa comunicazione di conflitto di interessi. Non è solo l’ennesima sconfitta della Procura milanese che negli ultimi 10 anni ha messo nel mirino la compagnia petrolifera italiana. È anche la certificazione degli insuccessi della campagna contro Descalzi, portata avanti dall’economista Luigi Zingales (spalleggiato dalle Ong ) nell’azienda di San Donato. Per anni, del resto, (in parallelo alle inchieste sulla presunta corruzione in Nigeria, procedimento in cui sono stati poi assolti tutti gli imputati perché il fatto non sussiste), aveva continuato a tenere banco anche la vicenda Congo, dove si contestavano a Descalzi «gli affari intercorsi» tra sua moglie Marie Madeleine Ingoba e l’uomo d’affari Alexander Haly. Tra le accuse ipotizzate agli altri indagati, tra cui anche l’ex manager Roberto Casula c’era anche la corruzione internazionale che poi fu anche riqualificata in induzione indebita. L’inchiesta era appunto nata dopo le dichiarazioni e i documenti portati in Procura il 21 dicembre del 2015, dall’ex consigliere di amministrazione di Eni Zingales. Ma l’anno dopo, ad avvalorare la tesi avevano contribuito anche altri ulteriori spunti investigativi, che erano contenuti nell’esposto che era stato presentato dalla Ong Global Witness il 25 giugno del 2016. Cominciava così una vicenda per certi versi simile a quella nigeriana, con l’apertura di procedimento relativo all’ipotesi «che Eni avesse ottenuto il rinnovo di alcuni permessi di sfruttamento petrolifero nella Repubblica del Congo a fronte di vantaggi di natura economica». Poi era stato il pm Paolo Storari nel 2021 a raggiungere un accordo per il patteggiamento con il pagamento da parte di Eni di una sanzione di 826.000 euro e la confisca di 11 milioni che aveva portato alla revoca della richiesta della misura interdittiva nei confronti di Eni rispetto allaproduzione di petrolio. L’indagine è stata lunga e costosa. E come si ricorda nella richiesta di archiviazione «si è sviluppata attraverso ampie acquisizioni documentali presso Eni numerose rogatorie internazionali, attività di sequestro presso gli indagati ed analisi di tabulati telefonici e della corrispondenza intercorsa tra i protagonisti della vicenda». I magistrati milanesi lamentano però la mancata collaborazione del Principato di Monaco, che, «nonostante numerosi solleciti anche da parte del magistrato e del ministero della Giustizia», non ha inviato la documentazione richiesta «neppure parzialmente, a questa Procura, evento assolutamente anomalo e senza precedenti, quantomeno nell’esperienza dello scrivente Ufficio» . Anche per questo motivo, si legge nella richiesta di archiviazione, «rimane inoltre non dimostrabile, in assenza dei flussi finanziari delle società riconducibili ad Haly e agli altri indagati, richiesti al Principato di Monaco, la ricorrenza dell’evento di danno per la società o i terzi, richiesto dalla norma incriminatrice quale conseguenza dell’omessa comunicazione del conflitto d’interessi». Ma allo stesso tempo, i magistrati ricordano che «risulta pertanto evidente che, quand’anche i documenti lungamente attesi dal Principato di Monaco dovessero infine pervenire e riscontrare le ipotesi investigative sopra sinteticamente illustrate, non vi sarebbe il tempo materiale per giungere ad una decisione giurisdizionale prima dell’estinzione del reato» dovuta alla prescrizione.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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