2023-01-26
Gli analisti «autorevoli» scoprono che la guerra non è un videogioco
Su «Corriere» e «Repubblica» si deplora la riduzione del dibattito bellico a sterile talk show e si preannuncia un conflitto che potrebbe durare anni. Ma i primi a semplificare erano loro.Talvolta, in maniera del tutto imprevedibile, qualche angolino di verità affiora dalla fanghiglia a cui è stato ridotto il dibattito pubblico sul conflitto in Ucraina. Leggendo l’autorevole articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera, ad esempio, abbiamo il privilegio di osservare «il mosaico di un conflitto che potrebbe durare anni». Davvero suggestivo: e pensare che per diversi mesi ci è stato ripetuta in ogni dove la suprema verità, ovvero che la guerra sarebbe finita rapidamente, perché la Russia era in procinto di implodere. Inviando armi, ci veniva ribadito, contribuiremo a velocizzare la distruzione dell’odiato orso post sovietico. Eppure ci approssimiamo all’anniversario della «operazione speciale» e del conseguente ingresso delle truppe russe nel territorio di Kiev, e non ci risulta che il conflitto sia terminato. Anzi, apprendiamo da autorevoli quotidiani che esso è ben lungi dal concludersi.A tale proposito, la chiusa dell’articolo di Fubini è fulminante: «Questa guerra», spiega la nota firma del Corriere, «diventa ogni giorno un mosaico più intricato, dove una sola tessera che salta causa ricadute a catena in tutto il mondo. Dice Michael McFaul, l’ex diplomatico americano che collabora con Zelensky: “Chi dice di sapere come finirà non sa di cosa parla”. E in Italia gente così non manca di certo». Già, Fubini ha proprio ragione: dalle nostre parti non mancano improvvisati futurologi convinti di sapere come si concluderà il conflitto. Gente che ha pubblicato su Twitter frasi come queste: «Malgrado i pacifisti tacitiani di casa nostra che non vogliono aiutare l’Ucraina, Putin questa guerra la sta perdendo. I pacifisti tacitiani d’Italia a cui piace pensare che Putin abbia già vinto, dunque l’Ucraina va abbandonata a lui, aprano gli occhi sulla realtà». Sapete chi ha scritto queste parole? Federico Fubini, lo stesso che oggi ci informa del fatto che la guerra «potrebbe durare anni».Il suo non è certo un caso isolato. Il Corriere della Sera, giusto per rimanere nei paraggi, si distinse tempo fa per la pubblicazione di liste di proscrizione di fantomatici «putiniani» traditori della patria. Ovvero analisti geopolitici, giornalisti o semplici commentatori colpevoli di avere opinioni diverse da quelle prevalenti. Alcuni di costoro facevano sommessamente notare che - limitandoci ad affilare le baionette e a invocare la distruzione di Putin Hitler - ci saremmo infilati in un ginepraio da cui sarebbe stato difficile cavarsi. Allora erano riflessioni indicibili, oggi appaiono pure sul giornalone di via Solferino, o altrove.Interessante, a tale proposito, è anche ciò che scrive su Repubblica il sempre raffinato Gabriele Romagnoli, che riesce a toccare alcuni punti rilevantissimi. A suo dire, uno dei principali problemi che ci affliggono riguarda «la reazione di massa a quel che sta succedendo» in Ucraina. Il quadro dipinto da Romagnoli è fosco: «Una miccia così pericolosa è ridotta a confine da talk show: di qua chi dà le colpe a questo, di là chi dà le colpe a quello. C’è stato più baccano intorno alle opinioni di un professore che alle azioni di un dittatore». Capito? Abbiamo ridotto un dibattito pubblico serissimo su una guerra potenzialmente devastante per l’Europa e per il mondo intero a chiacchiericcio patetico da avanspettacolo: questo afferma la prestigiosa firma di Repubblica.E noi, molto più modestamente, siamo persino d’accordo. Però, di nuovo, un rovello non ci fa stare seduti comodi. Come è possibile che ci si indigni per il modo grottesco in cui si è parlato di guerra soltanto dopo undici mesi dalla sua esplosione mediatica? Non erano forse Repubblica e i giornali cugini in prima fila nella caccia ai putiniani immaginari? Non era proprio Repubblica a prendersela con Alessandro Orsini (si suppone che il professore in questione sia lui) e con la «fauna da talk che piace a Mosca»? Ora, pensate un po’, gli amici progressisti stigmatizzano il dibattito ridotto a pantomima, dopo averci accusato di putinismo quando - circa un anno fa - invitavamo sommessamente a non trattare lo scontro fra Mosca e Kiev come se fosse un videogioco.Intendiamoci: certi cambi di linea potrebbero anche andarci bene, dopotutto ciascuno ci arriva con i tempi suoi. Il problema è che - nonostante questi barlumi di lucidità emergenti fuori tempo massimo - la discussione pubblica continua a essere, per lo più, la stessa di sempre, cioè un letamaio. Anzi, forse è persino peggio di prima, perché ora prosegue a fasi alterne: per lunghe settimane il dibattito si attenua fino quasi a scomparire. Poi, in occasioni speciali, c’è il ritorno di fiamma, e si odono sempre le stesse intemerate: c’è il ministro secondo cui la Russia «vuole un nuovo Medioevo» (ma dove, come, perché?); c’è l’ex diplomatico che festeggia per l’invio dei tank e grida che «ora Zelensky può vincere la guerra» (singolare: dicevate lo stesso 11 mesi fa).Passano i mesi, ma la propaganda rimane. Ed è inutile persino lamentarsi per l’annunciato intervento di Zelensky al Festival di Sanremo: per trovare entusiaste vallette del presidente ucraino di sicuro non c’è bisogno di andare all’Ariston.
Ecco #DimmiLaVerità del 16 ottobre 2025. Ospite il deputato della Lega Davide Bergamini. L'argomento del giorno è: "La follia europea dei tagli all'agricoltura e le azioni messe in campo per scongiurarli".