2020-02-03
Amor di Cicoria. Le dolcissime virtù di quest’erba dall’inconfondibile sapore amaro
Un piatto povero ma ricco di pregi: ipocalorico, protegge cuore e fegato, riduce la glicemia, previene anemia e invecchiamento.Resterà nella storia della politica e della cucina italiana, il connubio tra cicoria e Francesco Rutelli.L'ex sindaco di Roma la citò nel 2004, difendendosi dagli attacchi di Romano Prodi: «Io sono stato chiamato nell'Ulivo nel momento più drammatico e ho lavorato sodo per ricostruire l'unità. Eravamo 10 punti sotto, ora siamo a mezzo punto dalla destra ma per tre anni io e Piero Fassino, insieme, abbiamo mangiato pane e cicoria».A maggio 2005, ci furono ancora discussioni tra Margherita e Ulivo. E Rutelli dichiarò: «C'è stato l'Ulivo dei cento giorni in cui ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria per costruire il centrosinistra e consegnarlo a Prodi».Insomma, se volesse mai diventare un produttore agricolo, l'ex leader dei Verdi e della Margherita - nato e cresciuto nel Partito radicale - potrebbe certamente produrre cicoria, tanto il suo nome è legato all'ortaggio nella memoria collettiva.Ancora nel 2015, infatti, alla presentazione de «La prossima Roma» (il progetto promosso dall'associazione Roma 2025 per favorire la rinascita della città n.d.r.), i giornalisti chiesero di nuovo a Rutelli se la sua idea di Roma fosse a «pane e cicoria». E la sua risposta fu: «Magari Roma fosse ancora a “pane e cicoria", è un piatto buono, tradizionale».Sicuramente, comprenderanno questo entusiasmo e questa sorta di quasi enfatico rispetto per la cicoria da parte di un romano quale è Francesco Rutelli, i romani stessi o i profondi conoscitori delle identità alimentari regionali, a prescindere dalle proprie origini.Ma la cicoria sta alla Capitale e al Lazio come il pistacchio a Bronte e alla Sicilia. Tuttavia, hanno altrettanto rispetto per questo ortaggio anche gli estimatori della cucina tradizionale.Chiunque non conosca la cicoria o, sulla scia di un pregiudizio opposto alla quasi fanatica passione romana, non la voglia conoscere, dovrebbe almeno scoprirne le virtù. Con «cicoria comune» intendiamo la pianta denominata, secondo la classificazione di Carl Linnaeus nella pubblicazione Species Plantarum del 1753, Cichorium intybus: un'erbacea perenne con fiorellini celesti della famiglia delle Asteraceae. La pianta si trova nei climi temperati di tutti i continenti ed è diffusa in tutta Italia, anche se con predominanza al Centro e al Nord.Oltre a essere coltivata si può rintracciare spontanea non solo negli stessi campi coltivati ma anche nei terreni incolti, nelle aree abitate e perfino sui bordi stradali, anche in ambiente collinare e montano perché cresce fino a 1200 metri di altitudine.La cicoria è sicuramente la regina delle erbe spontanee che un tempo si raccoglievano non per moda ma per necessità.Quello del «cicoriaro» - in italiano detto cicoriaio - è stato, a lungo, uno dei mestieri laziali.Ma la raccoglievano anche i semplici cittadini romani, magari facendo la scampagnata domenicale alla ricerca di cicoria selvatica (la gita ad hoc si chiamava proprio «cicoriata»).Il cicoriaro, invece, la raccoglieva per professione insieme alla moglie (la cicoriara) e, dopo averla pulita, la vendevano col cesto nei mercati rionali.Era una via di mezzo tra lavoro e arte di arrangiarsi ai limiti della legge. Finché il cicoriaro raccoglieva la sua merce nei prati pubblici, infatti, non c'era problema. Ma quando, come pare accadesse, si introduceva nei campi coltivati, violava la proprietà privata e spesso finiva all'ospedale, mal cacciato dai proprietari o dai guardiani. Il cicoriaro, però, si difendeva. Infatti, questo termine nell'antico romanesco era anche sinonimo di «facinoroso». Cicoriari famosi erano quelli di Campoli Appennino, in provincia di Frosinone, che durante la «festa de' noantri» portavano a spalla la statua della Vergine del Carmelo nella processione per le vie di Trastevere.In Usi e costumi della campagna romana (Forni editore) del 1924, a proposito dei cicoriari Ercole Metalli scrive: «Verso il 1830 questa classe già esisteva perché il sommo Belli, nel sonetto intitolato Ar bervedé tte vojjo, dice: “Sor chirico Mazzola, a la Grazzietta: che! nun annamo a ppiazza Montanara pe' ssenti' a ddi' cquella facciaccia amara: Tenerell'e cchi vvô la scicurietta?" I cicoriari non sono veri e propri campagnoli, perché non risiedono in campagna, ma a Roma […]. Il quartiere generale di questa gente è nel rione Regola, e non di rado capita di vedere per quelle strade le donne sulla soglia delle loro case intente a capare la cicoria, che poi la mattina portano coi canestri nei vari luoghi di rivendita».Per «capare» si intende «pulire» e pare che nel 1979 ci fossero ancora in città ben 167 cicoriari professionisti, eredi di un flusso (anche migratorio) ben descritto dallo stesso Metalli: «Il mestiere del cicoriaro è molto faticoso, ma frutta discretamente perché a Roma di cicoria se ne consuma molta ed è anche ben pagata, tanto è vero che parecchie persone venute nell'Agro Romano, specialmente dalla Cioceria, per lavorare la terra, dopo un certo tempo abbandonano questo lavoro per mettersi a fare i cicoriari».Oggi, la raccolta della cicoria selvatica non è più una professione, ma resta una passione letteralmente antica per chi preferisce il sapore più rustico dell'erba amara spontanea rispetto a quella coltivata. Comprensibile.La cicoria coltivata, però, si trova facilissimamente al supermercato, proprio in questo periodo.Certo, non l'abbiamo tagliata dalla pianta con le nostre mani e un bel coltellino da cicoria (se ne usa uno sdentato per non rovinare la pianta) durante una domenica di cicoriata, ma anche il prodotto coltivato ha una sua validità. Se non altro ci permette di mangiare una verdura che, forse, oggi non gusteremmo mai se dovessimo procacciarcela da soli come si faceva due secoli fa.E allo stesso tempo, anche, di perpetuare quell'usanza (soprattutto romana) di mangiare il noto «pane e cicoria» citato da Rutelli, piatto povero ma di sostanza e che oggi, di fronte a cibi sempre più artificiali, ci ricorda che conviene conservare vecchie usanze.Abbiamo detto «in questo periodo» non a caso: della cicoria si mangiano gli steli e soprattutto le foglie, oblunghe e strette, di forma tipicamente lanceolata con margine dentato, che nascono in autunno, durano per tutto l'inverno e poi seccano appena arrivano i fiori. La stagione ideale per la cicoria, quindi, è proprio l'attuale e ci permette di usufruire di tutte le sue proprietà salutari.Si tratta di un contorno perfetto perché contiene soltanto 17 calorie ogni 100 grammi ed è più che permessa ai diabetici, anche perché sembra in grado di abbassare la glicemia.Degni di rilievo sono gli apporti di sali minerali come il ferro (0,7 milligrammi), il calcio (74 milligrammi), il potassio (ben 236 milligrammi), il fosforo (31 milligrammi) e di vitamine (17 milligrammi di vitamina C, che stimola l'assorbimento dello stesso ferro contenuto nella cicoria e 2,26 milligrammi di vitamina E).Queste, insieme al betacarotene (1.314 microgrammi), fanno della cicoria una verdura anche antiossidante e capace di combattere i radicali liberi.La cicoria avrebbe anche un effetto antimicrobico: infatti, viene utilizzata nel foraggio degli animali d'allevamento per eliminarne i parassiti intestinali.Un'altra funzione riconosciuta alla cicoria è quella di depurativo epatoprotettivo (coadiuva la secrezione biliare verso l'intestino), nonché quella cardiotonica (regola la frequenza cardiaca). Molto importante, poi, in questo ortaggio tanto amarognolo (ma più da crudo che da cotto) quanto benefico è la combinazione di acqua e fibre, che rende la cicoria molto simile a quegli aiuti intestinali in bustina composti di fibre in polvere da ingerire dopo scioglimento in acqua. Con 93,4 grammi di acqua e 3,6 di fibre, la cicoria, infatti, aiuta naturalmente il transito intestinale.L'inulina e le sue altre fibre solubili migliorano frequenza e consistenza delle evacuazioni, oltre a fornire il tipico «effetto spugna» delle fibre nei confronti dei grassi: i polisaccaridi della cicoria aiutano a contenere l'ipertrigliceridemia e l'ipercolesterolemia mentre l'inulina presente ha anche una valenza prebiotica perché oltrepassa indigerita l'intestino tenue e poi viene fermentata dai batteri locali nel crasso, producendo acido lattico e stimolando così bifidobatteri e lattobacilli.L'inulina è anche responsabile della regolazione dell'appetito e del rafforzamento del sistema immunitario.Si trova anche nelle radici della pianta e, per questo motivo, è assolutamente degno di nota il cosiddetto «caffè di cicoria», che si fa appunto con le estremità del nostro ortaggio.La radice della cicoria, infatti, pulita, fatta in piccoli pezzi e tostata ad arte, è un ottimo sostituto del caffè.Potreste pensare che il caffè di cicoria - oggi molto di moda nei supermarket biologici - sia stato inventato dai salutisti. Ma non è così.La pratica sembrerebbe essere stata ideata nel XVII secolo dal medico e botanico veneto Prospero Alpini, con scopo terapeutico.Poi, incontrò grande successo soprattutto nei periodi di guerra, quando importare il caffè diventava difficile o addirittura impossibile (per esempio in Europa nel periodo napoleonico oppure nella Germania dell'Est del 1976 durante la cosiddetta «crisi del caffè»). Nel 1882, nel Vecchio continente c'erano 130 stabilimenti per la produzione del cosiddetto «caffè prussiano». La «ciofeca» delle battute del principe Antonio De Curtis, in arte Totò era questo «cafè de sigòria», considerato sacrilego dagli estimatori del caffè ma in realtà ben più salutare (visto che non contiene caffeina).Pensate che la radice di cicoria, da cui il relativo caffè, è talmente aromatica che viene utilizzata anche nella produzione birraia per migliorare il sapore della bevanda gassosa.
Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia (Ansa)
Ursula von der Leyen (Getty Images)