2020-10-10
Ammiro e invidio la flemma di Augias. E le sue lezioncine snob strapagate
Imperturbabile totem della sinistra, si aggira da dandy nel «confuso presente». Liquida con sufficienza la sua collaborazione con i servizi segreti ceki. Bravissimo a farsi retribuire (con sospetti anche di nero).Io non odio Corrado Augias. Lo ammiro. E lo invidio. Vorrei possedere il suo imperturbabile aplomb. La sua enciclopedica erudizione. Il suo eloquio educato e azzimato. Le sue frequentazioni dei piani alti della nomenklatura culturale e mediatica, dalla tolda della (ex) corazzata La Repubblica. La sua eleganza mentre si aggira in questo «confuso presente», come da titolo del suo ultimo saggio, con il disincanto di un dandy. La pazienza con cui svela - emulo italico del classicista elvetico Georg Luck- gli arcana mundi contemporanei al colto e all'inclita. Più che a quello, in verità, a quest'ultimo. Ché, poveretto, ne ha tanto bisogno, facente egli quasi sicuramente parte della «gente nuova, non educata alla politica» su cui ha disquisito (amabilmente, ça va sans dire) in tv da Giovanni Floris su La7.Da chi sarebbe composta tale gens nova? Ma parbleu, messere: dai «barbari», e da chi sennò? Ma non nel senso di «esseri primitivi, con i capelli irsuti, coperti di pelli» (e menomale). Bensì una genìa «che sprigiona un'energia barbarica» (ah, ecco). «Che si può permettere cose che chi è educato alla politica non può fare» (cioè tipo?). «Abbattendo cose che apparivano inamovibili» (quali? Boh). Solo che poi una volta riusciti nell'impresa, essi «rimangono disorientati».Poffarbacco: e come mai? Perché a questi comici spaventati guerrieri, chioserebbe Stefano Benni, «manca la parte costruttiva». E qui Augias ha dato l'ennesima prova di continenza, evitando di evocare la dicotomia di sir Francis Bacon pars destruens-pars construens.Attenzione: non inganni la sua flemma, condita dall'aria sussiegosa che i suoi antipatizzanti giudicano emblema della «tv intelligente, irraggiungibile, alta» (così il critico del Corriere della Sera, Aldo Grasso). Augias in passato è stato capace di incrociare i guantoni della polemica. Nel 1989, quando la Rai del democristiano Biagio Agnes bloccò una puntata di Telefono giallo (esempio di successo della Tv-verità della Rai3 di Angelo Guglielmi) sull'omicidio del cronista napoletano Giancarlo Siani, Augias obbedì tacendo, mentre perfino Walter Veltroni, all'epoca responsabile «Comunicazione di massa» (definizione dal sapore sovietico) del Pci, accusò viale Mazzini di «bavaglio». Giuliano Ferrara lo scorticò: «Farsi censurare senza protestare è disonorevole». Al che Augias replicò: «Ferrara chi? Quello che fa gli spot per Silvio Berlusconi?» (aggiungerà Nello Ajello su La Repubblica: «Poche ore prima lo stesso Augias, parlando di un critico dell'Espresso colpevole di aver definito noiosa la sua trasmissione, aveva dichiarato: se potessi, lo strozzerei con le mie mani»). Intemperanze di gioventù, si dirà, se non fosse che all'epoca Augias aveva già 54 anni.Eh già: Augias ne ha gagliardamente 85, chapeau!, è presente ovunque come se non ci fosse un domani, peraltro dopo una vita in cui non si è fatto mancare niente. Dall'essere un confidente dei servizi segreti della «rossa» Cecoslovacchia, vicenda che risale agli inizi degli anni Sessanta ("blande frequentazioni» ha minimizzato, sorvolando con la consueta signorilità), fino all'elezione al parlamento europeo nel 1994 nelle liste del Pds-ex Pci come «indipendente».Augias è uno stakanovista. Nel 2008 Luigi Mascheroni, docente di Teoria e tecniche dell'informazione culturale alla Cattolica di Milano, scrisse sul Giornale della sua indefessa attività recensoria: sul Venerdì di Repubblica in un mese aveva commentato sei libri per un totale di 1.400 pagine e segnalati altri otto «per ulteriori 2.451 pagine. Totale: 3.852. Che Augias ha certamente lette tutte. Ma dove trova il tempo per fare altro?».L' «altro» sarebbe la rubrica della posta su La Repubblica, almeno un libro l'anno, conduzioni di trasmissioni tv in proprio e frequenti ospitate in quelle altrui, anche - ma non sempre - per promuovere le sue fatiche letterarie. Così martedì 22 settembre era da Floris, martedì 29 era da Bianca Berlinguer a Cartabianca su Rai3. Sempre con citazione e copertina del volume annesse. Dal che si potrebbe supporre che Augias, assorbito dal rispondere alle lettere di chi legge il suo quotidiano, non riesca sempre a leggere il suo pregevole supplemento culturale Robinson, cui il 26 settembre Francesco De Gregori ha confessato una sua -condivisibile- idiosincrasia: «Ancora adesso trovo meraviglioso vedere arrivare in un talk show, in cui si sta parlando di Covid o di immigrazione, un politico o uno scrittore che discettano blandamente sul tema e poi alla fine tirano fuori la copertina del loro ultimo, e spesso perdibile, libro» (ogni estrapolazione è arbitraria in re ipsa, e la considerazione del Principe è da intendersi su un piano generale, perché casi ricollegabili a questa prassi un po' tristanzuola abbondano «a prescindere», per dirla con l'altro Principe, Antonio De Curtis aka Totò).Si espone e si sovraespone, Augias, anche al rischio di possibili incidenti, come nel caso dell'ultimo Premio Strega, con i caratteri della pochade. Il conduttore, mentre parlava con la finalista Valeria Parrella, l'ha congedata annunciando l'arrivo del Nostro per approfondire il tema del #Metoo. Lo sghignazzo della scrittrice vale il prezzo del biglietto (è gratis: il video è su Youtube): «Ah, e lei ne vuole parlare con Augias? Auguri!». Ma perché, un uomo, anche se ha vissuto tre quarti della sua vita nel Novecento, non può parlare dei problemi delle donne? Uno dei quali è certamente la cosiddetta disparità di genere quanto al trattamento economico. Ne sa qualcosa Concita De Gregorio, che l'anno scorso ha scritto su La Repubblica: «In Rai quando ho preso il posto e poi l'ho di nuovo ceduto a chi mi ha preceduta e seguita nel medesimo orario, sulla medesima rete, nel medesimo compito ho avuto un ingaggio inferiore della quarta parte di quello del mio omologo. La metà della metà». Ohibò. Di chi stava parlando? Massì, proprio di Augias, suo vicino di rubrica, anche se l'outing l'ha fatto ancora una volta il sito Dagospia: «Lei il nome di Corradone non lo fa, ma per fortuna ci siamo noi». Però, scusate: è colpa sua se viene pagato così? No. Quando nel febbraio 2019 il M5s sollevò la questione del suo «cachet stellare», 370.000 euro annui lordi pagati dalla Rai (cui si aggiungono il compenso di La Repubblica e la probabile pensione, dato che è entrato in Rai - per concorso - nel 1960), il Nostro ai microfoni di RadioRadio, l'audio è in rete, replicò piccato: «Non vedo perché dovrei tagliarmi lo stipendio. Vado in onda tutti i giorni, il programma va bene, è un compenso forse addirittura sottodimensionato». Forse. Si potrebbe obiettare che mille euro - lordi - al giorno per un programma (peraltro d'estate trasmesso in replica), e sempre che il contratto sia ancora in essere, non sono proprio bruscolini. Ma perché immiserire il ritratto parlando di denaro, lo sterco del diavolo? Tanto più se si sconfina nella melma. È successo con Giuliano Soria, già patron del premio Grinzane Cavour, che disperato in quanto condannato per varie malversazioni a 14 anni di galera, nel 2015 in appello mise in mezzo lo scrittore con un gravissimo j'accuse, cui non ho mai creduto: «Il più vorace era Augias, assillante nella richiesta di pagamenti in nero sfidando l'indecenza». Ora, già così la circostanza è sospetta: perché non tirare fuori la storiaccia prima, e invece farlo 6 anni dopo l'inizio dell'inchiesta?Augias ovviamente ci rimase male: «Ottant'anni passati ad essere una persona onesta e perbene, e poi queste accuse infondate...». (Qui ci sarebbe da eccepire che non tutto è sempre filato liscio, in tale luminosa carriera: nel 2009 ci fu la querelle sul volume Disputa su Dio e dintorni, scritto con il teologo Vito Mancuso, in cui le conclusioni di Augias ricalcavano quasi alla lettera quelle di Edward Osborne Wilson nel suo saggio La Creazione. Augias non fece un plissé: «Mi sono avvalso di numerose testimonianze, dalla Confessioni di Sant'Agostino a Internet, citando la fonte ogni volta che è stato possibile». Mancuso fu invece più tranchant: «Sono amareggiato, completamente sbalordito, non capisco come sia potuta accadere una cosa del genere"). Tornando alla vicenda Soria, Augias concluse: «Ho sempre pagato le tasse fino all'ultimo centesimo. Ho solo avuto dei rimborsi spese com'è che giusto che sia. Se farò causa? Non l'ho mai fatto. Certo, se uno viene infangato a un risarcimento danni ci pensa». Non sappiamo se poi ci sia stata un'azione civile o penale: in rete -anche noi, come Augias, compulsiamo il web- non ci sono notizie al riguardo, se non un riferimento al silenzio di Soria che, convocato dai magistrati per circostanziare la denuncia mossa in aula, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma siamo certi che, essendo Augias un uomo d'onore, avrà cercato -documenti alla mano- di far tutelare la propria reputazione nei tribunali, almeno fino a quando il tutto non è stato archiviato causa decesso di Soria nel 2019.Nel suo ultimo libro Augias, nell'interrogarsi su chi siano oggi i suoi connazionali, trascrive parte di Alla mia nazione di Pier Paolo Pasolini: «Terra di corrotti, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e piedi sporchi». Sono andato a controllare nella mia piccola biblioteca casalinga: quando Garzanti nel novembre 1975 pubblicò tutte le poesie di PPP appena morto, quell'epigramma era preceduto dall'altro dedicato al critico cinematografico Gian Luigi Rondi, in cui si stigmatizzava un difetto tipico di tutti noi italiani: «Sei così ipocrita, che come l'ipocrisia ti avrà ucciso, sarai all'inferno, e ti crederai in paradiso».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)