Bisogna scegliere tra America e Pechino, non esiste terza via. Gli interessi di Parigi e Berlino non coincidono con i nostri.
Bisogna scegliere tra America e Pechino, non esiste terza via. Gli interessi di Parigi e Berlino non coincidono con i nostri.L’Europa è di fronte a un bivio: deve scegliere se stare con l’America o la Cina. So che a Bruxelles preferirebbero una terza via, che consentisse alla Ue di ritagliarsi uno spazio indipendente, senza dover stare né dalla parte di Trump né da quella di Xi Jinping, ma le strade da imboccare sono solo due e vanno in direzioni diametralmente opposte. Le mosse di questi giorni, con il braccio di ferro tra Washington e Pechino, credo abbiano aperto gli occhi a molti: il vero scontro è tra gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese. Ai dazi imposti la scorsa settimana sulle importazioni negli Usa, il Dragone ha risposto con dazi uguali e contrari nei confronti delle merci americane. Trump ha reagito raddoppiando la posta e arrivando a un’aliquota del 125%. Una mossa a cui Xi Jinping ha replicato alzando l’imposta all’84%. In pratica, i commerci tra i due Paesi hanno fatto registrare in pochi giorni uno scossone mai visto prima, con un raddoppio dei prezzi. Per ogni merce del valore di 100 dollari importata dalla Cina si dovranno pagare 125 dollari di spese doganali. E allo stesso tempo, per altri 100 dollari di merce che gli Stati Uniti spediranno agli importatori del Paese asiatico, se ne dovranno pagare 84 di tasse e ancora non è finita. Un muro contro muro che, se non si troverà una via d’uscita, porterà alla paralisi delle relazioni commerciali tra le due sponde dell’Oceano. Qualcuno potrebbe pensare che il confronto tra due superpotenze per dimostrare chi ce l’ha più duro (era una frase cara a Umberto Bossi ai tempi in cui la Lega tuonava contro Roma ladrona) alla fine si risolverà in un’intesa, perché sia America che Cina hanno molto da perdere. Io però credo che non sarà così. La guerra commerciale scatenata da Trump mira a ridimensionare Pechino come potenza economica (ma anche politica e militare) e per riuscirci c’è un’unica strada, ovvero attaccare le esportazioni del Dragone, destabilizzando il Paese e dunque riducendo la possibilità che XiJinping decida di attaccare Taiwan per ricondurre Formosa sotto la propria egemonia. Riuscirà l’inquilino della Casa Bianca a raggiungere l’obiettivo, costringendo l’economia cinese a una brusca frenata? Non lo so. Tuttavia, mi pare evidente un fatto e cioè che nel mirino di Washington ci sono anche tutti quei Paesi che con la Cina intrattengono molti rapporti commerciali. E qui veniamo all’Europa. Il Vecchio continente è diventato terreno di caccia per il Paese asiatico. Auto, elettronica, abbigliamento: da quando molti anni fa è entrata a far parte del Wto, da Pechino arriva tutto e a prezzi molto convenienti. Una guerra commerciale non dichiarata che ha già fatto molte vittime fra i produttori europei, soprattutto nei settori del consumo e non solo. Prendete a esempio il caso tedesco: la Germania ha come primo partner commerciale per le importazioni proprio la Cina. Vale a dire che da Pechino arriva più merce di quanta ne giunga da Washington. Secondo voi gli Stati Uniti sono contenti di questo rapporto fra un Paese alleato, fra l’altro membro della Nato, e uno dei suoi peggiori nemici? Ovvio che no. Se poi aggiungete che da almeno dieci anni Washington si lamenta per il surplus commerciale tedesco e per lo sbilancio fra importazioni dagli Stati Uniti ed esportazioni, che fa pendere la bilancia a favore di Berlino, si capisce che il rischio di finire in mezzo a uno scontro tra colossi come Usa e Cina è piuttosto alto, e a esserne coinvolta non sarebbe solo la Germania, ma anche noi, che pure abbiamo molte meno relazioni d’affari con i cinesi. Per tutte le ragioni che ho appena elencato, anche un bambino capirebbe che la nostra posizione, di italiani, è molto diversa da quella dei tedeschi, ma che se non assumiamo una posizione terza rischiamo di ritrovarci nel bel mezzo di uno scontro senza avere nulla da guadagnare, ma tutto da perdere. L’idea che tenendo l’Europa unita e schierandoci contro gli Usa faremo il nostro interesse è una sciocchezza. L’Europa è già morta e se ci facciamo trascinare in uno scontro, non soltanto non ci guadagniamo nulla, ma rischiamo di perdere tutto. I nostri interessi e quelli di Germania e Francia divergono. E restare attaccati a loro può voler dire colare a picco con loro. Per parte mia preferirei evitare e approfitterei della pausa di 90 giorni per trovare una soluzione.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






