
Dopo aver picconato più volte la Costituzione con i suoi provvedimenti fiscali, l’ex premier (insieme all’Istituto Treccani) adesso se la prende con l’articolo 38, che riconosce diritti ai portatori di handicap, però utilizza la parola «minorati».Evviva, la Costituzione si può ritoccare e aggiornare. Perfino criticare senza rischiare il vilipendio. E un articolo che mostra una certa vecchiaia, un’usura determinata dal tempo che passa, può anche essere riscritto dopo aver rimosso le parole rotte, come le tegole di un tetto. È tempo di premierato? Ma va. È il momento dell’autonomia federativa? Non ancora. È la stagione del bilanciamento dei contrappesi fra potere legislativo, esecutivo e quello giudiziario iper-invasivo? Neanche per scherzo. I paracarri veri non si toccano. È invece il caso dell’articolo 38, che crea pruriti al sommo Istituto Treccani perché contiene un termine oggettivamente fastidioso e discriminatorio se letto oggi: minorato. L’intento dei padri costituenti era inclusivo, l’assunto recita che «gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale». Ma quella voce non piace più - sancisce la regina delle enciclopedie - ed è bene che il parlamento si affretti a cancellarla. È la sintesi della nuova Appendice XI alla voce «Disabilità» curata dalla professoressa Elena Vivaldi, associata di Diritto costituzionale all’Università Sant’Anna di Pisa. Nel contesto del lemma si sollecita la necessità di utilizzare un linguaggio più consono a tutelare le persone disabili, titolari di una dimensione umana da rispettare e portatori «di una ricchezza che la società deve saper leggere e tradurre». L’Istituto sottolinea l’inadeguatezza di parole come «handicappato» e «minorato», che nel lungo periodo hanno assunto connotazioni irrispettose, quando non offensive. Scrive la professoressa Vivaldi: «Il linguaggio va considerato coerente con la mentalità dell’epoca in cui la Costituzione fu scritta, ma non più conforme, oggi, allo spirito e alle finalità proprie della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità». Niente da ridire, se bevendo un caffè al bar dovessimo ascoltare la parola «minorato» ci volteremmo per vedere in faccia il cretino che l’ha pronunciata. Ma non è questo il punto. Il punto lo tocca l’ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, per il quale la Carta è sempre stata inavvicinabile, intangibile. «La più bella del mondo», secondo la definizione del costituzionalista Roberto Benigni. In questo caso il grande ex di quasi tutto è per lo smantellamento immediato: «La nostra è una Costituzione che si è rivelata capace di reggere al passare degli anni, ma questo è uno dei punti sui quali è più prigioniera della cultura del suo tempo. Sarebbe davvero meglio togliere quel termine». Quindi l’aggiornamento non è una bestemmia, si può fare. Più che un’opinione, quella di Amato è una conversione. Comoda, indolore perché l’affondo non implica alcuna assunzione di responsabilità, solo l’adesione a un certo perbenismo di facciata. Di conseguenza stupisce il moto ondoso del grande vecchio, che considera la Costituzione un totem inscalfibile quando si parla di modifiche sostanziali per modernizzarne il rapporto con gli italiani di oggi e di domani. Ma è pronto a modellarla come pongo per intestarsi una battaglia lessicale di retroguardia che tutti possono condividere. Tra l’altro nel curriculum di Amato ci sono colpi di piccone alla Carta, riguardanti i risparmi dei cittadini, ben più devastanti e profondi di una parola fuori luogo. Poiché non basta togliere un termine senza correre il rischio di eliminare anche una sostanziale realtà sociale, la voce ormai inadeguata a definire un perimetro andrà sostituita con un’altra. Qui ha buon gioco la ministra delle Disabilità, Alessandra Locatelli: «L’iniziativa va nella direzione che abbiamo iniziato a percorrere con l’abolizione da tutte le leggi ordinarie del nostro Paese dei termini handicappato, portatore di handicap, diversamente abile, per sostituirli con “persone con disabilità”. Credo che i tempi siano maturi anche per modificare l’articolo 38 della nostra Costituzione». Nella consapevolezza che il dettato costituzionale sia «prigioniero della cultura del suo tempo» non solo per i dettagli e non solo quando fa comodo, è fondamentale rammentare che le parole non sono tutto. Lo ribadisce Claudio Marazzini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che guarda oltre l’orizzonte del conformismo anche correndo il rischio di essere frainteso. «L’osservazione della Treccani è indiscutibilmente vera e non si può non sottoscriverla. Ognuno usa le parole del suo tempo, per forza di cose, volente o nolente. Sta di fatto che i padri costituenti, con le parole del loro tempo, hanno introdotto cambiamenti radicali nella vita civile». La sostanza non è mai liquida, non va mai a braccetto con le mode. Ricordiamo tutti la ridicola fibrillazione progressista nel pretendere l’adozione negli atti ufficiali della pubblica amministrazione del terrificante «schwa». In questo senso l’emendamento Marazzini è decisivo: «Speriamo che i revisori di parole di oggi riescano a incidere sulla realtà almeno con la stessa efficacia, visto che i cambiamenti linguistici da soli non bastano, anzi spesso sono un modo per far bella figura a buon mercato». Poiché Amato è famoso anche per la passione per il tennis, «game, set and match».
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