2021-05-22
Altro schiaffo ad Arcuri su Reithera. Troppi soldi all’azienda, pochi al siero
Le toghe: «Investimenti insufficienti». Il Mise a Castel Romano: «Pronti a contribuire»La Corte dei conti demolisce l’ex commissario all’emergenza sanitaria Domenico Arcuri e di fatto anche il secondo governo Conte nei ritardi della battaglia contro il Covid 19. E lo fa motivando lo stop al finanziamento da oltre 50 milioni di fondi pubblici, criticando il modello di finanziamento del vaccino tutto italiano Reithera, quello che secondo Arcuri sarebbe dovuto essere uno dei più promettenti in Europa. Invece non è stato così. Arcuri, quindi, prima o poi dovrà spiegare i motivi di questo pasticcio. E soprattutto dovrà giustificare un ritardo che non ha aiutato il nostro Paese. Per di più la critica della Corte si abbatte sulla gestione di Invitalia, dove Arcuri è da 14 anni amministratore delegato. Reithera, infatti, dopo aver ricevuto i fondi del Cnr (8 milioni di euro), avrebbe potuto accordarsi con un fondo straniero invece che con la società del Mef. In questo modo forse ora saremmo già dotati di un vaccino italiano. Ora c’è il rischio invece che non veda mai la luce e che, nel caso ci riesca, potrebbe servire solo ai paesi Covax, di sicuro non al nostro. Ieri il ministro per lo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha spiegato in ogni caso che «il Mise è disponibile a contribuire al progetto del vaccino Reithera nelle forme e nei modi consentiti utilizzando diversi e innovativi strumenti previsti anche dalle nuove norme». E Reithera stessa esprime soddisfazione per «le importanti parole del ministro: è una ulteriore prova della validità e della bontà del progetto e uno stimolo a profondere ancora più impegno, passione e professionalità nella sua realizzazione». Nelle 31 pagine della delibera della magistratura contabile viene spiegato in dettaglio, invece, quanto fosse «carente» la relazione di Invitalia in materia e si sottolinea «l’assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo». L’accordo sottoscritto a febbraio 2021 da Mise, Invitalia e Reithera, quindi era troppo poco dedicato alla ricerca e alla produzione del vaccino mentre veniva dato troppo spazio a un rafforzamento generale dell’azienda, compreso l’acquisto della sua sede. Del resto, il programma prevedeva un progetto di investimento finalizzato all’ampliamento dello stabilimento produttivo sito in Castel Romano e un progetto di ricerca industriale e sviluppo sperimentale destinato a completare la sperimentazione clinica (studi clinici di fase 2 e 3) del vaccino anti Covid-19, si spiega nella nota. «La sezione ha ritenuto il progetto di investimento proposto inconciliabile con la condizione posta dall’articolo 15, comma 1, del decreto 9 dicembre 2014, secondo cui le spese sono ammissibili “nella misura necessaria alle finalità del progetto oggetto della richiesta di agevolazioni”’ e non, come invece risulta dal progetto presentato, per le finalità generali - produttive o di ricerca, anche per conto terzi - perseguite da Reithera, né per le ancor più generali finalità di rafforzare la consistenza patrimoniale dell’impresa» si legge nella nota della Corte. Non solo. I magistrati contabili, spiegano che «l’acquisto della proprietà della sede operativa della Società, sita in Castel Romano, per un previsto importo di 4 milioni di euro, non attiene alla singola “unità produttiva”, rappresentata dal realizzando impianto di infialamento e confezionamento, come sostenuto dall’Amministrazione» ma invece «riguarda l’intera sede dove la Società svolge il complesso delle sue attività che nel 2019 ha riguardato essenzialmente attività di ricerca e sviluppo per conto della società controllante Keires ag, come riportato nella stessa relazione di Invitalia». E pensare che il decreto richiesto da Arcuri avrebbe dovuto mettere a disposizione per il finanziamento risorse nel limite massimo di 50 milioni di euro di cui 41 milioni a fondo perduto e il resto come finanziamento a fondo agevolato. Il totale complessivo sarebbe stato di 80 milioni indicati all’interno del decreto Rilancio.
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo